Il partito filo kurdo Hdp si unisce alla marcia da Ankara a Istanbul per “la giustizia e la democrazia” organizzata dal Chp. Ma sostenitori di Erdogan si preparano ad attaccarla
di Marina Zenobio
Si sono messi in cammino il 15 giugno dalla capitale Ankara i militanti del Chp per chiedere il ripristino dello stato di diritto in Turchia, per esigere la fine dello stato di emergenza instaurato da Recep Tayyip Erdogan e attraverso il quale il presidente turco ha legittimato le purghe di massa successive al fallito golpe del luglio 2016.
Da Ankara la marcia percorrerà 450 chilometri in 24 giorni (è già a metà strada) per raggiungere la prigione di Maltepe a Istanbul, dove sono rinchiusi migliaia di oppositori e tra questi Enis Berberoğlu, primo deputato del Chp a finire in carcere con una condanna in primo grado a 25 anni per “rivelazioni di segreto di stato”. Il caso Berberoğlu è legato al quotidiano di opposizione Cumhuriyet che, nel maggio 2015, aveva pubblicato le prove della consegna di armi da parte dei servizi segreti turchi (Mit) a gruppi islamisti attivi in Siria. Quelle prove (video e foto), secondo Erdogan erano state consegnate al quotidiano da Berberoğlu. Oltre al deputato del Chp, per il caso sono finiti in carcere anche Can Dundar e Erdem Gul, rispettivamente direttore e caporedattore di Cumhuriyet.
Alla guida della “marcia per la democrazia e la giustizia” c’è Kemal Kılıçdaroğlu (nella foto a sinistra), leader del Chp, il partito repubblicano che si oppone all’Akp, il partito del presidente Erdogan al potere. Ma a metà strada si sono uniti i familiari delle vittime di Gezi Park e Piazza Taskim, uccisi dalla polizia nel 2013, durante le proteste contro Erdogan, i giornalisti del Cumhuriyet e il partito di sinistra e filo-kurdo Hdp che, dal 4 novembre scorso, ha dieci deputati in prigione tra cui i due leader Selahattin Demirtas e Figen Yüksekdağ (nella foto a destra).
E’ stato l’attuale co-presidente dell’Hdp, Serpil Kemalbay, ad annunciare che il suo partito vuole dare un concreto supporto alla marcia per la giustizia perché convinto che tutti i segmenti della società possono unirsi anche nelle differenze e agire congiuntamente. “Vediamo un parallelo tra questa marcia e la lotta che portiamo avanti” ha dichiarato Kemalbay da Diyarbakir, la città kurda che, come molti altri centri kurdi, è stata devastata dall’azione militare lanciata due anni fa da Ergogan.
Altri deputati dell’Hdp hanno chiesto che la marcia venga allargata alla provincia di Edirne, dove si trova il carcere in cui sono prigionieri da novembre i leader del partito, Demirtas e Yüksekdağ.
“Quando abbiamo iniziato la marcia a tratti faceva freddo e pioveva. Adesso invece è molto caldo. Non è facile. All’uscita da Ankara una persona ha avuto un attacco di cuore ed è morta ma noi abbiamo continuato a marciare per la giustizia e la democrazia, perché con lo stato di emergenza imposto da Erdogan la democrazia è stata abolita” ha dichiarato Kılıçdaroğlu alla stampa, “il parlametno privato delle sue funzioni, centinaia di insegnanti allontanati, centomila persone licenziate, giornalisti e deputati in carcere. Ci hanno messo addosso la camicia della paura e noi siamo qui per togliercela”.
Intanto Erdogan minaccia di denunciare Kilicdaroglu di attacco all’indipendenza della magistratura, ma il leader del Chp risponde che “E’ esattamente il motivo per cui marciamo, perché in Turchia non si può più parlare di indipendenza della magistratura. Stiamo vivendo un golpe civile. Abbiamo detenuti in sciopero della fame e la loro situazione ci preoccupa. Secondo Erdogan – continua Kilicdaroglu – i diritti costituzionali sono una concessione, questa è la mentalità di un dittatore.
Ma in Turchia la tensione sta salendo alle stelle. I sostenitori dell’Akp, il partito di Erdogan al governo, si stanno organizzando per ritrovarsi nei luoghi di passaggio della marcia per provocare i manifestanti. Per evitare di cadere in provocazioni Kilicdaroglu ha pubblicato un vademecum di 12 punti da seguire durante la marcia tra cui “evitare un linguaggio provocatorio contro chi ci contesta, applauditeli e basta. Rispondere con lo slogna ‘diritti, legge, giustizia’. “Pensano di intidimirci – dichiara Kilicdaroglu – ma non faremo alcun passo indietro, lotteremo fino a quando in questo paese tornerà la democrazia”.
La polarizzazione della società turca è però ormai chiaramente esplosiva, e si può solo sperare che gli slogan pacifici di Kilicdaroglu saranno sufficienti a fermare il livore dei sostenitori di Erdogan.