Terra, debito, potere e modelli sociali a partire dalla Carta di Genova. Introduzione al volume Il muro invisibile. Come demolire la narrazione del debito (Bordeaux edizioni)
di Antonio De Lellis
Penso che la migliore introduzione al libro sia “la carta di Genova” , sottoscritta da oltre 14 realtà collettive, nazionali, locali e 150 persone. Essa rappresenta una dichiarazione di intenti che meglio sintetizza il percorso durato 15 anni, dai tragici fatti del G8 di Genova del 2001 alla divulgazione dell’enciclica di papa Francesco “Laudato Sì”: storia e prospettive di alleanze inedite tra movimenti sociali e cristiani in Italia e in Europa.
Il libro attraversa un periodo ampio, ma si concentra su come sia possibile individuare nel “debito”, un paradigma, economico, finanziario, politico, sociale, ambientale, storico e religioso. Il debito come paradigma su cui ragionare e dalla cui conoscenza partire, per costruire percorsi di aggregazione che possano cambiare le sorti dell’umanità sofferente e del pianeta, per riportarlo su binari di convivialità, giustizia, sostenibilità, uguaglianza e pace, affinché ci sia per tutti terra, casa e lavoro.
Chiunque si accinga a leggere queste pagine spero venga investito dalla contro narrazione che del debito tenteremo di fare. Spero sia un tuffo salutare per non sentirsi più debitori e colpevoli, ma creditori e affrancati da un potere che ci vuole ignoranti, afflitti e obbedienti e al quale dovremmo rispondere con il nostro contropotere fatto di conoscenze, gioia e autorganizzazione.
I contributi offerti da prestigiosi docenti, attivisti e pensatori che ho incontrato sulla strada, ai quali va la mia profonda gratitudine, lasciano sul terreno le preoccupazioni per un periodo ricco di incognite.
Queste ultime generate, ad esempio, dalla recente avanzata di leader politici “divisivi” che assurgono a rappresentanti di quote significative di popolazioni stanche, rancorose e impoverite, non solo economicamente. Leader che propongono soluzioni che appartengono ad un passato fallimentare, con evidenti arretramenti storici, piuttosto che inedite forme di superamento del grande cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, caratterizzato da una metamorfosi culturale dell’Occidente dagli esiti
imprevedibili.
Ma la realtà probabilmente è che coloro che soffiano sull’odio o urlano alla pancia della gente, vittima della crisi economica, colgono il consenso solo in un primo tempo, perché poi si trasformano, essi stessi, in “veicoli politici” di quegli stessi poteri che hanno causato le crisi e che animano la rabbia frustrante, generando ulteriori illusioni, le quali, nel frattempo, lasciano sul terreno squarci sociali dilanianti. Le grandi forze sociali che sembrano scontrarsi sono animate, da una parte, dalla rabbia e dalla paura, espressione dell’istinto disperato, e dall’altra, dal coraggio e dalla lungimiranza, espressioni della coscienza.
Dinanzi alle sventure che stiamo vivendo come umanità avvertiamo il bisogno di una coscienza che superi l’istinto: di una nuova sapienza. Sembra essere questa la più grande sfida che abbiamo di fronte: incanalare i sentimenti esasperati in azioni concrete volte a rinnovare la terra rimettendo al centro la fondamentale e inalienabile dignità di ogni essere umano, fonte di ogni sapienza.
Il presente volume non si limita ad analizzare la realtà che il debito esprime ancora oggi come espressione della sopraffazione delle grandi banche d’affari, delle grandi organizzazioni mondiali economiche e finanziarie saldate con gli interessi delle multinazionali della morte, ma dà spazio anche ad una grande speranza che la carta di Genova e il discorso di Francesco, al termine del terzo incontro mondiale dei movimenti popolari, offrono con vibrante intensità e visione profetica.
In questi pochi mesi in cui è maturata l’idea di questo libro sembrano condensarsi anni di lavoro per la costruzione di una futura “Onu dei popoli”, dalla parte di coloro che pagano il prezzo più alto dell’egemonia, voracità e pervasività “dell’impero del denaro”, ma che hanno avuto la forza di reagire, auto-organizzarsi e coordinarsi a livello mondiale.
Dopo tutti i segnali che stanno caratterizzando la “bancarotta dell’umanità”, voglio offrirvi, attraverso l’onda dei pensieri, parole e azioni raccontate e progettate, un contributo collettivo per una visione possibile di modelli sociali ispirati a valori universali, a partire dallo sguardo di coloro che si sono incamminati e che hanno accettato la sfida evangelica del “Venite e vedrete”.
La carta di Genova rappresenta il manifesto politico e sociale che ispira il Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi (Cadtm) italiano, lanciato a Roma il 15 settembre del 2016.
Trattasi di due eventi, la redazione della Carta di Genova e la nascita del Cadtm Italia, in continuità fra loro, che pochi giornali riporteranno e di cui non sentiremo parlare al telegiornale perché a nessun potere piace svelare cosa si nasconde dietro la grande
truffa del debito pubblico e quali siano le conseguenze dirette che esso ha sul malessere sociale ed economico che investe tutta l’Europa.
Considero la carta di Genova un punto avanzato del dialogo tra credenti e laici o diversamente credenti, su una questione fondamentale legata al sovra-indebitamento dei popoli, ma anche connessa al sistema economico, finanziario e al futuro della terra e dell’Europa, rispetto al quadro internazionale, e alla luce “della guerra a pezzetti” e dei conseguenti esodi epocali. Il manifesto politico e sociale è l’esempio concreto della “pratica dell’ascolto” di cui parla papa Francesco, che dura da decenni, fondamentale per una “chiesa in uscita”.
Perché partire dal debito senza fermarsi al debito? Perché il debito è proprio il cuore di questo modello sociale ed economico neoliberista, ma la sola lotta al debito non risolve il problema di come utilizzare le eventuali risorse liberate.
Qual è il cuore nuovo che vorremmo sostituisse quello incancrenitosi che produce i frutti amari dell’esclusione, del conflitto, della
disuguaglianza? Il contributo dei cristiani a questo capovolgimento sperato è insito nella Carta di Genova, la quale con spirito evangelico, segna, spero, un punto di rottura e di non ritorno rispetto ad un sistema di alleanze che, in particolar modo la chiesa cattolica, ha sempre adottato per conservare i propri privilegi.
La Carta invece è un effetto, secondo me, di una corretta inculturazione della fede, aperta a tutte le differenze che assume i valori positivi ed universali della cultura del tempo. L’obiettivo della Carta di Genova è allora quello di contribuire a scrivere una nuova “costituzione civile” per l’Europa ispirata alla pace giusta, nonviolenta e disarmata e ad una economia e finanza sociale e popolare che metta al centro la persona e dia opportunità di vita a tutti nel rispetto della terra, nostra casa comune.
Ci proponiamo di coinvolgere tutte le realtà ed i soggetti che considerano il debito pubblico, a partire da quello italiano, e non solo, un tema centrale per affrontare le questioni del lavoro, della terra, del futuro dei giovani, della valorizzazione dei beni comuni dentro modelli sociali alternativi che, guardando al presente e al futuro, sia attento al recupero e al ritorno di principi comuni e universali di convivenza conviviale.
Ma se questa è una lettura ambiziosa della Carta di Genova, cos’è Il Cadtm?
Esso è una rete internazionale che si è occupata fino a non molto tempo fa del debito del terzo mondo, ma che ora si interessa della condizione globale di sovra-indebitamento di molti paesi cosiddetti del primo mondo, ossia di Europa, Usa, Giappone, Cina.
L’aspetto inseparabile è quello dei debiti illegittimi privati che hanno assunto livelli elevatissimi nel mondo e spesso rappresentano il substrato su cui si formano i grandi debiti nazionali: ormai si consuma indebitandosi, ma se questo livello aumenta a dismisura e in gran parte gli stessi crediti/debiti diventano inesigibili, allora le banche o il sistema finanziario nel suo complesso, avranno in bilancio troppi crediti deteriorati per i quali gli stati interverranno aumentando il debito pubblico e scaricando su tutta la popolazione il peso delle operazioni di salvataggio delle banche medesime.
L’obiettivo del Cadtm è anche quello di sensibilizzare i popoli sulle conseguenze del debito sovrano (pubblico) e di far conoscere la sua natura, evoluzione e aspetti illegali (indagine sul debito o Audit). Spesso l’audit nasce da istanze popolari che potrebbero essere
accolte dai Governi nazionali o Federazione di stati o assunte direttamente da queste ultime.
In Italia il momento è opportuno in quanto l’apparente conoscenza del fenomeno fa da schermo ad una situazione che formalmente appare sotto controllo, visti i bassi tassi di interesse e la incipiente difficoltà del sistema bancario, che solo episodi marginali come punte di un iceberg, lasciano intravedere.
Da dove partire? La priorità è mettere in campo la conoscenza collettiva e perseguire proposte concrete e filoni di intervento che facciano comprendere lo stretto nesso che c’è, ad esempio, tra sanità, privatizzazioni e debito.
Anche le catastrofi naturali affrontate senza l’indispensabile prevenzione, sono causate dalla scarsità di investimenti, giustificata dalla presenza del debito.
Le interconnessioni sono presenti anche tra le privatizzazioni o la riduzione a merce dei beni comuni come acqua, scuola, servizi postali e l’implicita giustificazione dell’assenza di risorse. E ancora, norme che limitano i diritti in campo lavorativo giustificate come necessari sacrifici per una economia globalizzata, flessibile e liquida che guarda ormai da molti anni alla finanza speculativa per aumentare i propri rendimenti: se ci sono meno regole per assumere e licenziare si presume si
possa offrire più lavoro, mentre in realtà ciò favorisce la supremazia colpevole degli imprenditori smarriti rispetto ai propri dipendenti e la volatilità delle grandi aziende che mirano spesso a guadagnare sul breve periodo cercando di accantonare i loro patrimoni nei paradisi fiscali.
E poi il debito determina gli alti livelli di sfruttamento del territorio dovuti spesso alla presunta carenza di fonti di energia e conseguente svendita degli spazi pubblici e privati a imprese irresponsabili e inquinanti che ritardano sempre l’ingresso delle nuove tecnologie nei settori dell’energia alternativa o che le sfruttano senza effettivi ritorni
per la collettività.
Infine gli scarsi livelli di investimenti nel campo della ricerca a favore della nostra “meglio gioventù” costretta a migrare per il suicidio politico di chi preordina anni di formazione senza offrire, come invece avviene in alcuni paesi europei, prospettive di lavoro in campi di azione ad alto valore tecnologico o di ricerca.
Tutte queste carenze, miopie e scelte scellerate sono giustificate dal presunto e mai provato debito pubblico legittimo, ossia da pagare ad ogni costo.
La parte illegittima, invece, alimenta continuamente la scarsità di risorse, per il sistema degli interessi passivi che maturano su altri interessi, determina un circolo vizioso che giustifica l’irrinunciabile abdicare dello Stato al ruolo di regolatore dell’economia o gestore diretto di settori strategici sempre bisognosi di democrazia e partecipazione.
A questo aggiungiamo le condizioni di criticità in cui versa la nostra politica incapace di affrontare piaghe sociali come la povertà e le disuguaglianze causate dall’ austerità e dai vincoli di bilancio ed imposte da governi compiacenti, spesso tecnici, raramente eletti
o indicati dal popolo.
Anche la democrazia e le sue fondamentali fonti normative, vedi recente tentativo di riforma costituzionale, potrebbero essere modificate perché apparentemente necessarie per il rilancio e la crescita. Queste modifiche invece nascondono sottrazioni di competenze locali strategiche per una partecipazione alle scelte fondamentali di un popolo, giustificate dal mantra dellasemplificazione e del risparmio le quali nascondono invece l’accentramento dei poteri in poche mani spesso facili da
corrompere o disponibili verso multinazionali senza scrupoli o imprese poco inclini all’interesse generale.
E se questo debito fosse il frutto di una scelta ragionata per imprigionare i popoli? E se il tutto fosse finalizzato ad impoverire i popoli asservendoli alle logiche dominanti della finanza e di un mercato neoliberista, ormai esanime, che distrugge posti di lavoro o uccide i lavoratori e il pianeta, la nostra casa comune?
Il percorso si fa naturalmente con chi si incammina ed ha il passo lento della condivisione, ma anche la visione profetica della liberazione dalle catene del debito illegittimo dentro una visione alternativa.
La speranza è quella di far emergere il significato, l’importanza, la potenzialità di questo originale lavoro collettivo che prende il nome dalla città nella quale sono confluiti tutti gli sforzi di anni di lavoro tra
movimenti sociali ed ecclesiali e appartenenze diverse. Genova non è casuale. Questa città, così come il tema del debito, è un
crocevia di storie, di sofferenze, di visioni. Chiunque lotta prima o poi si imbatte in questa questione ormai globale.
La città, così come il tema del debito, cerca di essere un telaio che mette insieme più fili affinché possano trasformarsi in un tessuto in cui si colgono, sì le differenze che però non dovrebbero essere mai squarci. Ma Genova è anche stato il luogo di scontri in cui sangue innocente è stato versato: per me sorgente di una nuova umanità. A tutti coloro che prepararono e vissero quei giorni intensi e drammatici e che da quei giorni trassero la forza per continuare a saldare culture differenti, ma non indifferenti, a questi penso sia dedicata: “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia” .
Ci unisce oggi l’attenzione ai problemi delle persone e dei popoli schiavi del debito e la propensione a privilegiare le esistenze rispetto alle teorie ovvero i volti rispetto alle dottrine.
Siamo convinti che ci stiamo allontanando dal terreno dell’umano e perciò ci siamo incamminati per una riconversione storica: dalla “bancarotta dell’umanità” alla “convivialità delle differenze” .
La carta, quindi, è il frutto di un confronto responsabile per verificare se e quali impegni assumere per scongiurare gli effetti di una invisibile dittatura finanziaria e di una economia dei più forti, provando a scegliere di stare dalla parte di chi, come noi, paga il prezzo più elevato di queste ingiustizie. Essa è un impegno in prima persona, che cerca di coinvolgere tutte le organizzazioni disponibili affinché siano adottate misure di contrasto al debito privato e pubblico che impediscono la piena partecipazione dei cittadini alla vita sociale, economica e democratica.
Abbiamo detto con forza che la vita viene prima del debito! Nel 2001 i movimenti dicevano che “un altro mondo è possibile” e da allora molta strada è stata fatta anche attraverso la grande stagione referendaria per l’acqua bene comune, del forum per una nuova finanza pubblica e sociale, dello stop al TTIP, delle piccole e grandi battaglie per il territorio, solo per citarne alcune, ma oggi la costruzione di quel mondo si è arricchito di un tassello importante: sono state gettate le basi per un vero movimento popolare aperto ed inclusivo verso le differenze sociali, culturali e religiose. Qualcosa che in Italia rappresenta un fatto storico.
E questo è solo l’inizio!
Il terzo incontro mondiale dei movimenti popolari in dialogo con papa Francesco, svoltosi a Roma dal 3 al 5 novembre del 2016, di cui si leggerà più diffusamente nell’ultima parte del libro, offre, sorprendentemente, una visione del debito dalla parte delle vittime dell’oppressione della “dittatura invisibile” di cui parla il pontefice nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium (EG). E’ lo stesso Francesco, nella EG, ad affermare: “sappiamo che finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità,
non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’ inequità è la radice dei mali sociali”.
Nella dichiarazione finale dell’ultimo incontro dei movimenti popolari si legge che “siamo creditori di un debito storico, sociale, economico, politico e ambientale che deve essere saldato.” E’ un’espressione che rovescia la visione del mondo e pone i popoli sfruttati, non tra i debitori dei ricchi, ma creditori degli stessi e non solo da un punto di vista economico e finanziario, ma anche da un punto di vista sociale, ambientale, storico e pertanto politico. E questo perché i processi di colonizzazione, vecchi e nuovi, in ogni parte del mondo di fatto hanno depredato, sottratto, estratto oltre ogni limite risorse naturali, corrotto governi, causato conflitti e guerre lasciando la loro scia di sangue, violenze e umiliazioni.
E’ un concetto non nuovo, ma ripreso oggi in forma inedita, che già Martin Luter King nel celebre discorso intitolato “I have a dream” sottolineava con un passaggio profetico: “Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un “pagherò” del quale ogni americano sarebbe diventato erede.
Questo “pagherò” permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità. E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo “pagherò” per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: “fondi insufficienti”. Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.”
Se il debito, e il suo inseparabile credito, diventa una lente di ingrandimento con cui guardare alla globalizzazione culturale, economica, ma purtroppo non ancora umana, allora diventa fondamentale ascoltare persino come l’esodo epocale di milioni di persone, descritto da Carlos Merentes, viene letto proprio alla luce di questo rapporto che non è più solo di natura economica. Carlos, che vive al confine tra Messico e Stati Uniti, offre un pensiero straordinario che mi ha sbalordito e aperto ad una visione
del debito più ampia: “E se l’enorme debito sociale generato dal brutale saccheggio dei colonialisti di ieri e di oggi non è mai stato risarcito, è come una forma di riscossione di tale debito che, secondo me va interpretato il fenomeno migratorio, a cui dunque bisogna guardare come a una forma di resistenza contro il destino a cui il capitale ha condannato le persone migranti, una lotta per non scomparire in un sistema in cui è negato loro un posto”.
Ma il meccanismo del debito, con riferimento alle migrazioni, può essere visto da tutte e due le facce della medaglia; da una parte infatti genera povertà e quindi causa di spostamento di persone, e dall’altra, lo stesso sistema o economia a debito, generando austerity e povertà anche nei paesi che dovrebbero accogliere, finisce per essere combinato con le politiche di respingimento, causa di ulteriore esclusione. La morale che se ne deve trarre, secondo Guido Viale, è: negare i più elementari diritti a profughi e migranti, creare un bacino di apartheid in ogni paese, non serve a difendere i “propri” concittadini, ma è solo un banco di prova e di sperimentazione di meccanismi di dominio e sfruttamento da estendere progressivamente a tutto il resto delle forze di lavoro e al 99 per cento della popolazione.
Come cristiani dovremmo aver presente sempre che la volontà di Gesù Cristo non era quella di creare una religione, ma quella di indicare una via. I credenti in Gesù, prima di prendere il nome di Cristiani, vennero chiamati “Quelli della via” . Questa è tanto stretta e rischiosa da richiedere impegno ed attenzione, ma non abbastanza stretta da non accogliere chiunque voglia vivere per la tutela e valorizzazione della persona e del creato.
Nessuna opera sarebbe possibile senza la fiducia delle persone che ci circondano a partire da Franca, mia compagna di viaggio e mia strenua sostenitrice, da Francesca Delfino, che mi ha accompagnato in tutte le fasi della stesura del libro, dall’editore che mi onora della sua amicizia chiedendomi di scrivere ancora e da tutti coloro, familiari, collaboratori e amici che con la loro vita mi hanno dato indicazioni e suggestioni utili alla stesura di questa opera.
Vi lascio all’ascolto degli autori i quali non pretendono di essere possessori di verità, ma al servizio dell’unica verità da cui l’umanità potrà sempre ripartire: la dignità inviolabile di ogni essere umano.
Ad un anno di distanza dal convegno “Dal G8 di Genova alla Laudato si’: il Giubileo del debito?”, il tema del debito resta centrale nel panorama economico e sociale del nostro tempo. Criticare la narrazione corrente del debito e riporre la questione nei termini reali è oggi più che mai importante. Vi segnaliamo pertanto la presentazione del libro “Il Muro invisibile. Come smontare la narrazione del debito”. 19 luglio al Palazzo Ducale, nell’ambito delle manifestazioni per il 16° anniversario del G8 e nel primo anniversario della “Carta di Genova”.
Palazzo Ducale – Sala Camino ore 17.30
Nel 16° anniversario del G8 e nel primo della CARTA DI GENOVA
presentazione del libro IL MURO IN Come demolire la narrazione del debito
con ANTONIO DE LELLIS, PIETRO LAZAGNA, STEFANO RISSO
conduce: VALENTINA SONZINI
Comitato Piazza Carlo Giuliani , Comitato Audit Genova, ARCI Provinciale Genova, Circolo ARCI “Zenzero” , Attac Genova
La Carta di Genova
Dal G8 di Genova alla Laudato si
A 15 anni dal G8 di Genova e nell’anno del Giubileo della misericordia ci siamo dati appuntamento per condividere una delle questioni globali più urgenti: il progressivo indebitamento dei popoli dell’intero pianeta. Su questo tema abbiamo deciso di confrontarci con pensatori laici e credenti impegnati da anni su questo tema.
La responsabilità collettiva della misericordia, che è il dare opportunità di vita a tutti, richiede di giungere ad una denuncia pubblica delle indifferenze, delle riserve, e ad una pubblica, concorde assunzione di responsabilità al fine di snidare i privilegi e le ipocrisie, che contribuiscono a rendere sempre più ricche e prepotenti le classi dominanti e sempre più povere e
vessate le parti sfruttate ed emarginate delle popolazioni.
Da diversi anni il debito è agitato, su scala internazionale, nazionale e locale, come emergenza allo scopo di far accettare come inevitabili le politiche liberiste di alienazione del patrimonio pubblico, mercificazione dei beni comuni, privatizzazione dei servizi pubblici, sottrazione di democrazia e di diritti. Di fatto, il debito rappresenta lo shock che serve “a far diventare politicamente inevitabile ciò che è socialmente inaccettabile”.
Anche in Europa, sta prevalendo l’ideologia della finanza e dei vincoli di bilancio che hanno creato debito, diseguaglianze, risvegliato egoismi, nazionalismi e spinte isolazionistiche che ampliano il solco di un’Europa senza anima, riportando indietro l’orologio della storia a periodi caratterizzati da drammatici conflitti.
Sotto i nostri occhi si consuma l’orrore di esclusioni e della pericolosissima costruzione di muri materiali e mentali, conseguenza di un malinteso senso del limite che colpisce bersagli umani invece di colpire le logiche che animano la finanza senza regole.
Sembra infatti prevalere un’economia estrattiva, che porta con sé privatizzazioni di beni comuni, distruzione, miseria, guerre, migrazioni epocali e irreversibili cambiamenti climatici che colpiscono aree del pianeta vulnerabili, creando un debito ecologico pagato soprattutto da paesi, non responsabili dei disastri ambientali ed esclusi dalla distribuzione della ricchezza, ma gravati da un
debito pubblico, in gran parte illegittimo, che li rende schiavi, ancor di più, di un sistema
economico che sfrutta il pianeta e l’umanità.
In questa direzione va anche l’analisi del “Pontificio Consiglio Giustizia e Pace” nel messaggio che il suo presidente, cardinal Peter K. A. Turkson, ha inviato ai partecipanti a questo Convegno “Dal G8 alla Laudato sì: il Giubileo del debito?” e del quale questo breve stralcio è illuminante e politicamente rilevante: “Negli ultimi anni, in conseguenza alla crisi economica e finanziaria internazionale il problema del debito pubblico si è manifestato con vigore anche nelle economie dei paesi sviluppati e, in particolar modo, in Europa. Di fonte ad una crisi del debito divenuta sempre più globale, sarebbe opportuno – in questi ultimi mesi dell’anno
giubilare della Misericordia – riflettere nuovamente sull’opportunità di ridurre, se non addirittura condonare il debito a quei paesi che schiacciati da questo fardello non riescono a porre le basi per lo sviluppo umano delle persone, soprattutto delle nuove generazioni. Papa Francesco ci ricorda nella Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, come “il richiamo all’osservanza della legge non possa ostacolare l’attenzione per le necessità che toccano la dignità delle
persone”. Sempre nel messaggio viene sottolineato come anche il Centro Africano per lo Sviluppo e gli studi di strategia dichiari che “il debito demolisce le scuole, gli ospedali e le cliniche e i suoi effetti sono non meno devastanti di quelli di una guerra”.
L’ideologia del debito mette sotto scacco la democrazia, predeterminando le scelte politiche ed economiche tanto a livello nazionale quanto a livello locale, mettendo a rischio la stessa funzione pubblica e sociale degli enti di prossimità e minando il tessuto sociale delle comunità.
Agire contro l’ideologia e la materialità del debito costituisce di conseguenza un impegno prioritario che vogliamo collettivamente assumere.
Non è la prima volta che, in questi 15 anni, i movimenti sociali e ecclesiali si incontrano per mettere in comune analisi, riflessioni e azioni sociali per contrastare “l’economia che uccide” e “la tirannia invisibile” (Evangelii Gaudium 53, 56) dei mercati finanziari.
Assieme abbiamo promosso iniziative per il controllo democratico dei movimenti dei capitali finanziari; assieme abbiamo contrastato i trattati di libero scambio (dalla direttiva Bolkestein all’attuale TTIP – ipotesi di trattato di libero scambio tra USA e UE); assieme abbiamo promosso sensibilizzazione e mobilitazione in difesa dei beni comuni e per un nuovo modello di società e di
democrazia.
Sempre assieme, oggi riteniamo di dover agire per promuovere ad ogni livello la liberazione dei popoli e delle comunità dal debito illegittimo ed odioso, attivando la partecipazione diretta delle persone.
Da tempo anche nel nostro Paese sono iniziati percorsi di indagini e revisioni contabili (audit) del debito in diversi territori e Comuni (Roma, Napoli, Parma, Livorno, etc.), smascherando la geografia dei poteri che dietro di esso si nasconde.
Proprio a partire da queste esperienze è stata avviata anche in Italia la nascita del Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi (Cadtm), un percorso collettivo per valutare il tema dell’annullamento del debito quale punto nodale per un’economia ed una
finanza più giuste.
E’sulla base di queste riflessioni e considerazioni condivise che noi oggi riuniti a Genova dopo questa giornata di lavoro collettivo, approviamo la presente Carta d’intenti comuni, ed esprimiamo l’interesse ad impegnarci come singoli o organizzazioni proponendo a tutte le realtà interessate ed attive a livello locale, nazionale ed internazionali, la costruzione di un percorso che abbia i seguenti obiettivi:
a) promuovere un diverso modello sociale ed economico che metta al centro la piena dignità di ogni persona nel rispetto della vita del pianeta, nostra casa comune;
b) promuovere una campagna di sensibilizzazione sui temi del debito, della finanza e della ricchezza sociale, che sappia comunicare in forme semplici la complessità di questi temi;
c) avviare, in forma partecipativa e dal basso l’istituzione di una Commissione popolare d’indagine e di verità sul debito pubblico italiano, al fine di sapere se, e in quanta parte, tale debito è illegittimo.
Come emerso dalla discussione comune di questa giornata, pensiamo ad un percorso:
1. che parta anche da realtà locali e settoriali (sanità, istruzione, servizi essenziali, grandi opere ecc.) perché sui temi specifici e dal basso si avverte maggiormente la pressione dell’austerity e dei tagli, risultando anche uno spazio di maggiore coinvolgimento che può produrre un nuovo senso comune, creando alleanze con vari settori della società civile;
2. che sia accompagnato da un gruppo di facilitazione che elabori una prima proposta di lavoro, da sottoporre a tutte le realtà interessate;
3. che sia caratterizzato da un lavoro dal basso e popolare per rendere i contenuti accessibili, con una comunicazione efficace per evidenziare pubblicamente la relazione tra malessere sociale e debito, avvicinando il tema alla gente e creando consapevolezza sui nessi tra debito e declino del welfare;
4. che coinvolga in particolar modo i giovani e le figure competenti;
5. che abbia le caratteristiche di un movimento popolare aperto e inclusivo verso le differenze sociali, culturali, e religiose;
6. che definisca strategie efficaci con obiettivi di breve, medio e lungo periodo, con periodiche verifiche di fattibilità;
7. che interroghi e investa anche le istituzioni, senza farsi vincolare dal rapporto con le istituzioni medesime;
8. che si intrecci con altre campagne già avviate sulla finanza pubblica, a partire da quella per la socializzazione della Cassa Depositi e Prestiti;
9. che sia collegato alla difesa e all’attuazione dell’articolo 47 della Costituzione per incoraggiare e tutelare l’accesso al risparmio popolare e per disciplinare il credito;
10. che metta in rete le esperienze delle città ribelli al debito locale, in vista della riappropriazione, da parte del popolo, del diritto all’insolvenza dei debiti illegittimi.