Il referendum in Catalogna non sarà forse una minaccia di rivoluzione sociale ma di certo sarà una rivoluzione politica
di Joan Martìnez Alier*
Non è il “doppio potere” del 1917 come cento anni fa in Russia dove, secondo l’interpretazione di alcuni, i consigli operai (o soviet) e l’apparato ufficiale dello Stato del governo provvisorio russo coesistevano l’uno accanto all’altro, competendo per la legittimità. In Catalogna è tutto più pacifico e non si minaccia una rivoluzione sociale. Però sì, ci potrebbe essere una rivoluzione politica. L’indipendenza della Catalogna è una prospettiva davanti la quale alcuni politici di sinistra, in Spagna, sembrano implorale: “ Catalani, non lasciateci soli con gli spagnoli”, invece di approfittare dell’impulso catalano per mettere in discussione la monarchia, o per lo meno il governo del PP, partito post-franchista.
In Catalogna ci sono da un lato circa due milioni e mezzo (con maggiore incidenza tra i giovani) di “separatisti” in età di voto che vogliono votare Si al referendum del 1 Ottobre, ora supportati da due leggi approvate e promulgate dal Parlamento e dalla Governo della Generalitat (il governo regionale) il 6 e il 7 settembre del 2017. Nel referendum si chiederà se la Catalogna deve essere una repubblica indipendente dalla Spagna. La risposta è “sì” o “no”, non ci sono alternative. I “separatisti”, in termini di forza parlamentare, dispongono del gruppo di Junts per Sì ( di Esquerra Republicana e del Partido Democratico de Catalunya, l’antica “Convergència”) più la CUP (sinistra radicale). Rappresentano 72 voti in un Parlamento di 135 deputati. Rappresentano il catalanismo borghese e anche il catalanismo popolare. Contrari sono tre partiti, non per il No ma per negare la legittimità del referendum e rispettare il divieto del governo di Madrid.
Questi tre partiti sono il PP, PSC (socialista) e Ciudadanos che insieme sommano 52 voti nel Parlament de Catalunya. In una semplificata analisi sociale, questi rappresentano la classe più alta (il Circolo di Economia, per esempio), e hanno l’appoggio del quotidiano borghese La Vanguardia e del quotidiano popolare El Periodico (i due maggiori in Catalogna), e rappresentano anche molti abitanti della cintura operaia di Barcellona e la classe media pro-spagnola o federalista. Al centro CSQP – Catalunya Sì que es Por (Catalonya si se puede) – un gruppo in cui in origine ci sono membri del PSUC (partito comunista) e del nuovo partito Podemos, con 11 deputati , che non riesce a mantenere la sua unità.
Gli ultimi sondaggi del luglio 2017 indicavano la volontà di partecipare al referendum di oltre 50 e fino al 65 per cento e, in ogni caso, con la maggioranza per il Sì all’indipendenza. Una ovvia ragione del divieto da parte del governo di Madrid e delle querelle penali che potrebbero prevedere il carcere per il presidente e il vice presidente del governo della Genralitat, Puigdemont e Junqueras, e per la presidente del parlamento, Forcadell, sono proprio questi sondaggi. Bisogna proibire il referendum perché potrebbe vincere il Sì all’indipendenza. Un’altra ragione è che, anche se vincesse il No, tollerando la celebrazione del referendum del 1° di ottobre si stabilirebbe un precedente nell’esercizio del diritto all’autodeterminazione.
Il dissenso interno al CSQP si è riflesso nel Parlamento, il 6 e il 7 settembre scorso, con Joan Costubiela, un portavoce allineato con i 52 deputati del PP, PSC e Ciudadanos contro il referendum, e con Albano Danti Fachìn e altri deputati favorevoli, anche se alcuni di loro voterebbero No. Joan Coscubiela si è pronunciato con forza contro il referendum per l’indipendenza, o meglio desidera che il potere del governo di Madrid si allei con PP, PSC e Ciudadanos per vietare il referendum contro la maggioranza del Parlament. Non è così sorprendente. Joan Coscubiela viene dal PSUC (di origine stalinista) che non si è mai pronunciato per l’autodeterminazione di Lettonia, Lituania, Estonia, tanto meno per l’Ungheria nel 1956. In ogni caso, c’è stata un’altra sinistra marxista in Catalogna, anti- stalinista – quella di Andreu Nin, che fu distrutta nel 1937. Anni più tardi il PSUC, con il deputato Solé Tura, nel 1978 votò contro l’inclusione del diritto di autodeterminazione nella Costituzione spagnola. Joan Coscubiela porta il marchio del PSUC. Altri deputati con le stesse origini (Nuet, Martinez Castells) si sono meglio evoluti.
Anche la performance dell’economista e deputata Angels Martìnez Castells, del CSQP e che proviene dal PSUC, ha attirato l’attenzione. Quando il 6 settembre era già stata approvata la legge sul referendum per l’indipendenza (72 voti favorevoli e 11 astenuti e il resto dei deputati assenti), quelli del PP lasciarono sugli scranni bandiere spagnole e bandiera catalane. Angel Martinez, che ha già 68 anni, deputata del CSQP, salì lentamente e faticosamente la scala e raccolse una per una le bandiere spagnole, una decisione unilaterale rimasta filmata per sempre e nella storia. Le ha piegate e le ha consegnate a una giovane deputata della CUP. Il Parlament de Catalunya aveva appena approvato la legge sul referendum di indipendenza, un fatto storico che meritava una celebrazione simbolica.
Le prossime settimane ci sanno altri spettacoli in Catalogna. Ma il tema di fondo è che ci sono due legittimità e due poteri. In altre epoca storiche in Spagna questo si sarebbe risolto con un intevento militare. La situazione ora sembra essere diversa.
*Docente di teoria economica alla UAB. Amico e collaboratore di SinPermiso, ricercatore in campo di economia ecologica.
Fonte: SinPermiso. Traduzione di Marina Zenobio