Un cardinale molto vicino al papa accusato di pedofilia. Riuscirà Bergoglio a smarcarsi dalla politica del silenzio da sempre attuata dal Vaticano?
di Marina Zenobio
Accusato di diversi casi di abusi sessuali su minori, commessi presumibilmente tra il 1976 e il 2001 nel suo paese d’origine, l’Australia, il prefetto degli Affari economici del Vaticano cardinale George Pell, dopo il papa è considerata la terza figura più importante della gerarchia della chiesa cattolica.
Shane Patton, vice commissario dello Stato di Vittoria, ha dichiarato che le notifiche sono state recapitate il 28 giugno ai legali di Pell e il prossimo 18 luglio il cardinale dovrà comparire davanti il tribunale di Melbourne. Papa Francesco gli ha concesso un congedo per andare a difendersi. Secondo quanto riportato da Patton, ci sono diversi capi di imputazione e diversi querelanti.
Le denunce contro il cardinale Pell rappresentano una sfida senza precedenti per la credibilità del pontificato di Francesco nel suo intento di smarcarsi dalla politica del silenzio e dell’uso del potere del Vaticano nel mantenere nell’impunità i sacerdoti abusanti, mali che hanno caratterizzato tutti i suoi predecessori a capo del cattolicesimo. Ne sono testimonianza i casi di monsignor Wesolowski, don Alessandro De Rossi o del vescovo Max Davis solo per citare alcuni tra i pochissimi di cui si è avuta conoscenza.
Bisogna ricordare che il 28 dicembre scorso il papa argentino inviò una lettera ai vescovi di tutto il mondo con la quale sollecitava ad assumere una politica di tolleranza zero verso i preti e prelati accusati di abusi sessuali nei confronti di bambini, così come a prendere le misure necessarie per evitare il ripetersi di questi crimini.
Dopo il perverso pontificato del polacco Karol Wojtyla e l’incontrollabile successione di scandali che hanno segnato il papato dell’emerito Benedetto XVI – entrambi identificati come l’ala più conservatrice della curia – Jorge Bergoglio dovrà ben chiarire, con i fatti più che con le parole, che l’istituzione da lui presieduta ha intrapreso una vera trasformazione.
In tal senso, l’alta carica del prelato australiano offre una eccellente opportunità per dimostrare la serietà di questo decantato cambiamento nella gestione ecclesiastica di queste delicate situazioni.
Resta indiscutibile il fatto che, al di là della cura della sua immagine e dei suoi processi interni, la chiesa cattolica è obbligata a interrompere definitivamente qualsiasi forma di protezione relativa ai suoi membri che si macchiano di questi reati spregevoli, e senza alcun riguardo per le gerarchie di tali criminali. La chiesa cattolica deve iniziare a denunciare pubblicamente i casi di cui è a conoscenza e facilitare l’esercizio della giustizia in tutte quelle giurisdizioni dove si presentano accuse di questo tipo.
Per concludere, è necessario sottolineare che mancanze per condotta omissiva nel combattere la pedofilia sacerdotale non costituisce solo un motivo di discreto e di alienazione dalla società, ma si traduce in nuovi reati suscettibili di sanzione.