AfD, il partito xenofobo e populista ha vinto ma non ha stravinto. Un’occhiata ai suoi flussi elettorali rivela un risultato meno esorbitante del 2016. Ma non meno preoccupante
di Enrico Baldin
Se si osservano le cose con superficialità, prendendo per buone le veline che vanno per la maggiore, si rischia di prendere delle cantonate. Le elezioni politiche tedesche di domenica sono state descritte in primis per il risultato folgorante del movimento di destra AfD. Tanto brillante da far impallidire anche la vittoria della CDU della cancelliera uscente Angela Merkel che – va detto – rispetto a quattro anni prima ha perso 4 milioni di voti.
Alternative fur Deutschland si è candidata con un programma xenofobo, prospettando in caso di elezione la chiusura dei confini, fortemente critico nei confronti della UE, chiuso sul versante dei diritti civili. Si è dato la patina di movimento anti-sistema, ha usato un linguaggio diretto rompendo il muro del “politicamente corretto”, ha cercato (riuscendovi) di intercettare il voto di contestazione. Alcuni suoi leader si sono anche distinti per dichiarazioni inquietanti, di elogio ai militari che hanno combattuto le due guerre mondiali e di minimizzazione di grosse tragedie della storia, a partire dall’olocausto. Domenica AfD ha conseguito quasi 6 milioni di voti giungendo a quasi il triplo dei consensi rispetto alle elezioni del 2013 in cui per alcune decine di migliaia di voti non superò la soglia di sbarramento del 5%. L’ingresso nel Bundestag è stato dirompente, con 94 deputati eletti. Una nutrita pattuglia che disporrà di una importante cassa di risonanza e che potrà accedere a diritti politici che prima erano preclusi. Gli elettori di AfD provengono prettamente dall’est anche se da tempo il movimento è ben attestato anche a ovest. A quanto pare i flussi di voti per l’AfD provengono prevalentemente dalla CDU-CSU, ma ancor prima dall’elettorato che si era astenuto nelle precedenti tornate elettorali. Un voto prevalentemente di protesta verso i partiti tradizionali.
Il risultato delle elezioni di domenica però è meno esorbitante di quel che si crede. Innanzitutto una necessaria cronistoria. AfD nasce nel febbraio del 2013 per iniziativa dell’economista Bernd Lucke dapprima vicino alla CDU. Alle elezioni dei lander del 2013 non riesce a presentarsi (salvo in Assia dove consegue il 4,1%), ma riesce a candidarsi alle elezioni politiche del 2013 in aperta rottura con le politiche economiche e sociali della Merkel. La formazione di estrema destra riesce a conseguire oltre 2 milioni di voti nel riparto proporzionale, ma per poco insufficienti a superare la soglia di sbarramento. Molti tirarono un sospiro di sollievo, ma fu evidente ben presto che la questione dell’ingresso nelle istituzioni era solo rinviata. Nel 2014 AfD supera lo sbarramento in tre lander su tre (Sassonia, Brandeburgo, Turingia) attestandosi oltre il 10%, sfruttando l’onda delle manifestazioni islamofobe di Pegida. Si conferma alle Europee con oltre il 7% e con l’elezioni di 7 deputati che poi si divideranno in quella che fu la prima scissione nel movimento. Nel 2015 si presenta in due lander tradizionalmente vicini alla sinistra – Amburgo e Brema – e riesce a superare la soglia di sbarramento confermando la presenza nelle istituzioni. Il botto però è nel 2016: a marzo nel popoloso Baden Wurttember (quasi 11 milioni di abitanti) consegue il 15,3%, in Renania il 12,6% e ad est in Sassonia Anhalt prende il 24,2% avvicinandosi alla CDU. A settembre AfD si conferma: 14% a Berlino e 21% in Meclemburgo-Pomerania, sempre a est. Altra tornata di lander ad inizio 2017 e AfD supera lo sbarramento in tutte e tre i lander dell’ovest (dove fatica di più) con risultati attorno al 6-7%.
Poi le elezioni di domenica scorsa con lo storico ingresso in Bundestag e il successo niente affatto sorprendente. Anzi. A guardare bene è un successo fino ad un certo punto. Se il confronto viene fatto con le regionali del 2016 anziché con le politiche del 2017 si nota che il movimento xenofobo è in perdita in tutti i lander della tornata elettorale 2016: a Berlino e in Meclemburgo perde oltre il 2%, in Sassonia-Anhalt perde il 4,6%, in Renania-Platinato perde l’1,4%, in Baden Wurttember perde il 3,1%. Sul totale dei 299 collegi del territorio tedesco, AfD è riuscita a portare al successo i suoi candidati per l’uninominale solo in tre casi, tutti in Sassonia, nella Germania est, ai confini con Polonia e Repubblica Ceca, zone peraltro a bassa densità migratoria. I tre collegi sono nell’area circostante a Dresda, città teatro delle imponenti manifestazioni di Pegida tra il 2014 e il 2015. Nel collegio 157 – vinto da AfD – si trova tralaltro la cittadina di Gorlitz, in cui vi è un campo di concentramento usato dal terzo Reich per internare deportati polacchi e prigionieri di guerra. In quel campo furono detenuti anche prigionieri italiani rastrellati in Albania e deportati dalle SS. Oggi il circondario di Bautzen è la roccaforte della destra radicale.
AfD dunque è in perdita in confronto a dove si è votato di recente, subisce un voto dissociato tra riparto proporzionale e collegi uninominali, con oltre mezzo milione di scarto in negativo per questi ultimi. Segno questo che il voto per AfD non ha radicamento popolare ma consenso “liquido”. Pare intercettare infine più un voto di protesta verso i “partiti tradizionali” che di adesione verso i programmi presentati.
Uno spauracchio spaventoso sì, ma meno di quel che appare dalle uscite giornalistiche evidenziate in Italia di questi giorni. Quasi a rafforzare l’idea che ad uno spauracchio inquietante va offerto l’argine responsabile e democratico. Magari anche liberista e pro-austerity.