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Tutta la Catalogna in sciopero contro Rajoy, l’Erdogan di Madrid

La Catalogna si è fermata: un enorme sciopero generale ha bloccato strade, scuole, porti e mercati. Centinaia di migliaia in piazza contro la repressione dello Stato spagnolo

di Checchino Antonini

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Lo sciopero politico, ossia uno sciopero generale le cui motivazioni non siano strettamente collegate al lavoro, sarebbe illegale nella legge dello stato spagnolo. Un ulteriore lascito di franchismo evidente sotto il fumo dei lacrimogeni o il tintinnare di manganelli. Ma oggi lo sciopero generale (che comunque ha tra gli obiettivi l’abrogazione delle “riforme” del lavoro) sta conseguendo il suo obiettivo, quello di bloccare il paese dopo soli due giorni dalle vicende del referendum per l’autonomia e della sua repressione da parte del governo Rajoy. Mentre scriviamo decine di migliaia di persone hanno circondato il parlament e chiedono che lo sciopero e la mobilitazione sia a oltranza fino alla proclamazione della repubblica e al ritiro della polizia spagnola dalla Catalogna, il presidente di Confindustria spagnola ha dichiarato che in Catalogna si è determinata una situazione rivoluzionaria. Che il governo Rajoy ha mancato completamente di intelligenza. Gruppi e sindacati di base sembrano “annegati” dall’enorme mobilitazione. Mai stati così tanti a un concentramento indetto dal sindacalismo autorganizzato.

Polizia spagnola assediata

Poco prima, migliaia di persone si erano concentrate pacificamente davanti al commissariato della Policia Nacional spagnola in Via Laietana per protestare contro le brutalità di domenica contro i seggi del referendum. La folla ha chiesto la partenza delle «forze straniere» dalla Catalogna e cantato l’inno catalano Els Segadors. Scene simili a Tarragona e Girona. Il presidente catalano Carles Puigdemont ha lanciato un appello alla popolazione perchè tutte le proteste siano pacifiche ed a «rifiutare ogni provocazione». In alcuni comuni ci sono state proteste contro gli alberghi che ospitano agenti della polizia spagnola, di cui viene chiesta la partenza. Anche questi alberghi sono protetti da cordoni di poliziotti catalani, i Mossos d’Esquadra. In un albergo, stando a immagini diffuse da Tv3, gli agenti spagnoli hanno risposto dall’interno con cori da stadio «Espana», «Espana!».

Ieri sera un migliaio di persone si sono riunite spontaneamente a Calella per assistere alla partenza di 500 poliziotti spagnoli sfrattati oggi da tre hotel della cittadina alla periferia diBarcellona gridando «via le forze di occupazione». Gli agenti sono stati invitati dalla direzione degli alberghi a lasciare le camere che occupavano da giorni dopo le cariche violente di ieri della polizia spagnola contro la folla in attesa ai seggi del referendum.

Alla chiamata da parte della Taula por la Democràcia – organismo che raccoglie l’Assemblea Nazionale Catalana più i sindacati e parte dei datori di lavoro catalano – hanno aderito CUP e CGT, CNT, IAC, Intersindical CSC e COS, che aveva già convocato il 20 novembre uno sciopero generale per “fermare la sospensione generale dei diritti civili, rifiutare la presenza di polizia e di organismi militari in molti posti di lavoro e per reclamare l’abolizione delle riforme del lavoro degli anni 2010 e 2012”.

Cc.Oo e Ugt, i due sindacati principali hanno preso le distanze, a livello nazionale, dallo sciopero generale con una posizione ambigua, chiedendo la mobilitazione e il blocco (el paro), ma senza menzionare la parola huelga, anche se le loro sezioni catalane fanno parte della Taula por la Democràcia.

Porti fermi, mercati chiusi e strade bloccate

Lo sciopero è iniziato bene al mattino con il blocco di diverse autostrade e decine di arterie importanti in tutta la Catalogna. Alle 9.30 c’erano già 40 blocchi stradali e a mezzogiorno erano già più di 50 quelli rimasti. I camalli catalani hanno aderito al 100% alla fermata che coinvolge ampi settori di lavoro agricolo, del commercio e dei trasporti. Si capisce anche dai trattori in azione nei blocchi stradali. Centinaia di trattori hanno bloccato, ad esempio, l’autostrada A2 a nord di Barcellona. La manifestazione, convocata dal sindacato dei contadini catalani Up, si svolge nel quadro della giornata di sciopero generale.

Mercabarna, il mercato all’ingrosso di Barcellona, è completamente chiuso, dal momento che i 770 operatori della Mercabarna Dealers Association hanno aderito al “paro”. Anche il porto di Barcellona resta paralizzato.

Numerosi picchetti agiscono fin dalle prime ore del mattino sia a Barcellona che in altre città così come nei centri industriali e commerciali per invitare alla chiusura delle imprese e degli esercizi. A Valls, i picchetti informativi hanno ottenuto la chiusura di Aldi, Lidl, Mercadona e Carrefour, mentre i piccoli negozi erano già chiusi.

La giornata si sta svolgendo senza incidenti, e a Barcellona si stanno sviluppando cortei e concentrazioni spontanee nella città dai negozi perlopiù chiusi. Centinaia di persone, tra cui molti pompieri, si sono concentrate al mattino davanti alla sede del PP di Barcellona, il partito del governo spagnolo. Alle 13.30, una grande manifestazione, con migliaia e migliaia di persone, ha riempito all’inverosimile la Plaza Universitat de Barcelona.

Nessuno è andato a scuola

Gli studenti dell’università e delle scuole superiori sono uno dei settori sociali più mobilitati e sono chiamati a numerose per tutta la mattina. Le università pubbliche si sono anche unite al giorno della “fermata”. E i club di calcio come Barça e Girona hanno aderito alla giornata con comunicati che condannano la violenza dello Stato spagnolo in Catalogna.

In questo sciopero generale, le istituzioni hanno anche un ruolo. Comuni come quello di Barcellona o delegazioni come quella di Girona, tra le altre, si sono aggiunte alla chiamata della Taula. Il governo ha anche sospeso la riunione del Consiglio esecutivo per sostenere lo sciopero. Inoltre, la Generalitat ha ridotto i servizi di trasporto minimi al 25% in ore di punta per facilitare la partecipazione e l’impatto del “paro”.

Rajoy indeciso ha perso la guerra dell’immagine

Il premier spagnolo Mariano Rajoy è indeciso sulla prossima mossa nella crisi catalana, stretto fra le richieste divergenti dei suoi due alleati politici unionisti, il Psoe e Ciudadanos, riferisce la stampa di Madrid. Il leader socialista Pedros Sanchez chiede l’avvio immediato di un dialogo con il presidente catalano Carles Puigdemont e Albert Rivera di Ciudadanos (una specie di M5S iberico) lo invita ad applicare l’art. 155 della costituzione e a sospendere l’autonomia catalana prima che il ‘Parlament’ approvi una dichiarazione di indipendenza. L’indecisione non impedisce ai popolari di sputare veleno: il capogruppo del Partido Popular del premier Mariano Rajoy al Congresso dei deputati, Rafael Hernano ha affermato che il presidente catalano Carles Puigdemont e il vicepresidente Oriol Junqueras stanno attuando «politiche di stampo nazista». La vicepremier Soraya de Santamaria ha detto che il governo ha previsto misure per impedire i «comportamenti mafiosi» che si verificano in Catalogna.

Ma intanto si può affermare che Rajoy ha perso la guerra dell’immagine. L’operazione repressiva, da questo punto di vista, si è rivelata fallimentare. Le cariche della polizia contro civili inermi in attesa ai seggi, i volti in sangue di donne e anziani, le pallottole di gomma, i lacrimogeni e le manganellate contro la folla hanno fatto il giro del mondo e provocato una ondata di indignazione e di simmetrica simpatia per l’indipendenza catalana. Un errore che rischia di costare caro a Rajoy, e allo stato spagnolo. È sempre più difficile per l’Europa guardare dall’altra parte. I premier di Belgio e Slovenia, il presidente finlandese, sono stati i primi a mostrare disagio. Un gruppo di eurodeputati chiede la sospensione della Spagna dall’Ue per il non rispetto dei diritti fondamentali costitutivi dell’Unione. Politici francesi, italiani, inglesi, francesi, tedeschi protestato. Si paragona la Spagna con la Turchia. L’appoggio istituzionale a Madrid si incrina. Gli appelli al dialogo finora si sono scontrati da due anni con il rifiuto granitico di Rajoy in nome dell’unità della Spagna, di parlare con Puigdemont.

 

Il dietrofront del Psoe

Ma ora in Spagna si alzano più voci per chiedere le dimissioni del premier davanti al ‘disastrò catalano. Rajoy nonostante le cariche della polizia non ha potuto impedire il referendum, sconfitto dalla resistenza pacifica di centinaia di migliaia di catalani. Il suo fragile governo minoritario, che ha retto grazie all’ appoggio esterno di Ciudadanos, e sul bilancio dello stato dei nazionalisti baschi moderati del Pnv, è ora a rischio. Il premier basco Inigo Urkullu gli ha tolto l’appoggio per la crisi catalana. In Ciudadanos la portavoce Ines Arrimada ha chiesto oggi le sue dimissioni. Il suo patto contro la Catalogna con il segretario Psoe Pedro Sanchez si è fatto scivoloso. Sanchez ora scarica sul premier ogni responsabilità per le brutalità di ieri, che hanno fatto insorgere la sinistra spagnola, e potrebbe essere tentato di aderire alla mozione di censura contro Rajoy che prepara Podemos. Dopo il patto scellerato con il governo, la capogruppo del Psoe al Congresso dei deputati di Madrid, Margarita Robles, ha chiesto che il parlamento censuri la vicepremier spagnola, Soraya de Santamaria, considerata la responsabile della strategia del governoo in Catalogna e delle violenze della polizia domenica. Robles ha detto che Santamaria è responsabile delle «istruzioni politiche» date alla polizia spagnola. Il leader Psoe, Pedro Sanchez, ha chiesto al premier Mariano Rajoy di avviare un dialogo immediato con il presidente catalano Carles Puigdemont.

Le prossime giornate – fra scontro ancora più duro o tentativi di dialogo – saranno cruciali non solo per la crisi catalana e per il futuro di Puigdemont, che rischia l’arresto, ma anche per quello di Rajoy. Il ‘President’ oggi ha lanciato un appello alla mediazione. Urkullu ne prepara una da giorni. Potrebbe essere l’ancora di salvezza per tutti.

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