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Sparare per non sparire. Idv, garantismo a mano armata

Idv, nessuno lo sa ma esiste ancora il partito che fu di Di Pietro, viavai di parlamentari che votano come il Pd su Minzolini e la pensano come Salvini sulle schioppettate

di Enrico Baldin

sparare

Da mani pulite a mani armate. Così si potrebbe sintetizzare in una battuta la parabola politica dell’Italia dei Valori, partito sorto sull’onda lunga del processo che fece salire alla ribalta Antonio Di Pietro, uomo di punta del pool di magistrati dell’inchiesta “Mani pulite”. Di Pietro, che successivamente lasciò la toga per passare alla politica, fu per anni il numero uno di un partito che portava il suo cognome molto più che come effigie.

A quasi vent’anni dalla fondazione dell’IdV e con quell’Antonio Di Pietro andatosene tre anni fa sbattendo la porta, il valore di “giustizia” rimane la bandiera del movimento guidato dall’ex sindaco di Sciacca Ignazio Messina. Negli anni gli eredi politici di mani pulite, sul tema giustizia si sono incuneati tra diverse posizioni, alcune delle quali hanno anche suscitato polemiche: dal rifiuto all’indulto promosso dal secondo governo Prodi al boicottaggio all’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta che indagasse sulle violenze al G8 di Genova, dalla campagna per promuovere un referendum abrogativo del cosiddetto lodo Schifani a quella per abrogare il lodo Alfano. L’ultima frontiera sul fronte giustizia dell’Italia dei Valori pare essere quella populista home made. Nel senso che sì, esistono le forze dell’ordine, i giudici e i magistrati, ma a casa tua puoi farti giustizia da te, pure a mano armata. La proposta di legge di iniziativa popolare portata avanti dall’IdV e depositata in Parlamento l’anno scorso infatti punta a rendere legale la difesa in casa togliendo il cosiddetto eccesso colposo e raddoppiando le pene per chi viola il domicilio. «Niente sceriffi» ha giurato più volte Messina, «Solo la possibilità di difendersi nel proprio domicilio e una legge che fa effetto deterrente». E a corredo della proposta di modifica del Codice Penale, l’IdV ha pubblicato un e book di una cinquantina di pagine zeppe di articoli di giornale con rapine e sparatorie in casa. Nessuna condanna per chi spara, nessun risarcimento a chi viene colpito, pena raddoppiata a chi viola il domicilio: Ignazio Messina sta girando tutta Italia per ribadire la principale proposta del suo partito portata a suon di firme in Parlamento.

Sebbene i due lo rinneghino, quello di Messina pare una sorta di legame ideale con Salvini nell’ottica della politica securitaria. Un ritorno ai vecchi tempi, quando in solitaria Lega e IdV – soli contro tutti – manifestavano la loro contrarietà al provvedimento di indulto approvato dal Parlamento dopo la visita di Giovanni Paolo II.

Del resto l’Italia dei Valori ha deciso di fare della legge sulla difesa del domicilio il principale cavallo di battaglia per suonare la carica ad un partito che, lontano da quei 2 milioni e mezzo di voti delle Europee del 2009, pare essere a dir poco agonizzante: zero presenza televisiva, risultati elettorali pessimi, a volte neppure la possibilità di candidarsi alle elezioni amministrative. E come se non bastasse un bilancio a dir poco spaventoso: nel conto economico del 2015 le entrate erano di soli 46mila euro e le uscite di due milioni di euro. Il partito ha dovuto mettere mano un po’a tutto: sono state chiuse sedi regionali, chiuse collaborazioni, chiusa la sede romana di piazza San Giovanni e spostata al terzo piano quella di via Santa Maria; è stato ridotto il numero di dipendenti dimezzando il costo del lavoro, azzerati i contributi alle realtà regionali. Non è granché d’aiuto neppure il 2×1000: nel 2016 solo seimila cittadini hanno scelto di destinare all’IdV la quota della loro dichiarazione dei redditi, l’introito si avvicinerà ai 65mila euro. Per il partito i tagli sono l’unica scelta per evitare la bancarotta.

Per non parlare della politica. L’Idv in tempi di antiberlusconismo esplodeva in consensi, ma a termine della XVI legislatura non riusciva a mantenerli perdendo pezzi per strada. La tendenza a perder pezzi a dir la verità l’aveva sempre avuta. Vedasi alla voce Valerio Carrara, agli albori della vita dell’IdV ne fu il primo parlamentare della storia: passò a Forza Italia dopo un solo giorno dall’elezione con l’IdV; o al nome Sergio De Gregorio giunto all’IdV da Forza Italia e poi ritornato a Forza Italia con in mezzo un paio di inchieste delle procure antimafia. Per non parlare dei più celebri Razzi e Scilipoti. Ma le perdite più gravi sul campo arrivarono con mezz’ora di quell’inchiesta del programma Report sulle proprietà immobiliari del padre padrone Di Pietro. Fatto sta che il buco nell’acqua è completato con le elezioni politiche del 2013 che, a sostegno dell’ex pm antimafia Ingroia, vedono l’IdV fuori dal Parlamento.

Ma se dal Parlamento si esce dalla porta ci si può anche rientrare dalla finestra. Ed in effetti la travagliata storia parlamentare dell’IdV prende nuova vita con un “Toh chi si rivede”: nel 2014 infatti rientra nell’IdV Nello Formisano che ne era uscito solo due anni prima per aderire, con Donadi e altri, al gruppo dei centristi. Formisano però rientrato all’IdV ci resta solo per un anno, poi se ne va di nuovo: forse non era amore. Nel 2015 approda all’IdV il senatore Michelino Davico, dal 2006 senatore della Lega Nord e appassionato di ciclismo, inventore del Giro della Padania. Davico però resta soli quattro mesi all’IdV e poi se ne va. Ma non tutto è perduto, perché a luglio del 2015 direttamente dal Movimento 5 stelle approdano al Senato Alessandra Bencini e Maurizio Romani a cui si aggiungerà un anno dopo Francesco Molinari, anche lui ex grillino pentito. La piccola pattuglia al Senato di ex grillini sembra offrire migliori fortune dei transfughi di passaggio di inizio legislatura, ma il dictat per la formazione di Ignazio Messina è il sostegno al governo. Prima quello di Renzi, oggi quello di Gentiloni con in mezzo la decisione di schierarsi per il SI al referendum costituzionale.

Quella dell’IdV è vera e propria fedeltà, anche nelle scelte più discutibili e meno in linea con la storia del partito. Per esempio sulla mozione di sfiducia per il ministro Lotti i tre senatori ex grillini hanno preferito non partecipare al voto non mettendo in difficoltà la maggioranza; sulla decadenza da senatore di Augusto Minzolini invece hanno preferito votare come il Pd e Forza Italia salvando l’ex direttore del Tg1 condannato in via definitiva per peculato. Per il partito di Messina, andato recentemente a Retequattro per ripresentare la proposta sulla legittima difesa, è contemporaneamente tempo di garantismo e di pistole fumanti.

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