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Macron come Prodi. Il signor Stella e il vuoto utile

Gian Antonio Stella, ideologo “raffinato” dell’antipolitica, si scaglia contro  Mélenchon e Livio Maitan colpevoli di non volere, rispettivamente consegnarsi a Macron e a Prodi

di Checchino Antonini

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C’è sempre qualcuno che ci consiglia di scegliere tra la peste e il colera. Uno di loro è Gian Antonio Stella, penna raffinata del Corsera che oggi riscopre il gran rifiuto di Livio Maitan al tempo del primo governo Prodi e lo raffronta al ni peste, ni choléra con cui Jean-Luc Mélenchon ha scelto di sfilarsi dal dare indicazioni utili per il secondo turno delle presidenziali francesi.

«…la riluttanza schifata con cui il leader del Parti de Gauche si è rifiutato per giorni di invitare i suoi a schierarsi al ballottaggio con Macron, ricorda troppi altri “né-né”. Dal «né con lo Stato né con le Br» a «né con la Brexit né contro la Brexit» di Jeremy Corbyn. Ma come dimenticare Maitan?

Non solo noi non dimentichiamo Livio Maitan ma non dimentichiamo nemmeno Prodi.

Correva l’anno 1998 e il voto dei trotzkisti, di cui Maitan è stato uno degli esponenti più autorevoli, fu determinante nella scelta di Rifondazione di togliere l’appoggio al governo che stava preparando la guerra alla popolazione civile della Jugoslavia. Ma la morte di civili inermi è poca cosa di fronte alla sopravvivenza di un governo che piaccia al dottor Stella. Anzi, alla classe di cui Stella difende gli interessi.

Prodi (naturalmente entusiasta della controriforma della costituzione di Renzi) è salito due volte a Palazzo Chigi anche sulla spinta delle speranze dei lavoratori per una svolta quantomeno keynesiana, se non nettamente a sinistra. C’è ancora in giro un senso comune nostalgico per quei governi e perciò c’è bisogno di memoria storica per provare a contrastarlo. Prodi, andrebbe ricordato, è quello che regalò l’Alfa alla Fiat, quello del pacchetto Treu, dell’istituzione dei Cpt, della direttiva Bolkestein, dell’incenerimento di balle fuorilegge e velenose ad Acerra, dell’autorizzazione agli Usa per il Dal Molin, del decalogo che contemplava la priorità della Tav.

Chi è Prodi? E’ uno degli esponenti della Democrazia cristiana sopravvissuti alla prima, alla seconda e anche alla terza repubblica. Frits Bolkestein fu commissario europeo per il mercato interno quando Prodi era a capo dell’Ue. La direttiva Bolkestein è quella che liberalizza i servizi consentendo, ad esempio, che un lavoratore straniero possa essere pagato all’estero con il contratto del suo paese (il famoso idraulico polacco a Parigi) alla faccia dei lavoratori residenti e dei loro contratti collettivi nazionali.

Il primo governo Prodi aumentò l’Iva dal 19% al 20% e abbassò le tasse ai più ricchi: ridusse gli scaglioni e la progressività dell’Iperf, di cui portò l’aliquota massima Irpef per i Paperoni dal 51% al 45,5%. Soprattutto diede inizio al processo di precarizzazione del mercato del lavoro italiano con la legge Treu (1997). Una legge che, secondo l’Ocse, ha inciso in termini di deregolamentazione del mercato del lavoro molto più della Legge Biagi, varata dal governo Berlusconi nel 2003. Le privatizzazioni effettuate dal governo Prodi sono state molte di più di quelle effettuate del governo Berlusconi, a partire dalla “madre” di tutte le privatizzazioni, quella di Telecom (1997).

Durante il Prodi II, il ministro dell’economia Padoa Schioppa (già artefice dell’euro e successivamente membro del Consiglio di amministrazione della Fiat), aumentò le aliquote dell’Irpef per i redditi più bassi mentre le imposte per le imprese, l’Ires e l’Irap furono diminuite. La riduzione del cuneo fiscale andò tutta a favore delle imprese. Intanto l’Italia incrementò il numero dei suoi soldati e dei suoi mezzi offensivi in Afghanistan, dove furono impiegati in vere e proprie azioni di guerra che il governo provava a smentire. Prodi, insomma, ama la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. 11 per lui sono i giocatori della Reggiana ma non l’articolo della Costituzione che ripudia la guerra.

Le privatizzazioni a prezzi improbabili sono state una vera crociata di Prodi, la vera Thatcher italiana: come la Stet, ricca e potente finanziaria delle telecomunicazioni, che controllava Sip, ma anche Italtel e Sirti. Nell’ottobre 1988 Iri vendette a Stet il 26% del pacchetto azionario Italtel per 440 miliardi, quando in base a un piano elaborato due anni prima da Prodi e Fiat ne avrebbe ricavati solo 210. Poi ci sono le pagine scure della gestione del buco Finsider o dei fondi neri Italstat. Fino all’affare Arese: l’Alfa era in rosso fisso ma la Ford, probabilmente ritenendo che si potesse usare un nome di grande tradizione per sbarcare in Europa, avanzò un’offerta assai generosa: ben 3.300 miliardi (secondo alcune fonti 4.000) per acquisire gradualmente il pieno controllo entro otto anni, piano di investimento di 4.000 miliardi per il quadriennio successivo all’acquisto, ottime garanzie per coloro che risultavano impiegati nel carrozzone. L’offerta venne formalizzata il 30 settembre del 1986 e restava valida fino al 7 novembre dello stesso anno. Fiat invece sborsò tra i 300 e i 400 miliardi e il 6 novembre l’Iri di Prodi cedette l’Alfa alla famiglia Agnelli, quella che dieci anni più tardi sarebbe stata tenuta artificialmente in vita con gli ecoincentivi per l’auto del governo Prodi.

Tutto ciò non scandalizza il dottor Stella Gian Antonio, che non spiega nemmeno le ragioni che spinsero Maitan e i “trozkisti” (in realtà la stragrande maggioranza degli iscritti a Rifondazione era contro Prodi mentre la stragrande maggioranza dei parlamentari scelse con Cossutta, Diliberto e Rizzo (che oggi è orgogliosamente stalinista filo Assad, filocoreano e campista putiniano) di saltare il fosso appoggiare il governo D’Alema e poi Amato) e, ora come allora, il ritornello è sempre lo stesso: “Volete che torni Berlusconi?”. O, in salsa francese, “volete che a salire all’Eliseo sia Le Pen?”.

Stella fornisce una pagina di cattivo giornalismo ossia, senza argomentare mai, mescola Maitan, Mélenchon e Deng Xiao Ping (che Maitan aborriva e che a Stella, invece, dovrebbe piacere perché è uno degli artefici della restaurazione capitalista in Cina). E, peste o colera, Stella vuole che si scelga: almeno una di queste disgrazie ci deve capitare. E’ la logica perversa del voto utile ossia pretendere il consenso delle classi subalterne senza nulla in cambio. D’altra parte Stella ha appena festeggiato il decennale del suo La casta, raffinato pamphlet sui costi della politica con cui s’è aperta la stagione dell’antipolitica. Quando si tratta di partiti e sindacati è lecito buttare il bambino con l’acqua sporca.

Ma concludiamo con le parole di Maitan citate dallo stesso Stella perché ora suonano più chiare: «Io sono trotzkista in tutti i sensi della parola. Sono contro il capitalismo, per l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, credo nel socialismo. E vuole che non sia contento di mettere finalmente in crisi un governo come questo? Ci pensi: i trotzkisti costringeranno Prodi a dimettersi. Non è magnifico?».

Maitan è scomparso a settembre del 2004 ma, se fosse stato vivo e francese, avrebbe votato per Philippe Poutou, operaio Ford, anticapitalista e internazionalista. Con buona pace di Stella.

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