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Non hai urlato abbastanza: non è stupro

Torino, l’incredibile sentenza che trasforma una donna da parte lesa a imputata: non hai urlato abbastanza, non è stupro. Un corteo rumoroso disturba lo shopping domenicale per denunciare la sentenza

da Torino, Chiara Carratù

presidio torino 3

Domenica 02 aprile la rete Non Una di Meno – Torino si è data appuntamento per un presidio a piazza Castello con lo scopo di denunciare l’ennesima violenza agita da un tribunale e nello specifico contro la sentenza del tribunale di Torino della giudice Diamante Minucci che ha processato per calunnia Laura (il nome è di fantasia), assolvendo in pieno Massimo Raccuia, ex commissario della Croce Rossa Italiana, per il quale il pm Marco Sanini aveva chiesto 10 anni.

La donna, che ha subito violenza sul posto di lavoro e ha avuto il coraggio di denunciare da parte lesa è diventata imputata; non è stata giudicata attendibile, non è stata creduta perché durante le violenze non avrebbe urlato e non avrebbe mostrato i segnali “canonici” dello stupro. Questa sentenza poi aggiunge la beffa della denuncia per calunnia verso Laura. Purtroppo quanto deliberato dal tribunale di Torino non è un caso isolato e non è neppure un errore, si pensi alla famosa sentenza dei jeans.

La realtà è che esiste una cultura misogina, sessista e machista che rende possibile simili sentenze e che è anche alla base del patriarcato che è alla radice della violenza di genere. Non esistono scuse o giustificazioni valide per la violenza contro le donne: sentenze come quella del tribunale di Torino vanno denunciate e combattute così come va combattuta la cultura che permette che ancora oggi si possano cercare giustificazioni per i femminicidi. Oggi in piazza è stato ricordato che solo in questa ultima settimana tre donne sono state uccise in Piemonte e sono state uccise per mano di mariti o compagni. Le donne sono parte lesa anche se non urlano, anche se indossano la minigonna, anche se camminano sole per strada, anche se escono la sera e non esistono femminicidi per raptus o follia ma solo femminicidi compiuti da uomini violenti.

È contro il sistema patriarcale e tutte le sue conseguenze che la rete Non Una di Meno di Torino è tornata in piazza e lo ha fatto in piena solidarietà con Laura ma anche con tutte le donne coraggiose che affrontano processi in cui da parte lesa diventano, sempre più, parte imputata e con tutte le donne che subiscono violenza e che non vanno lasciate sole. Al grido di “Non Una di Meno” e di “per ogni donna stuprata e offesa, siamo tutte parte lesa” il presidio in piazza Castello è diventato un piccolo corteo itinerante e rumoroso per le strade del centro città, affollate per la domenica ecologica. Lo shopping della domenica è stato interrotto come la routine del passeggio, si è scelto di non restare in silenzio e sono stati diffusi centinaia di volantini. La solidarietà intorno al corteo è stata tanta. Questa iniziativa non sarà l’unica: il 4 aprile alle 20:00 in Cavallerizza è convocata l’assemblea cittadina del movimento per decidere quali iniziative costruire dopo lo sciopero dell’8 marzo mentre il 12 aprile alle 12:00 l’appuntamento è davanti al tribunale di Torino, ancora una volta per dire no alla violenza dei tribunali contro le donne.

presidio torino

Il 27 marzo scorso, l’Ansa aveva diffuso questo dispaccio:

Tre parole scritte in stampatello, con vernice nera, di fronte al Palagiustizia di Torino: «Protegge chi stupra». Questa l’accusa rivolta a Diamante Minucci, la giudice che ha assolto un uomo dall’accusa di violenza sessuale nei confronti di una donna perché, sono le motivazioni della sentenza, gli avrebbe detto «solo ‘bastà», senza «gridare». Un caso sul quale il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha annunciato accertamenti e che nei giorni scorsi ha fatto discutere. Fino, appunto, alla scritta comparsa questa mattina, firmata con la «A» cerchiata di anarchia, che la procura farà «rimuovere immediatamente». Il caso è quello di un ex commissario della Croce Rossa finito alla sbarra per i rapporti con una collega. Il pm Marco Sanini, che ha sempre creduto nella vittima, aveva chiesto una condanna a dieci anni per l’imputato, difeso dagli avvocati Cosimo Maggiore e Vittorio Rossini. Lo scorso 15 febbraio il tribunale lo ha assolto con formula piena, perché «il fatto non sussiste». E ha anche ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda contro la parte lesa per calunnia. «Ci sono sentenze giudiziarie che lasciano senza parole, sono incomprensibili e lontanissime dalla giustizia», ha affermato la deputata di Forza Italia Annagrazia Calabria, mentre la Rete Nazionale dei Centri Antiviolenza D.i.Re ha ricordato che «dire di no, anche con un filo di voce, deve essere sufficiente a fermare un uomo». Eppure il tribunale che ha emesso la sentenza – composto da tre giudici donna – ha analizzato punto per punto, dettaglio per dettaglio, tutti gli episodi riferiti dalla vittima, riscontrando contraddizioni, dimenticanze sospette e atteggiamenti che non sono compatibili con le violenze denunciate. Il collegio manifesta incredulità di fronte alla versione della donna, che ha raccontato di aver subito, tra la primavera 2010 e novembre 2011 una decina di violenze sessuali, di cui tre con rapporti completi. La volontaria – si legge nelle motivazioni della sentenza – ha detto che «nella sua vita, dopo che l’imputato l’aveva costretta al primo rapporto, non era cambiato niente. Non grida, non urla, non piange, risponde alle chiamate di servizio mentre lui l’aggredisce, pare abbia sempre continuato il turno con il collega dopo gli abusi. Non riferisce di aver adottato alcuna precauzione per evitare di rimanere sola con lui, né per ostacolarne la violenza quando se ne fosse ripresentata l’occasione». Il Tribunale inoltre puntualizza che la donna non manifesta «sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abusi sessuali: sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo». Sono in corso gli accertamenti della Digos per individuare gli autori della scritta comparsa questa mattina davanti al Palagiustizia di Torino.

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