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Gran Sasso, il giallo dell’acqua

Acqua «non accettabile» dal Gran Sasso. Emergenza idrica nel teramano, trasparenza solo grazie agli ambientalisti

di Alessio Di Florio

infs-abruzzo

Il 1° Giugno a Teramo ci sarà un’assemblea pubblica per decidere date e modalità della mobilitazione popolare per l’acqua del Gran Sasso, la maggior riserva d’oro blu d’Europa. Una mobilitazione partita dopo la nuova emergenza idrica scattata il 9 maggio scorso, quando in 32 Comuni della Provincia di Teramo,  serviti dalla Ruzzo Reti spa,  l’acqua fornita è stata dichiarata non idonea al consumo umano. Emergenza dichiarata rientrata nella notte ma che ha allarmato, lasciando numerosi dubbi, migliaia di cittadini che avevano letteralmente preso d’assalto i supermercati. Nel tardo pomeriggio la ASL in una nota informava della non conformità dell’acqua per “odore e sapore non accettabile” rilevata dall’Arta. A L’Aquila, invece, il direttore tecnico della Gran Sasso Acqua (che rifornisce il capoluogo e altri 35 Comuni) dichiarava che le analisi effettuate dopo le segnalazioni di “cattivo odore” confermavano la potabilità. In piena notte, nuove analisi alla mano, L’ARTA ha certificato la “piena conformità alla normativa vigente” dell’acqua distribuita. Emergenza quindi, ufficialmente, rientrata.

Il presidente della Ruzzo Reti Fortini, in un incontro con i sindaci e la Regione, ha puntato il dito contro l’ASL, definendo il provvedimento del 9 maggio “affrettato e poco concertato” e parlando di “allarmi infondati”. Nello stesso incontro è stato concordato, allo stesso tempo, un Ordine del Giorno per il Consiglio Provinciale in cui si chiederanno Interventi strutturali per la definitiva messa in sicurezza delle sorgenti del Gran Sasso con l’intervento, anche finanziario, di tutti i soggetti coinvolti, compresi Istituto nazionale di fisica nucleare, Strada dei Parchi e Ruzzo Reti. Lo stesso Fortini, dopo la fine dell’emergenza lampo, aveva definito alla stampa locale le attività di Ruzzo Reti, Laboratori sotto il Gran Sasso e Strada dei Parchi “confliggenti”, aggiungendo che orse qualcuno dei tre dovrebbe rinunciare ma non dico io chi. O forse si dovrebbero trovare risorse per mettere in sicurezza il tutto ed evitare episodi come quelli accaduti”. Ma l’Istituto nazionale di fisica nucleare e Strada dei Parchi hanno dichiarato la propria estraneità ai fatti del 9 maggio. L’Istituto ha dichiarato che “le acque provenienti dal punto di captazione interno ai Laboratori sono messe a scarico dal giorno 1° maggio. È quindi da tale data che tutte le acque provenienti dai Lngs non vengono immesse nella rete idrica dell’acquedotto del Ruzzo”. A sua volta Strada dei Parchi ha rilasciato un duro comunicato stampa definendo ridicoli i sospetti, dichiarando che i materiali sono autorizzati dalla ASL, che in oltre dieci anni non hanno mai rilevato problemi, che “le quantità di solventi contenuti nelle vernici sono davvero infinitesimali” e sottolineando la presenza sotto il manto stradale di 25 centimetri di catrame e dai 30 ai 70 centimetri di cemento armato e, quindi, sarebbe impossibile qualsiasi filtraggio nella falda. Secondo la Società del Gruppo Toto è in atto ““un perverso gioco di scarico delle responsabilità e di errori di valutazione”.

Il passare delle settimane non ha chiarito ancora nessuno dei dubbi e degli interrogativi. Nonostante lo scorrere del tempo gli enti pubblici non hanno ancora definitivamente chiarito cosa è accaduto nelle due emergenze. Intanto associazioni e movimenti si organizzano e incalzano chi dovrebbe gestire la “cosa pubblica”.

Alcune associazioni ambientaliste (tra cui Arci, Cittadinanzattiva, Legambiente, WWF e Italia Nostra) hanno dato vita ad un “Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso. Dopo un incontro pubblico con i rappresentanti di ASL, ARTA (l’Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente), la Ruzzo Reti, Provincia e Comune di Teramo e Parco Gran Sasso e Monti della Laga, l’Osservatorio è giunto alle conclusioni che il sistema di approvvigionamento idrico “ha una permeabilità che potenzialmente rappresenta un pericolo”, considerata anche la vicina presenza dei Laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e delle gallerie autostradali A24/A25, e giudica “un grave errore insistere su una gestione della problematica sul modello commissariale, senza un reale confronto e senza il coinvolgimento delle comunità locali”.

Sotto il Gran Sasso vengono utilizzati, in esperimenti dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, mille tonnellate di acquaragia e 1.250 di trimetilbenzene, “un eventuale incidente all’Infn contaminerebbe l’acqua delle province di Teramo, L’Aquila e Pescara, in quanto tutto è collegato al Gran Sasso”, lasciando almeno 700.000 cittadini senza approvvigionamento idrico per anni, è il grido di Augusto De Sanctis del Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua Pubblica in un recente incontro a Teramo. Secondo De Sanctis il toluene trovato ad inizio maggio, però, non poteva venire dai Laboratori in quanto l’acqua era “a scarico” e, quindi, la sostanza chimica “probabile sia legata alla verniciatura all’interno del traforo”. Il Forum, insieme alla Stazione Ornitologica Abruzzese, in queste settimane sta rendendo pubblici alcuni documenti di cui le associazioni sono entrate in possesso. Ad oggi è, di fatto, l’unico quadro delle sostanze e di cosa è accaduto. Senza l’impegno (volontario) degli ambientalisti la cittadinanza sarebbe rimasta solo con domande inevase e senza sapere nulla di nulla.

Il 30 agosto e il 1° settembre dell’anno scorso l’ARTA ha riscontrato la presenza di diclorometano, la Ruzzo Reti non ne ha riscontrato tracce nei suoi prelievi del 29 agosto e del 1° settembre (due prelievi nelle stesse acque lo stesso giorno restituiscono risultati diversi?), in quei giorni in punti diversi i Laboratori hanno riscontrato tracce della sostanza. Una nota della ASL del 10 Ottobre 2016 riporta che, dopo il caso del trimetilbenzene (2002), ci sarebbero state altre “problematiche di contaminazione”. Ma non se ne hanno notizie pubbliche, cosa è avvenuto e come sarebbe stato gestito?

Venendo alla cronaca di queste settimane, e all’ultima emergenza, già il 3 e il 5 maggio l’ARTA ha riscontrato presenze di toluene, etilbenzene e xilene, di cui ha dato notizia alla ASL l’8 maggio che, nello stesso giorno, ha segnalato questo ritrovamento a vari enti ponendolo in possibile correlazione con i lavori di verniciature nelle gallerie autostradali. Un’eventualità che Strada dei Parchi il 10 maggio ha definito “ridicola”, aggiungendo che “le quantità di solventi contenuti nelle vernici sono davvero infinitesimali”.  Tracce di Toluene sono state riscontrate anche a L’Aquila nei campioni di acqua del 5 e dell’8 maggio. In quei giorni Aurelio Melaragni, direttore tecnico della Gran Sasso Acqua – che gestisce il servizio idrico all’Aquila e in altri 35 Comuni – rese noto che le prime analisi effettuate dopo segnalazioni di “cattivo odore” confermavano la potabilità dell’acqua distribuita nel capoluogo regionale e nella zona. Nell’occasione lo stesso Melaragni ha ipotizzato – testualmente – “interferenze durante lavori stradali”.

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