Ripensare il concetto di noosfera, ovvero la complessità dell’intelligenza umana sul pianeta, liberandola da derive mistiche e visioni acritiche
di Umberto Oreste
La parola noosfera deriva dal vocabolo greco nous che indica la mente, l’intelletto umano. Per Noosfera si intende la complessità dell’intelligenza umana sul pianeta, analogamente alla Geosfera con cui si intende la complessità della geologia terrestre ed alla Biosfera con cui si intende la complessità della vita biologica[1].
Il concetto di Noosfera è molto attraente e nella storia è stato approcciato in termini anche diametralmente opposti, tra una concezione materialistica ed una idealista o addirittura spiritualista. Oggi, nella sconfitta culturale imposta dal liberismo, prevale una visione acritica, se non del tutto mistica della noosfera. Io penso che gli avanzamenti delle conoscenze ci impongano di riflettere sul termine per inserirlo in una visione materialistica della storia presente e futura del pianeta in cui viviamo.
Il primo ad usare il termine noosfera è stato uno scienziato russo a cavallo tra l’800 ed il ‘900, il geochimico e mineralogista Vladimir Ivanovic Vernadskij. Vernadskij apparteneva a quella schiera di scienziati russi che affrontava i temi della chimica, della biologia, della geografia con un grande amore per la Natura. Tra di loro vanno ricordati certamente Vasily Dokuchaev, Peter Kropotkin, Dimitry Mendeleev (con la cui concezione dell’”ottimismo tecnico-scientifico” Lev Trotskij nel 1925 polemizzò in “Marxismo e scienza”). Tale ambito culturale tra l’altro ebbe forti legami con la scienza italiana, ed in particolare napoletana. Vernadskij da San Pietroburgo approdò a Napoli, capitale europea della geologia, per apprendere la cristallografia da Arcangelo Scacchi e lo zoologo, premio Nobel, Ilja Mecnikov venne a studiare la biologia del Golfo di Napoli. Vernadskij, tornato in patria, prese parte alla rivoluzione del 1917 e successivamente fu membro dell’Accademia Sovietica delle Scienze; negli anni ‘40 prese parte al programma atomico sovietico.
Negli anni ’20 Vernadskij sviluppò una teorizzazione della storia del pianeta per stadi interagenti per la quale l’avvento della vita (Biosfera) modificò la Geosfera e l’avvento del pensiero umano (Noosfera) sta modificando la Geosfera e la Biosfera. Nel 1927 suo libro “Lineamenti di Geochimica” scriveva: “Con l’umanità è comparsa indubbiamente una nuova ed enorme forza geochimica sulla superficie del nostro pianeta. L’equilibrio nella migrazione degli elementi, che si era stabilito in lunghi tempi geologici, è infranto dall’intelletto e dall’ attività degli uomini. Adesso, con tale indirizzo ci troviamo in un periodo di mutamento delle condizioni di equilibrio termodinamico all’interno della Biosfera”[2]. È evidente che leggendo queste parole scritte quasi un secolo fa, il pensiero va alle 400 parti per milione della concentrazione di CO2 nell’atmosfera causata delle emissioni prodotte dai combustibili fossili, alle variazioni indotte nella geosfera e di conseguenza nella biosfera.
Tornando però alla Noosfera, nel corso del ‘900, altri, partendo dalle evidenze scientifiche di Vernadskij, ricondussero la Nooosfera ad una spiritualità collettiva che supera la materialità fisica per erigersi a motore della storia. Tra questi ricordiamo Edouard Le Roy, filosofo seguace di A. Bergson, e soprattutto Pierre Teilhard de Chardin che enunciò l’evoluzione della Noosfera ad una integrazione ed espansione crescente fino al raggiungimento del punto Ω che costituisce il fine e la fine della storia. L’ipotesi è attraente esteticamente, in quanto volo fantastico, ma sicuramente inservibile dal punto di vista operativo.
In tempi più recenti ha attinto all’idea dell’interconnessione evolutiva tra chimica e biologia la teoria elaborata da James Lovelock nel 1979 definita in italiano “Ipotesi Gaia” (originariamente: “Gaia. A new look at the life on Earth”). Questa teoria identifica la Biosfera come un unico organismo, capace di autoregolarsi con processi di feedback attivi che coinvolgono la chimica e la biologia e che l’attività umana può destabilizzare.
Da parte mia, ritengo che nel presente è necessaria una riformulazione del concetto di noosfera che attinga dall’avanzamento delle conoscenze e possa divenire strumento operativo per rispondere alle sfide dei cambiamenti ambientali globali. Questa riformulazione deve tener presente i meccanismi fisiologici dell’apprendimento umano e delle intelligenze artificiali, i meccanismi di come le idee viaggino a livello globale, i meccanismi della formazione del senso comune, i meccanismi della decisionalità collettiva e della capacità di tradurre decisioni in azioni. In conclusione non è tanto il processo sintetico della Noosfera da ricercare, quanto l’analisi della sua complessità.
Umberto Oreste è biochimico
[1] Uso il termine “complessità dell’intelligenza umana” e non “pensiero umano” come definito da altri, per sfuggire ad ogni idea di autonomia del pensiero collettivo (idea neoplatonica) rispetto alle menti individuali.
2] Ripreso da Boris Georgevic Razabek