Il prossimo 8 Marzo sarà sciopero delle donne in 30 Paesi, contro la violenza di genere e la piena applicazione della Convenzione di Istanbul. Ma non solo
Di Marina Zenobio
Il prossimo 8 Marzo sarà sciopero delle donne in 30 Paesi, contro la violenza di genere e la piena applicazione della Convenzione di Istanbul, per la difesa dei centri antiviolenza che devono restare spazi laici e autonomi gestiti dalle donne, per il rispetto dei diritti delle donne in ogni ambito, compreso quello lavorativo.
A guidare la protesta in Italia la rete nazionale #NonUnadiMeno protagonista, lo scorso 26 novembre, di una imponente manifestazione contro la violenza sulle donne. Da quel giorno è stato un susseguirsi di riunioni locali e assemblee nazionali che hanno portato all’incontro di Bologna del 5 febbraio, al lancio dello sciopero delle donne per l’8 marzo e alla pubblicazione di una piattaforma politica redatta in 8 punti che vogliono esprimere il rifiuto della violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, sfruttamento, sessismo, razzismo, omofobia e transfobia. Nel frattampo NonUnadiMeno continua a lavorare sulla scrittura di un Piano femminista antiviolenza in alternativa a quello governativo fatto più di proclami invece che rappresentare davvero una risposta allo status quo di un paese, come l’Italia, dove ogni tre giorni una donna è vittima di femminicidio.
A rispondere all’appello per lo sciopero dell’8 marzo sono stati diverse realtà del sindacalismo di base garantendo così la copertura per le lavoratrici del pubblico impiego e del privato, anche laddove non sia presente un sindacato (Tutte le info sulle modalità di partecipazione su: https://nonunadimeno.wordpress.com/portfolio/sciopero-lotto-marzo )
Nell’appello lanciato ai sindacati le organizzatrici hanno ribadito che: “la violenza è un problema strutturale delle nostre società e agisce in ogni ambito della nostra vita. Il femminicidio è la punta dell’iceberg, l’epilogo tragico di una catena di discorsi e atti, simbolici e concreti, che dalla casa al posto di lavoro, dalla scuola all’università, negli ospedali e sui giornali, nei tribunali e nello spazio pubblico tende ad annientarci”. Ricordano anche che la violenza contro le donne si esprime su più piani, anche tramite le discriminazioni nel mondo del lavoro lavorativo, a partire dalla disparità salariale fino allo sfruttamento in ambito domestico e di cura “che sia svolto gratuitamente oppure in cambio di un salario, nella maggior parte dei casi da una donna migrante obbligata dal ricatto del permesso di soggiorno; nel ricatto della precarietà; nella privatizzazione della salute e dei servizi; nella negazione della libertà di scelta e dell’autodeterminazione, nella violenza ostetrica e medica, nell’obiezione di coscienza dilagante, nella squalificazione del nostro ruolo e della nostra dignità”.
“Ma siamo altrettanto consapevoli – si legge ancora sull’appello ai sindacati di NonUnadiMeno – del peso che le donne, più della metà della popolazione mondiale, hanno nei processi economici, sociali, culturali, produttivi e riproduttivi, e della forza di mobilitazione trasformativa che possono esprimere e stanno esprimendo in tutto il mondo. Per questo abbiamo fatto nostro l’appello delle donne argentine alla costruzione di uno sciopero internazionale delle donne per il prossimo 8 marzo. Una giornata in cui rivendicare la nostra forza agendo la nostra sottrazione/astensione da ogni funzione produttiva e riproduttiva che ci riguardi.”
Nonostante il dichiarato interesse sia per la battaglia contro la violenza alle donne e la discriminazione di genere, non hanno invece finora risposto Cgil e Fiom-Cgil a cui rispettivi segretari generali, Camusso e Landini, NonUnadiMeno ha inviato una lettera con richiesta di incontro per capire e discutere su quale voglia essere il loro concreto contributo allo sciopero generale delle donne del prossimo 8 marzo. Solo la Flc Cgil, il sindacato scuola, ha indetto lo sciopero il 20 febbraio scorso. Stessa richiesta di incontro è stata inviata alle segreterie regionali e di segreteria, molte delle quali avevano già aderito alla mobilitazione del 26 novembre scorso e partecipato ai tavoli tematici. Si attendono risposte.
“Lotto” Marzo nel mondo
Sono ormai 35 i paesi che a livello mondiale hanno convocato lo sciopero internazionale delle donne e tra questi, oltre l’Italia, gruppi e associazioni femminili e femministe di Argentina, Australia, Belgio, Bolivia, Brasile, Cile, Corea del Sud, Costa Rica, Repubblica Ceca, Ecuador, Spagna, Inghilterra, Francia, Guatemala, Honduras, Islanda, Irlanda del Nord, Repubblica d’Irlanda, Israele, Messico, Nicaragua, Perù, Polonia, Portogallo, Repubblica Dominicana, Russia, Salvador, Scozia, Stati Uniti, Svezia, Turchia, Uruguay.
In ogni Paese e con distinte modalità le donne scenderanno in piazza contro la violenza alle donne in tutte le sue forme e con uno slogan comune: “Se le nostre vite non valgono, allora ci fermiamo”.
Quel “Kvennafrìdagurinn” del 1975 in Islanda
Quella dello sciopero delle donne, pur essendo una forma inedita a livello internazionale, è in realtà una pratica già sperimentata di recente dalle donne argentine e polacche. Ma il primo storico sciopero delle donne avvenne in Islanda il 24 ottobre 1975 (anno internazionale della donna per l’ONU), convocato da Red Stockings (Calze rosse), movimento radicale femminista fondato nel 1970, per protestare contro le discriminazioni di genere. Non lo definirono sciopero ma “Kvennafrídagurinn”, letteralmente dall’islandese “Giorno libero delle donne”. Aderì il 90% delle islandesi bloccando la produzione e impedendo agli uomini di andare a lavoro per stare a casa coi figli.Invece che andare in ufficio, dedicarsi ai lavori di casa o di accudimento dei figli, le donne islandesi scesero in piazza per manifestare per l’uguaglianza di genere. L’anno successivo i salari delle lavoratrici furono equiparati a quelli maschili e cinque anni dopo l’indipendente e tra le promotrici di quel giorno Vigdis Finnbogadottir, madre divorziata, fu la prima donna al mondo ad essere eletta democraticamente presidente della Repubblica.