Lunedì 5 giugno a Roma sarà ricordata la figura di Rina Carla Zappelli Verbano, la combattente madre di Valerio. Una vita dedicata alla ricerca di verità e giustizia
di Marina Zenobio
«Prima di morire vorrei che l’assassino suonasse ancora alla mia porta. Vorrei che, prima ancora di dirmi buongiorno mi dicesse: “Sono io l’uomo che ha ucciso suo figlio”. Lo farei entrare e gli parlerei. Prima di morire vorrei capire. Non m’interessa sapere perché hanno ucciso in quel modo un ragazzo di diciotto anni, perché hanno legato noi nella stanza a fianco, perché sono venuti a sparargli qui, in casa mia, su quel divano. Lo farei accomodare, l’assassino, gli preparerei un caffè purché mi spiegasse perché l’hanno ucciso, purché mi raccontasse chi ha deciso che le fotografie scattate da mio figlio erano troppo pericolose, che tutto il lavoro fatto da Valerio sull’eversione nera doveva essere fermato, portato via, distrutto».
Pronunciava spesso queste parole Rina Carla Zappelli Verbano, per tutte e tutti Carla Verbano, fino alla sua morte, avvenuta dopo una lunga malattia il 5 giugno 2012. E se ne è andata senza che questo suo desiderio si avverasse. Nessuno, né le istituzioni né altri hanno saputo o meglio voluto dirle perché suo figlio, Valerio Verbano, militante di Autonomia Operaia, sia stato ucciso a casa sua da un nucleo fascista dei Nar, in un lontanissimo 22 febbraio 1980, davanti a lei e al papà di Valerio, Sardo, morto pochi anni dopo il figlio.
Dalla morte del figlio Carla, una casalinga che neanche si occupava di politica, si era trasformata in una combattente per la verità e non avrebbe più smesso di lottare e chiedere giustizia per la morte di Valerio e non solo. Perché si sta parlando di un periodo storico in cui furono tantissimi i giovani militanti di quella che veniva definita sinistra extraparlamentare a cadere sotto il piombo della polizia, di neofascisti, davanti le università come nelle piazze. Carla ha rincorso la verità fino all’ultimo giorno trovando la solidarietà e il sostegno di molti giovani, uomini e donne che nei valori di Valerio si riconoscono, un sostegno e una solidarietà sempre negati dalle istituzioni.
Carla raccontava di quel giorno, di quando arrivarono tre uomini col viso coperto a bussare alla sua porta, di come imbavagliarono lei e il marito e si misero in attesa del rientro a casa di Valerio : «In quel momento – diceva Carla – speravo solo che a Valerio succedesse qualcosa con il motorino, così non sarebbe rientrato a casa». E, mentre aspettavano, quegli uomini frugavano la casa, cercavano, cercavano probabilmente una serie di documenti perché, in quel periodo storico, Valerio come molti altri attivisti comunisti raccoglieva informazioni sugli ambienti più in vista della destra romana, delle connivenze con la Banda della Magliana. Ma a casa Verbano gli assassini di Valerio non trovarono nulla perché quel “dossier” glielo aveva sequestrato la polizia dopo un suo arresto nel 1979.
Di quella documentazione si persero le tracce perché chi procedeva alle indagini dopo l’omicidio di Valerio non riuscì a trovarlo, mentre molti reperti utili alle indagini come la pistola che uccise il giovane, un berretto di lana, un passamontagna e un guinzaglio vennero distrutti.
Nel corso degli anni però Carla non si diede mai per vinta, parte del dossier fu recuperato fino ad arrivare al 2011, quando la madre di Valerio rintracciò quasi tutta la documentazione e la depositò presso l’ufficio del Pubblico ministero che svolgeva le indagini. Di quella documentazione, che è stata con ogni evidenza tra le motivazioni che hanno portato all’omicidio di Valerio, non è stato mai fatto alcun utilizzo.
Carla ha resistito a tutto questo fino al 5 giugno di cinque anni fa, trentadue anni dopo l’assassinio di Valerio. Trentadue anni duranti i quali si è assunta la missione di far resistere il ricordo di suo figlio perché non venisse rimosso dalla memoria individuale e collettiva. A 80 anni aveva imparato ad usare Internet, creato un blog e un profilo social.
Carla è stata una delle tante madri a cui quel periodo di speranze e illusioni di una generazione in movimento ha strappato un figlio. Come, per fare alcuni esempi, Lydia Franceschi mamma di Roberto assassinato dalla forze dell’ordine nel 1973 davanti l’Università Bocconi di Milano, o Felicia Impastato mamma di Peppino ucciso a Cinisi (Palermo) dalla mafia nel 1978, o ancora a Danila Tinelli mamma di Fausto ucciso da neofascisti a Milano insieme all’amico Iaio nel 1978.
“Portatrici sane di memoria”, così definisce queste donne Chantal Castiglione su L’Enciclopedia delle donne, perché con il loro coraggio e la loro determinazione hanno impedito che si spegnessero definitivamente i riflettori sulle uccisioni dei loro figli, affinché non perdessero la loro storia individuale e perché non diventassero fantasmi nella memoria collettiva
L’appuntamento per ricordare Carla Verbano è sotto quella che è stata la sua casa e quella di Valerio, in via Monte Bianco 114, alle ore 18 di lunedì 5 giugno.