Il blocco ai caselli, per chi osi andare a manifestare a Roma, è ormai consuetudine nell’era del ministro Minniti. Dopo il “sequestro” di 160 manifestanti del #25M, il caso di 700 precari della pubblica amministrazione
da Napoli, Antonello Zecca
Il decreto sicurezza, meglio noto come decreto Minniti, è ormai pienamente operativo.
Quindici autobus provenienti da Napoli e Bari, con più di 700 precari e precarie della pubblica amministrazione, sono stati fermati ieri dalla polizia al casello di Roma Sud mentre si recavano alla volta di Piazza Vidoni a Roma per una manifestazione nazionale.
Il blocco ai caselli, aggravato dalla perquisizione individuale dei lavoratori e delle lavoratrici, sta diventando scenario consueto nel nuovo scenario targato PD, in cui l’esaurimento dei tradizionali margini di mediazione sociale si è riflesso nell’aggravamento sostanziale dei dispositivi di repressione, ormai diventata repressione preventiva.
La Federazione Sociale USB, tra le principali promotrici della manifestazione, ha sottolineato esattamente che quest’ultimo aspetto non può più essere sottovalutato e che la massima attenzione al riguardo è necessaria.
Si tratta in tutta evidenza di un grave problema di mancanza di agibilità democratica in questo Paese: di fronte all’aggravamento di una crisi che produce sempre più esclusione sociale e marginalizzazione, il governo e i suoi mandanti sociali non possono più consentire la libera espressione di rivendicazioni per il lavoro, per il diritto all’abitare, contro la devastazione ambientale, contro la logica delle privatizzazioni, che cozzano radicalmente contro le politiche di austerità co-promosse dai governi nazionali insieme all’Unione Europea.
In questo quadro, come sta accadendo ai militanti e agli attivisti politici e sociali che andranno a processo a Napoli domani, le lotte sociali sono equiparate ad attività estorsive.
Non certo un salto di poco conto.