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I Giusti di Camus, frammento arroventato di Novecento

Da “I giusti” di Albert Camus, un testo scritto in tempi in cui interrogarsi sulle possibilità e la necessità di una trasformazione radicale dell’esistente sembrava il compito fondamentale degli intellettuali

da Genova, Claudio Marradi

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Che fare? Se sia più giusto far saltare in aria  con la nitroglicerina il Granduca e tutta la sua famiglia, in nome delle sterminate masse oppresse e di tutti i bambini che patiscono la fame nella grande Madre Russia. Oppure lasciarsi fermare dallo “sguardo serio che a volte i bambini hanno”, proprio quello dei figli del Granduca che viaggiano, in carne e ossa, sulla stessa carrozza scoperta.  Tutto qui, tra Idea e Realtà, il conflitto, morale e politico, messo in scena con “I Giusti”, la nuova produzione in prima nazionale del Teatro della Tosse di Genova con la regia di Emanuele Conte. E che narra la vicenda di una cellula terrorista mentre sta preparando l’attentato ai danni del granduca Sergej Romanov. Tratto da “I giusti” di Albert Camus nella traduzione di Giulia Serafini, lo spettacolo si basa un testo  scritto in tempi in cui interrogarsi sulle possibilità e la necessità di una trasformazione radicale dell’esistente sembrava il compito fondamentale degli intellettuali. Prima che la stessa categoria antropologica evaporasse in una casta di spin doctor che si incaricano di elaborare narrazioni politiche che, della conservazione dell’esistente, sono messe al servizio.

A quali condizioni la ribellione può  essere giustificata e quali limiti si deve porre. È possibile dare una giustificazione morale alla violenza e al terrorismo rivoluzionario? Il focus della rappresentazione si centra sul dramma  dei personaggi di fronte a un dilemma etico, un caso di coscienza, che riguarda tutti: decidere se la violenza della ribellione possa essere  giustificata. Conte sceglie di far muovere i suoi personaggi in uno spazio angusto e astratto, uno spazio metafisico dove i personaggi sono costretti ad un confronto serrato senza alcuna via di fuga e dove si consuma uno scontro tra ideali assoluti, che meritano di essere tutti pronunciati con l’iniziale maiuscola: Amore e Odio, Giustizia e Oppressione, Colpa e Redenzione, Punizione e Perdono, Grazia e Pentimento, Nichilismo e Rivoluzione…

I protagonisti sono un gruppo di giovani rivoluzionari, quattro uomini e una donna. Gianmaria Martini è Kaliayev l’attentatore che decide di risparmiare i bambini ma non esita a uccidere il Granduca e accetta il suo destino . Sarah Pesca interpreta Dora, unica donna della cellula terroristica, innamorata dell’idea rivoluzionaria di giustizia non meno che di Kaliayev, dal quale vorrebbe essere riamata come donna di carne e sangue non meno che come generico rappresentante dell’Umanità. Pesca interpreta anche la Granduchessa che ha visto morire il marito nell’attentato terroristico e si trova a confrontarsi con l’assassino. Luca Mammoli è impegnato nel doppio ruolo di Stepan il più radicale del gruppo e di Skuratov poliziotto che in carcere tenta  di far crollare le convinzioni  di Kaliayev. Graziano Siressi presta il volto a Annenkov capo della cellula terroristica e a Foka, il boia della prigione. Il giovanissimo Alessio Zirulia, infine, scelto per il ruolo con un provino nazionale, interpreta Voinov personaggio lacerato dai dubbi e la guardia del carcere.

Per la cronaca, l’attentato al Granduca poi si fece  il 17 febbraio 1905 al Cremlino e assieme a lui perse la vita il cocchiere Rudinkin. Ivan Kaljaev, sopravvissuto praticamente incolume all’esplosione, venne immediatamente arrestato, condannato a morte e impiccato due mesi dopo. Di questo episodio storico il testo di Camus è una libera drammatizzazione che ci appare oggi un oggetto non identificato che proviene da un altro tempo e un altro mondo. Un frammento arroventato di Novecento che attraversa il cielo al crepuscolo di questa nostra tarda, estenuata, modernità in cui le statistiche certificano che l’un per cento della popolazione mondiale detiene una ricchezza pari al restante 99. Noi per un attimo alziamo lo sguardo dagli schermi dei nostri smartphone,  come forse fecero i dinosauri per tornare immediatamente dopo al loro ottuso brucare, nel vago presentimento della tempesta di fuoco che li avrebbe travolti. Nei giorni feroci a venire che, forse, produrranno uomini e donne che, ancora una volta, avranno il coraggio e la crudeltà, la consapevolezza e l’incoscienza, la sventatezza e la mancanza d’ironia – in una parola, la Necessità – di tornare a pronunciare quelle parole fatali con l’iniziale maiuscola.

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