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Clima e cibo: “prendiamo il toro per le corna”

Clima, imparare a mangiare meno carne e latticini per combattere il surriscaldamento. Cause e possibili soluzioni in una pubblicazione di Grain e Iatp

di Marina Zenobio

Clima: Prendi il toro per le corna

 

La produzione alimentare globale produce il 29% delle emissioni complessive di gas serra che sta provocando il riscaldamento del clima. La produzione di carne e latticini è responsabile per la maggior parte di questa percentuale. Non possiamo dunque affrontare il cambiamento climatico senza ridurre la produzione e il consumo di carne e di latticini di origine industriale. E’ l’invito che emerge dalla ricerca “Prendi il toro per le corna” , pubblicata lo scorso febbraio da GRAINe lo IATP.
La ricerca contiene un’analisi particolareggiata sull’enorme responsabilità che il complesso industriale per la produzione di carne e di latticini ha nella destabilizzazione del clima, e come potremmo affrontare il problema. Popoff ne propone alcuni stralci, ma potete trovare QUI il testo completo, in inglese o spagnolo.

Secondo i ricercatori, la produzione zootecnica intensiva è causa importante della crisi climatica.

Attualmente l’allevamento di bestiame genera più emissioni di gas serra che non l’intero insieme del trasporto mondiale. Più della metà delle emissioni animali prende la forma di metano, un gas che nella nostra atmosfera conserva 30 volte più calore dell’anidride carbonica, ma scompare molto rapidamente una volta che si smette di produrlo.
produzione industriale di carneIl dossier riporta che l’80% dell’attuale crescita dell’industria globale produttrice di carni e latticini deriva dall’espansione di grandi aziende agricole, un’espansione accelerata dal consolidamento delle multinazionali e dall’integrazione verticale a livello mondiale. Solo due anni fa, nel 2015, cinque company – JBS, Tyson, Cargill, National Beef e Marfrig – rappresentavano il 20% della produzione di carne nel mondo.

Green e Iatp traggono da qui una conclusione drammatica: anche se fosse stato fatto tutto ciò che attualmente viene richiesto per fermare il cambio climatico (fermare l’estrazione e l’uso di combustibili fossili, scegliere energie rinnovabili ecc.), escludendo però la riduzione della produzione di carne a livello industriale, il pianeta sarebbe comunque in pericolo di arrivare ad uno scenario “catastrofico” di riscaldamento pari a 4°C entro la fine del secolo.

“Ma sia chiaro”, scrivono gli analisti, “il problema sta solo nella produzione di carne e latticini a livello industriale

Questo perché l’attività della produzione industriale è responsabile di una emissione massiccia di gas serra provenienti dall’uso di combustibili fossili, fertilizzanti, produzione di letame, deforestazione e degrado delle terre su vasta scala. Ciò è alla fonte di altri numerosi impatti, compreso quello dell’inquinamento ambientale, sfruttamento dei lavoratori, distruzione di piccole aziende a produzione familiare, abuso su milioni di animali e emergenze sanitarie a livello globale come la resistenza ad antibiotici e l’influenza aviaria.
Secondo gli scenari più ottimistici della FAO, le soluzioni tecnologiche difficilmente potrebbero portare alla riduzione di un 30% delle emissioni attuali provenienti dall’allevamento di bestiame. Ciò che è indispensabile è un cambiamento del sistema.
Carne e latticini di origine industriale mantengono prezzi a buon mercato in forma artificiale, grazie a fondi pubblici e politiche che esternalizzano i loro costi reali e danno impulso ad un ciclo continuo di produzione e commercio in eccedenza.
“Diminuire la produzione industriale è, per tanto, essenziale per fare fronte alla crisi climatica, anche cambiando le dinamiche in relazione alla domanda, che mettano potenza nel consigliare una dieta equilibrata e la riduzione di rifiuti alimentari”.

Attaccare il consumo sta alla fonte del problema perché, dicono le proiezioni, intorno all’anno 2050 l’aumento di consumo di carne e latticini aumenterà, rispettivamente, del 76 e del 65%. Se non si riduce drasticamente questo consumo, il risultato sarà quello di raggiungere i limiti di emissione stabiliti per il 2050 negli Accordi di Parigi.

Proiezione aumento consumo di carne per regione*

Consumo di carne per regioni mondiali
*comprende carne bovina, suina, pollame e ovini. Adattata da IFPRI, “Quanti chili per persona”, insights, Vol. 2, Issue 3, 2012, p.23 ebrary.ifpri.org/cdm/ref/collection/p15738coll2/id/127219

Il consumo pro-capite più alto continua ad essere in America del Nord, Brasile e Unione Europea. In Asia sta aumentando velocemente. In base a questo, si legge sul dossier “Prendi il toro per le corna”, se i paesi con eccessivo consumo pro-capite limiteranno i propri consumi al livello raccomandato dall’OMS (Organizzazione Mondiale per la Salute), le emissioni globali di gas serra diminuiranno del 40%.
La maggior parte dei paesi del Sud hanno, a livello pro-capite, livelli bassi di consumo di carne e latticini, però la classe media di quei paesi sta sempre più adottando una dieta sullo stile occidentale, che comprende quindi un consumo eccessivo di carne e latticini e, inevitabilmente, le multinazionali produttrici di alimenti, le catene di fast food e i supermercati si stanno sempre più orientando verso quei paesi per poter crescere.

Comunque, riportano i ricercatori, anche i piccoli agricoltori e allevatori, sono spesso considerati colpevoli della crisi climatica. O almeno è questo che denunciato grandi studi legali o lobby delle multinazionali. Questo perché, a loro avviso, gli animali prodotti da piccoli allevatori di bestiame nei paesi poveri non sono così “efficienti” nel convertire calorie in carne e latticini, sempre considerando una base pro-capite.

Tuttavia, rispondono nella ricerca, questo ristretto punto di vista dell’efficienza e dell’intensità delle emissioni, ignora i molteplici benefici dei sistemi di produzione su piccola scala: sono multifunzionali e biodiversificati. Ciò comprende il miglioramento della salute dei terreni, una maggiore resilienza climatica e altri benefici positivi per la salute ambientale e pubblica. Insomma, la produzione di carne e latticini su piccola scala è già bene adattata ai sistemi alimentari locali che rispondono molto bene ai moderati livelli di consumi di carne e latticini, obiettivo che il resto del mondo dovrebbe raggiungere.

Skye Gould Business Insider, "Quanta gente mangia la carne in tutto il mondo" -Infographic-, 29 09 2016, www.businessinsider.com.where-do-people-eat-the-most-meat- 2016-10
Skye Gould Business Insider, “Quanta gente mangia la carne in tutto il mondo” -Infographic-, 29 09 2016, www.businessinsider.com.where-do-people-eat-the-most-meat- 2016-10

Le soluzioni ci sono, basterebbe volerlo

Grain e Iatp non si sono limitati solo ad una fortissima critica sul tema, propongono anche alcune soluzioni che, però, possono essere efficaci solo se affrontano l’enorme potenziale del conglomerato globale di carne e latticini.

Reindirizzare i sussidi

La produzione industriale di carne e latticini è sostenuta da una enorme quantità di denaro proveniente dai contribuenti – circa 53 milioni di dollari, solo nel 2013, sono arrivati dai governi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Anche Cina e Brasile hanno canalizzato una quantità significativa di fondi per lo sviluppo delle proprie corporazioni transazionali di carne e latticini.
I sussidi pubblici, i crediti e altre misure di appoggio fiscale per la produzione industriale di carne e latticini, come la proposta spagnola di aziende con 20 mila mucche, dovrebbero essere riviste e anullate.
I fondo pubblici, invece, devono essere diretti ad appoggiare i piccoli agricoltori che usano metodi di produzione agro-ecologici e di allevamento integrati, sostenendo le aziende più grandi nel cambio verso quelle pratiche. L’appoggio deve anche essere diretto a costruire e riabilitare l’infrastruttura locale (macelli, lavorazione di carne e latticini, vie di comunicazione, servizi igienico-sanitari ecc.) che permetta ai mercati locali di crescere.

Lontani dalla carne e dai latticini di origine industriale

Un’altra soluzione che propongono Grain e Iatp, non certo originale ma repetita iuvant, è prendere le distanze da carne e latticini provenienti da produzioni industriali.
Le corporazioni produttrice di questi alimenti hanno interessi connessi all’aumento del consumo e della produzione industriale di carne e latticini, e quindi hanno ripetutamente bloccato le azioni dei governi inerenti ad una diminuzione della domanda.
Le banche ed altre istituzioni che realizzazioni investimenti devono considerare i veri costi in emissione di anidride carbonica e i rischi climatici dei loro investimenti nell’agroindustria e mettere da parte le company che fanno male al clima. Piuttosto che incentivare il modello industriale e l’espansione delle aziende agricole attraverso crediti o offset di carbonio, i fondi per il clima dovrebbero essere diretti ai sistemi agro-pastorali con maggior resilienza, sostenendo la proliferazione di metodi agro-ecologici integrati.
Alle company e alle lobby della carne e del formaggio non deve essere permesso l’esercizio di una indebita influenza sulla presa di decisioni in relazione ad interessi pubblici, anche tramite leggi più restrittive per il finanziamento di campagne e prevenzione del conflitto di interesse negli organi governativi e consultivo intergovernativi. Infine devono essere eliminati i partenariati pubblico-privato che promuovono l’allevamento intensivo su vasta scala.

Non manca nel dossier “Prendi il torno per le corna” un riferimento ai cosiddetti accordi di libero scambio, che devono essere fermati e rispediti ai mittenti.

Il TPP (Accordo trans-Pacifico), l’RCEP (Partenariato economico regionale), il CETA (Accordo Economico Commerciale Globale), il TISA (Accordi sugli Scambi di Servizi) e il TTIP (Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti), favoriscono l’espansione dei mercati a beneficio del conglomerato globale della carne e dei latticini; permettono il dumping di carne, latticini e l’alimento animale a buon mercato, e impediscono politiche a favore dei fornitori locali, nonché le norme che disincentivino questo modello. Gli autori ci aiutano a capire meglio questo passaggio con alcuni esempi:

buon allevamentoMilioni di aziende casearie in India stanno affrontando nell’immediato la minaccia delle importazioni dovute ad un accordo che l’RCEP sta negoziando con la mega fabbrica di latticini New Zealand esportatrice di latte in polvere a basso costo.
Piccoli allevatori e pastori di Senegal e Sud Africa potrebbero perdere i propri mezzi di sostentamento a causa di accordi conosciuti come Accordi di Associazione Economica che stanno per essere ratificati tra i governi di questi paesi e l’Unione Europea. Questi accordi promuoveranno una grossa esportazione di prodotti caseari a basso costo dall’Europa verso i mercati di Senegal e Sud Africa, rischiando di cancellare definitivamente la piccola produzione.
Il TISA, accordo attualmente negoziato tra 48 paesi, potrà impedire ai governi di prendere decisioni relative alle misure da adottare per ridurre le emissioni provenienti dall’allevamento del bestiame.
E, per finire, ma non è mai finita, la deregolamentazione della sicurezza alimentare, l’approvazione di OGM, di regole sanitarie ambientali e di salute pubblica che andranno ad interferire con i guadagni delle corporazioni – tutto attraverso TPP, CETA e TTIP -, restringeranno gli sforzi futuri per regolare e riformare dette industrie.
Sono accordi che devono essere sospesi e rimpiazzati con iniziative che permettano alle comunità e ai paesi di sviluppare suoi propri mercati locali, con cooperazione e mutuo appoggio.

Ridurre il Consumo di carne, eliminare la sovrapproduzione

In tale contesto, secondo gli analisti, è molto importante ottenere la riduzione di carne e latticini di origine industriale, soprattutto la carne rossa, al centro dell’alto consumo, in America del Nord, Europa, Brasile e Cina. Un impulso in tal senso può essere dato dalla revisione e dalla promozione a livello nazionale di linee guida dietetiche che siano applicate effettivamente.
Una importante strategia per ottenere questo è far sì che carne e latticini siano più cari e riflettano il costo reale, eliminando i sussidi, regolando le industrie e introducendo misure fiscali.
Epperò queste misure devono essere realizzate in modo che non puniscano i consumatori a basso reddito e i piccoli produttori.
Sono necessari programmi di educazione pubblica e campagne sui grandi media per aiutare le persone a capire cos’è che è in gioco e incoraggiare l’azione collettiva. Non si tratta di scelte individuali ma della necessità di un cambiamento sistemico, con un forte ruolo delle iniziative pubbliche e della gente, di iniziative popolari.
Le istituzioni del settore pubblico come scuole, collegi, ospedali ecc. devono, in forma proattiva, eliminare la carne e i latticini di origine industriale dai propri menù e rifornirsi di proteine provenienti da catene di fornitori che usano metodologie sostenibili e su piccola scala. Non è molto tempo che il distretto scolastico di Oakland, in California, ha provato questo sistema con grande successo, risparmiando 42 mia dollari.

Appoggiare la piccola produzione e i mercati locali

Ci sono più di 600 milioni di piccoli agricoltori e 200 milioni di piccoli allevatori, riporta il dossier, che dipendono dalle proprie mandrie e greggi per l’auto-sostentamento e che, ogni giorno, alimentano milioni di persone in forma sostenibile, con carne, latticini e uova di qualità. Sono loro che hanno bisogno urgente del sostegno pubblico. Le politiche e i programmi devono dare enfasi e proteggere i piccoli produttori e i mercati locali da essi riforniti. Gli allevatori devono essere appoggiati nella transizione verso metodi di produzione agro-ecologica, compresa la pastorizia a rotazione e varie misure di utilizzo del suolo che aiutino a ridurre le emissioni di gas serra.
“Abbiamo bisogno – conclude la pubblicazione – di investire in progetti diretti dalle comunità e iniziative che cerchino di espandere queste pratiche e ricostruire sistemi alimentari decentrati”.

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