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Riduzione in schiavitù, condannati caporali e padroni di Nardò

 Nardò, sentenza storica: condanna per riduzione in schiavitù a un’associazione a delinquere composta da 4 imprenditori salentini e 9 caporali. Le Bsa: «Condanne epocali»

di Francesco Ruggeri

La riduzione in schiavitù è reato: per la prima volta un tribunale ha condannato imprenditori e caporali per lo sfruttamento di persone costrette a lavorare in condizioni inumane. Quando vi godete un cocomero, in una torrida estate come questa, pensate a quanta gente è sfruttata nelle campagne italiane. «Abbiamo vinto, per una volta!», dicono a Popoff i militanti delle Brigate di solidarietà attiva di ritorno da Lecce dove sono stati condannati fino a 11 anni di reclusione gli imprenditori e i caporali imputati nel processo Sabr’ seguito all’inchiesta sullo sfruttamento di manodopera bracciantile nelle campagne di Nardò impegnati in particolare nella raccolta delle angurie. Si tratta della sentenza di primo grado pronunciata nell’ aula bunker del carcere di Borgo San Nicola. L’inchiesta scaturì dalla rivolta dei migranti che nel 2011, anche grazie alla solidarietà attiva delle Brigate, si ribellarono alle condizioni lavorative e alloggiative inumane cui erano sottoposti. Gli arresti arrivarono due anni dopo. Le condanne hanno riguardato la maggior parte degli imputati, 4 imprenditori salentini e 9 caporali africani. Le accuse erano di riduzione in schiavitù e associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento dei lavoratori.

«Le notti insonni a proteggere i migranti in protesta – si legge sul profilo fb delle Bsa, ora impegnate a fianco delle popolazioni colpite nel Centro Italia dal terremoto – le giornate senza fine per due anni di intervento durissimo, dove abbiamo rischiato la morte, la follia, lo scoppio del cuore. Gli ingaggi regolari che crescevano ogni giorno di più il primo anno, i migranti in sciopero con i nostri volantini in mano al secondo, la rivolta, le proteste, la legge sul caporalato, il processo contro mafiosi e caporali, le condanne per schiavitù. CONDANNE EPOCALI, oggi, 13 luglio 2017, dopo 7 anni dall’inizio di tutto. Una storia che rimarrà nella Storia.

GRAZIE AGLI OLTRE 200 BRIGANTI CHE HANNO CONTRIBUITO A TUTTO QUESTO IN QUEGLI ANNI, grazie soprattutto a quegli uomini degni che con la lotta hanno cambiato la Storia.

GRAZIE BRIGATE SOLIDARIETA’ ATTIVA, GRAZIE Finis Terrae onlus GRAZIE A CHI ANCORA CI CREDE!». Lasciamo le maiuscole per restituire la commozione di chi ha partecipato a questa vertenza durissima.

«La sentenza del processo Sabr – dice anche Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Prc – condannando per “riduzione in schiavitù” oltre che per associazione a delinquere imprenditori e caporali rappresenta una vittoria storica della classe lavoratrice italiana. Per noi gli immigrati schiavizzati da questi personaggi senza scrupoli sono parte essenziale oggi della classe lavoratrice del nostro paese e la lotta per la difesa dei loro diritti è parte della lotta per i diritti di tutte e tutti. Questo processo è stato perlomeno incoraggiato da un intervento di inchiesta e lavoro sociale e politico dal basso che ha visto in particolare impegnate tante compagne e compagni di Rifondazione nelle Brigate di Solidarietà Attiva e l’associazione Finis Terrae, culminato nei campi di accoglienza a Nardò nelle estati 2010 e 2011, che avviarono un percorso di emersione dal lavoro nero e auto-organizzazione del lavoro migrante che portò al primo sciopero dei braccianti. Dalle prime denunce depositate nel 2009 alla sentenza di oggi è stata fatta tanta strada e da questa storia va tratta un’indicazione: se politica, sinistra, associazionismo, sindacati presidiano le campagne e supportano l’auto-organizzazione dei lavoratori immigrati è possibile sconfiggere i nuovi schiavisti. [P.S.: un grazie di cuore ai compagni che nel “partito sociale” ci hanno creduto e che hanno costruito questa esemplare esperienza]».

Soddisfazione da parte della Flai Cgil per la sentenza che nasce dall’operazione anti caporalato, dopo la denuncia da parte di lavoratori coraggiosi, che portò all’arresto di 15 persone. «Oggi le condanne da 3 ad 11 anni di reclusione per 12 di loro rende giustizia e verità a quei lavoratori sfruttati nelle campagne pugliesi. Una sentenza importantissima ma è anche un monito a quanti pensano di poter impunemente considerare i lavoratori braccia da sfruttare al minor prezzo possibile. Questa sentenza deve dare coraggio ai tanti lavoratori vittime di sfruttamento e caporalato a denunciare questa sentenza dice a quei lavoratori che non solo soli, con loro c’è il sindacato ma c’è anche la legge».

«Questa pronuncia – commento a caldo del sindaco di Nardò Pippi Mellone con un cronista locale – materializza l’offensiva al caporalato ed è senza dubbio uno dei primi importantissimi passi verso la riabilitazione morale di questa città, offesa e umiliata da quei capi di imputazione. Lo Stato risponde a chi ha vissuto sullo sfruttamento, cullandosi su questa inaccettabile sensazione di impunità e su questa bieca arroganza nei confronti dei lavoratori. Una pagina da terzo mondo che Nardò non merita e che, da tempo e al di là di ruoli pubblici e istituzionali, abbiamo ricacciato con tutte le nostre forze. Sin dai primi passi dell’indagine e del relativo processo, infatti, abbiamo inseguito testardamente l’obiettivo di cancellare la triste associazione tra Nardò e la schiavitù, tra la nostra comunità e la terribile condizione dei lavoratori migranti, tra l’agricoltura neritina e i caporali». Ma l’etichetta di “città schiavista” è alimentata dalla mancata costituzione di parte civile decisa dall’amministrazione guidata all’epoca da Marcello Risi.

A Nardò l’accoglienza estiva funziona per ora con 26 tende presso la masseria Boncuri in attesa dei moduli abitativi che fornirà la Regione, per ospitare circa duecento lavoratori, c’è l’esperimento della masseria, gestita dalla cooperativa Mosaico, che ospita i migranti che restano tutto l’anno, ci sono provvedimenti come l’ordinanza anticaldo e si comincia a parlare di agricoltura etica. Mentre non c’è più il “ghetto” di contrada Arene-Serrazze. Da parte sua l’ex sindaco Risi, quello della mancata costituzione di parte civile, dice che si limita ad esprimere il rispetto «non formale verso il gravosissimo lavoro svolto da tutte le parti: giudici, pubblico ministero, avvocati» ma si scaglia contro Mellone: «le condizioni dei lavoratori migranti peggiorano. Ammassati a centinaia in una tendopoli sulla provinciale. In condizioni disumane. Siamo tornati indietro di vent’anni. È contento solo lui».

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