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Tiburtino III, un fuoco su cui stanno soffiando in troppi

Tiburtino III, aggressione via del Frantoio, picchiata anche volontaria di Baobab. Parla la presidente della Croce Rossa Roma

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ROMA – “Se dobbiamo vivere in uno stato di assedio, se via del Frantoio deve diventare un fortino, siamo pronti a chiudere anche oggi”. Si sfoga così Debora Diodati, presidente della Croce Rossa di Roma, dopo che da martedì notte il presidio umanitario dell’associazione (situati nella zona Tiburtina di Roma) è costantemente vigilato dalle forze dell’ordine. La sera del 29 agosto, infatti, un uomo di origine eritrea è stato accoltellato lì davanti, nel centro per migranti e richiedenti asilo, che l’organizzazione gestisce dal 2015. L’aggressione è avvenuta in seguito a una lite tra alcuni bambini e il rifugiato: si parla di un lancio di sassi (che però l’uomo ha negato durante l’interrogatorio) e di una vendetta da parte dei genitori. Lo avrebbero seguito fino a via del Frantoio, per poi colpirlo con un coltello. Sui fatti sta indagando la magistratura.

“Abbiamo aperto questo presidio a fine 2015 con l’intenzione di creare un posto per mettere in una condizione di legalità tutti coloro che si trovano fuori dal circuito dell’accoglienza e che sono quindi destinati a vagabondare per Roma – continua la presidente della Cri Roma. Il presidio è stato creato infatti dopo la chiusura della tendopoli della Croce rossa alla stazione Tiburtina, allestita per far fronte all’emergenza scaturita dallo sgombero di Ponte Mammolo, avvenuto nel maggio 2015. “Fino ad oggi abbiamo assistito1850 persone – continua Diodati -. Noi come molti altri siamo sul campo e facciamo la nostra parte in un contesto in cui quotidianamente si cerca di coniugare accoglienza con legalità e l’inclusione con le numerose difficoltà in cui si vive nelle nostra città e in particolare nelle periferie. Un centro come quello di cui ci occupiamo in un quartiere come il Tiburtino ha senso se si crea un processo virtuoso di convivenza tra le 80 persone ospitate e la popolazione. Se si crea un clima da Far West non ha senso continuare, mettersi in trincea non è lo spirito con cui è nato quel posto e con cui abbiamo operato finora”.

La presidente della Croce Rossa punta il dito contro la politica che sta strumentalizzando l’accaduto. “Se dobbiamo continuare a svolgere la nostra attività dentro un fortino che deve essere vigilato dalla polizia vuol dire che abbiamo fallito”, aggiunge, ricordando che all’interno del presidio non vengono ospitati solo stranieri ma anche italiani in difficoltà. “Abbiamo un protocollo d’Intesa con il municipio 4 di Roma: abbiamo fatto un censimento sui bisogni dei più vulnerabili nella zona del Tiburtino III, sia migranti che italiani. Per questo ultimamente accogliamo anche connazionali che si trovano in una condizione di disagio”. La Croce rossa ribadisce anche che tutti i fatti si sono svolti fuori dal centro di accoglienza, e che ad oggi non risulta confermata la storia di un possibile sequestro di persona da parte del ragazzo eritreo accoltellato nei confronti della mamma di uno dei bambini.

Anche gli attivisti di Baobab experience, che erano presenti, raccontano una versione dei fatti diversa da quella inizialmente emersa. E raccontano di un’aggressione anche nei confronti di una loro attivista. “Alcuni di noi, attivisti e volontari, arrivano sul posto attorno alle due di notte, trovando uno sparuto gruppo di cittadini, non più di una ventina in quel momento, in evidente stato di sovraeccitazione – scrivono -. A bloccarli, un cordone di agenti di polizia, con caschi e scudi. Due ambulanze ferme, ad un centinaio di metri dall’ingresso del centro”.
Nel frattempo – spiegano – la tensione monta, e la storia pure. “Il migrante viene accusato dalla gente di aver trascinato un ragazzo dodicenne all’interno del centro per abusarne. Gli operatori della Croce Rossa smentiscono. Alcuni di noi riescono a superare il cordone di polizia e ad entrare nel centro per chiedere notizie del migrante ferito, di cui in quel momento si ignorano le condizioni, e per cercare di interloquire con la funzionaria di polizia che dirige le operazioni, e che conosciamo bene, dai tanti sgomberi del presidio informale di Baobab Experience – aggiungono -.  In quel momento, alcuni agenti ci intimano di allontanarci, con la minaccia di essere portati in commissariato con l’accusa di interruzione di pubblico servizio. Le ambulanze, nel frattempo, sono ancora bloccate all’esterno del centro. Facciamo presente agli agenti che uscire dal centro, in quel momento, è per noi molto pericoloso, ma non c’è nulla da fare. Usciti dal centro, ci ritroviamo circondati. Partono immediatamente le minacce, gli insulti, la violenza. Una volontaria viene colpita alla guancia da un forte manrovescio. Urliamo agli agenti di proteggerci, e solo allora decidono di intervenire, frapponendosi tra noi e gli assedianti e scortandoci per qualche decina di metri, ancora inseguiti ed ingiuriati da una folla ormai fuori controllo. Riusciamo a riprendere le auto e ad allontanarci”.

“A Via del Frantoio, l’altro ieri notte, non c’è scappato il morto. Alla fine, il caso ha voluto così, questa volta – conclude la nota -. Ma questo è un fuoco su cui stanno soffiando in troppi, e troppo forte. Chi ha un ruolo politico o istituzionale, è bene inizi davvero a fare i conti con le proprie responsabilità”. (ec)

© Copyright Redattore Sociale

Ps di Popoff: a SkyTg24 un testimone che ha chiesto di non essere inquadrato in viso ha raccontato una storia completamente diversa rispetto a quella di Pamela, la donna che dice di essere stata sequestrata. Che parte dal presupposto che non c’è stato alcun sequestro. “I migranti hanno chiuso le porte in attesa dei carabinieri, dopo che il cittadino eritreo era stato accoltellato alla schiena con “un pezzo di ferro appuntito”, ha detto al TG uno degli occupanti del presidio umanitario della Croce Rossa, in via del Frantoio a Roma.

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