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La nuova sinistra non sia quella che unisce Pisapia e D’Alema

La sinistra nuova, quella a cui allude l’appello di Falcone e Montanari, per essere credibile dovrebbe aprire un percorso che non si inventa a ridosso di ogni scadenza elettorale

di Mario Lusi*

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La sinistra che si vorrebbe costruire ‘dal basso’, quella a cui allude l’appello di Anna Falcone e Tomaso Montanari, per essere credibile dovrebbe aprire un percorso reale che non si inventa a ridosso, o quasi, di ogni scadenza elettorale. Richiede una grande opera di tessitura che faccia incontrare davvero le soggettività sociali più avanzate e lucide operanti oggi nel nostro paese. Occorre andare con convinzione nella direzione opposta alla ‘postdemocrazia’, come efficacemente l’ha definita il sociologo inglese Colin Crouch, ossia quel tipo di società che va sempre più affermandosi nella quale prevalgono forme di governo che superano le idee e la partecipazione dei cittadini. E allora gli attori sociali da valorizzare nei nuovi istituti di democrazia partecipativa da costruire, facendoli irrompere nella scena pubblica degli attori forti già rappresentati (grandi imprese pubbliche e private, banche, proprietari di aree), sono quelli che non hanno voce o è debole. Si tratta di “una nuova composizione sociale che va però individuata a partire dai ‘margini’ e non dal centro. Sia i margini delle grandi città che quelli rappresentati dai piccoli centri e dai paesi. Si va dai flussi delle migrazioni alle nuove generazioni digitali ai markers, alle piccole imprese a vocazione tecnologica e sociale e a quelle della sharing economy che utilizzano la rete come dispositivo di aggregazione e condivisione della domanda, dai coltivatori degli orti urbani alle associazioni che operano nel disagio delle periferie, ai giovani ‘ritornanti’ che con imprese innovative stanno rianimando parchi, piccoli borghi e territori ai margini dello sviluppo. Un movimento che restituisce una nuova centralità alle ‘aree interne’ lontane dai centri urbani dotati di servizi, alle terre appenniniche e a quelle alte alpine”.

Per rivolgersi a queste nuove soggettività, è indispensabile però che molti volti noti delle piccole oligarchie vecchie o riciclate, si facciano da parte per lasciare spazio a quelli più credibili e rappresentativi di nuove istanze, a cominciare dai due promotori dell’appello, affinché possano svolgere un lavoro di coordinamento per dare un riferimento evidente e creare convergenze tra le realtà che ho accennato. Perché se le piccole oligarchie devono farsi da parte, un’azione di ricongiungimento non può nemmeno partire da una sommatoria delle singole specificità, da ‘identità’ e da ‘appartenenze’ spesso autoreferenziali, né da un singolo problema e neppure dai singoli territori o da pratiche alternative esistenti. Tuttavia da questa angolazione è indispensabile ripartire con un lavoro di lunga lena che, semmai si avrà la forza e la volontà reale di avviarlo, non potrà certo avere come orizzonte ultimo le prossime elezioni. Mi rendo conto che un appello la cui finalità è di natura principalmente elettorale, non possa tracciare le linee essenziali di un orizzonte culturale più ampio. Ma questo non esime dal tracciarlo.

Il tempo è ampiamente scaduto e non è più rimandabile la costruzione di un percorso che sia in grado di riattivare la circolazione sanguigna ed il sistema nervoso della nostra democrazia agonizzante, per consentire alla parte sociale più debole e nascosta di partecipare, farsi riconoscere ed essere finalmente rappresentata nei processi e nelle decisioni. Anche e soprattutto perché io auspico, che la nuova possibile sinistra non sia quella che unisca Pisapia, Bersani, D’Alema o loro controfigure.

*Mario Lusi cura unmarzianoaroma.net

 

 

 

 

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