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Sinistra, perché non ci convince l’appello Falcone-Montanari

I nodi della crisi italiana e la sinistra alternativa. Quale programma? Quale coalizione?

di Franco Turigliatto

Bandiera-Rossa-1

I nodi politici e sociali della crisi italiana chiamano in causa gli orientamenti e l’operato delle forze della sinistra radicale, caratterizzata da una grande frammentazione e frustrata da una serie di difficoltà ed insuccessi elettorali.

Precisiamo subito che sono causa delle sue difficoltà sia elementi oggettivi, le pesanti sconfitte subite dalla classe lavoratrice, sia elementi soggettivi collegati alle scelte politiche di cui la vicenda più significativa è stata quella del PRC, che aveva rappresentano agli inizi del secolo un riferimento alternativo per larghi strati popolari.

Presenza istituzionale e lavoro di massa

In questi ultimi anni poi, la capacità di presenza e intervento nella costruzione dei movimenti di massa è stata debole; le attenzioni politiche nei fatti sono state indirizzate soprattutto alla conquista delle posizioni istituzionali, per le quali in troppi sono stati disposti a subordinarsi alle logiche del centro sinistra e del PD. La pratica politica e sociale che ne è derivata ha reso arduo un reale inserimento nella classe lavoratrice determinando quindi anche la perdita di posizioni sul terreno istituzionale.

Non stupisce quindi che la scadenza elettorale ravvicinata abbia prodotto una grande attivazione politica di appelli, di proposte e buoni proponimenti. Non saremo noi a negare l’utilità di una presenza istituzionale e a sottovalutare l’importanza delle prossime elezioni politiche, la possibilità e necessità di presentare una proposta politica alternativa a livello di massa rispetto a quelle delle forze maggiori, PD, FI, Lega e M5S. C’è la consapevolezza nelle organizzazioni della sinistra che il voto possa permettere un nuovo ruolo politico, ma anche, vista la legge elettorale prospettata con l’antidemocratico sbarramento al 5% , del rischio di essere spinti ulteriormente nella marginalità politica.

Non possiamo che riaffermare che per preparare al meglio le elezioni le organizzazioni della sinistra, coinvolgendo anche i diversi collettivi e soggetti di “movimento” sia locali che nazionali, devono unire le loro forze militanti e gli strumenti politici organizzativi che hanno a disposizione per costruire una vasta campagna sui temi sociali, sull’occupazione, sull’unità dei lavoratori, sull’unità con i migranti, demistificando le menzogne e le ideologie reazionarie e di incitamento all’odio di Salvini e del neofascismo.

Non c’è dubbio che ci sia in settori sociali, tanto più dopo la bella vittoria del 4 dicembre, la domanda di uno schieramento di sinistra che si faccia portatore di obiettivi democratici, sociali, ecologisti e di solidarietà di fronte alla barbarie e alle ingiustizie del liberismo; potremmo chiamarla un’aspirazione, una coscienza, una richiesta riformista elementare.

Quale programma per le elezioni

Per questo in tanti propongono uno schieramento che unisca ed assembli su alcuni punti le rivendicazioni avanzate nei movimenti sociali e nei programmi dei partiti. I buoni propositi espressi sulla carta sono molti; sul piano economico si tratta di obiettivi keynesiani, che certo non rifiutiamo, ma che il più delle volte non fanno i conti con le ferree regole e la crisi del sistema capitalistico.

Hanno queste caratteristiche non solo le proposte di SI o del PRC, ma anche il genuino appello emerso dalle “Rete delle città in comune” per costruire dal basso, partendo dalle città, una alternativa chiaramente distinta ed opposta al centro sinistra e al PD.

Il punto di riferimento è ridiventata la Costituzione italiana, di cui certo vanno difesi i diritti democratici e valorizzate le generiche indicazioni di giustizia sociale presenti, ma che resta pur sempre la magna carta di una società capitalistica.

La posizione di SI in una recente intervista a La Stampa del suo segretario è emblematica in proposito quando prospetta un progetto redistributivo per ridurre le ingiustizie sociali, tenendo conto contemporaneamente degli interessi e del funzionamento dell’impresa.

La crisi e la barbarie dell’attuale sistema capitalista chiedono qualcosa di più, misure più radicali, una sua rimessa in discussione contro ogni illusione di una sua riforma più o meno indolore.

Ma c’è anche un elemento materiale di prassi che vanifica tante buone proposte ed intenti; i giusti obiettivi sociali rivendicati non sono poi espressi in una azione conseguente, nel lavoro di massa e nelle organizzazioni sindacali che, per loro natura, sono lo strumento che può farsene carico nelle piattaforme rivendicative e di lotta. Nelle direzioni delle grandi Confederazioni dominano scelte politiche del tutto compromesse con le politiche liberiste dei governi; la subordinazione delle principali forze della sinistra ai vari settori dell’apparato burocratico è demoralizzante e perdente. Non possiamo non rilevare che anche molti soggetti dirigenti di movimenti sociali territoriali o di scopo non hanno avuto interesse, se non marginale, per quanto avveniva nel mondo del lavoro.

Solo che senza un forte intervento in questa struttura fondamentale della società capitalista (la classe lavoratrice), senza il suo protagonismo è impossibile costruire la credibilità e la forza di un progetto alternativo ed anche essere credibili sul terreno elettorale, dove le proposte generiche, ambigue ed interclassiste del M5S sembrano dare una risposta più immediata anche se fasulla, alla domanda di cambiamento. Non si può fare economia nella costruzione di un’azione permanente e di presenza nella classe, pretendendo contemporaneamente i voti per rappresentarla. Lavoriamo invece tutti invece per aiutarla a riorganizzarsi e a ridiventare un pieno soggetto politico nella crisi italiana.

La centralità della campagna per l’occupazione

La crisi occupazionale impone una vasta ed articolata campagna politica e sociale per una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario e per un massiccio intervento pubblico, comprese le nazionalizzazioni, per creare posti di lavoro stabili e retribuiti decentemente. Certo occorre dare subito a tutti la possibilità di vivere, ma il reddito di cittadinanza o salario sociale non è la soluzione decisiva; può essere solo uno strumento transitorio; potrebbe diventare una mera elemosina che non interviene sulle ingiustizie di fondo. Facciamola tutti insieme questa campagna; diventi anche uno degli assi della presenza elettorale. Incalziamo le stesse organizzazioni sindacali a partire dalla CGIL.

Nel 2009 Sinistra Critica, poi trasformatasi in Sinistra Anticapitalista, raccolse le 50mila firme necessarie su un disegno di legge popolare funzionale a garantire un salario e un reddito a tutte e tutti. Al di là della quantificazione indicata 8 anni fa che dovrebbe essere aggiornata, riteniamo che i criteri e i contenuti del disegno di legge siano del tutto validi nella congiuntura attuale, molto di più di qualsiasi proposta di reddito di cittadinanza oggi in circolazione. Si tratta del Disegno di legge N. 1453 comunicato alla presidenza il 9 marzo 2009.

Coalizione con chi?

Lo sbarramento al 5% ha subito messo in moto la ricerca frenetica a garantirsi degli eletti (per alcuni questo sbarramento antidemocratico è stata una comoda giustificazione per agire le loro propensioni politiche moderate); ha aperto una corsa verso le alleanze più larghe, improponibili e subordinate ancora una volta ai soggetti politici (Bersani, D’Alema e company) che sono stati tra i principali protagonisti delle politiche del centro sinistra.

Fare il grande listone con gli uomini che nel corso degli ultimi venti anni, (dal primo ministro che ha bombardato Belgrado al ministro che ha compiuto le grandi liberalizzazioni), sono stati l’asse portante di gestione delle politiche liberiste e delle scelte della borghesia italiana ed europea, che si sono staccati dal loro figlio legittimo, Renzi, solo perché li ha presi a pedate, continuando però a votare le peggiori cose del governo Gentiloni, è una contraddizione di fondo. E’ negare la costruzione del progetto alternativo, ancorché riformista, che si pretende di difendere. Mostra tutta l’inconsistenza dei soggetti che lo propongono, il suo carattere meramente rivolto alla presenza istituzionale e non al progetto sociale.

Certo che ci può essere la richiesta di apparente “buon senso” di avere una lista unica a sinistra del PD, ma farla con Bersani e soci significa avvelenare l’acqua della fonte in cui si beve, significa ingannare gli elettori marciando verso un obiettivo del tutto diverso da quello che si afferma.

Non può stupire che Pisapia che voleva governare col PD e costituire un nuovo centro sinistra, respinto da Renzi, cerchi di essere il punto di riferimento di questa operazione. E così è per il Mdp che vede in questa possibile coalizione la sua sopravvivenza e il suo futuro.

Per quanto riguarda SI, i buoni propositi di alternativa del suo congresso, che aveva già scontato una fuga a destra verso l’Mdp, si sono sciolti come neve al sole, pronta a tornare in un ovile più accogliente. Del resto la pratica di governo in comune con il PD in alcune importanti regioni italiane – applicando a livello locale le politiche di austerità – segna il carattere opportunista di questa formazione più di qualsiasi proposito programmatico.

Questa rapida scelta fa saltare però anche l’ipotesi congressuale del PRC che aveva puntato le sue carte in un forte raggruppamento di sinistra che comprendesse SI, garanzia anche di una riconquistata rappresentanza parlamentare, e che aveva voluto riaffermare la sua piena alternatività sociale e politica all’austerità e a coloro che l’avevano gestita e rappresentata. A dire il vero questa impostazione politica di Rifondazione è fortemente contraddetta ogni volta che i dirigenti del PRC, indicando lo schieramento europeo che la interpreta, vi inseriscono una forza come Syriza che, come è noto, ha voltato le spalle al voto popolare del luglio 2015 e sta applicando il terzo memorandum della Troika.

Che cosa farà Rifondazione: cercare di garantirsi qualche eletto rinnegando l’anima radicale ed anticapitalista proclamata al congresso, oppure fare “il salto” difficile di una lista di alternativa programmatica?

Per parte nostra pensiamo che nelle prossime elezioni vada costruito lo schieramento più largo possibile che coinvolga forze politiche, soggetti ed esperienze sociali realizzate; per esistere deve essere costruito dal basso, ma anche con la convergenza indispensabile delle forze politiche che vogliono impegnarsi. Per essere realmente alternativo deve avere una composizione politica coerente e un programma che esprima obiettivi radicali corrispondenti alla gravità della crisi. Per usare l’espressione evangelica deve dire “pane al pane e vino al vino”, deve indicare chi sono gli avversari e i nemici, deve saper introdurre le parole e le spiegazioni anticapitaliste. Deve dire la verità e trovare i modi e le forme più semplici per farsi capire.

Lavoreremo nelle prossime settimane perché questa alternativa si possa esprimere; vogliamo realizzarla con il maggior numero di forze possibili, ma non seguiremo gli opportunismi o i cedimenti; non ci tireremo indietro dal compito indicato.

una versione di questo articolo è uscita sul sito anticapitalista.org

 

 

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