La morte di Denis Bergamini, dopo 28 anni la superperizia smonta la versione ufficiale sul decesso del popolare calciatore del Cosenza
di Checchino Antonini
E’ morto per soffocamento Donato Denis Bergamini, il calciatore trovato cadavere nel 1989, sotto un camion sulla statale 106 Ionica all’altezza di Roseto Capo Spulico (Cosenza). Dopo 28 anni l’esito della super perizia medico-legale disposta dal gip del tribunale di Castrovillari sul cadavere del calciatore del Cosenza fornisce nuovo impulso a una vicenda ancora non chiarita. Un risultato quello del nuovo sofisticato esame autoptico che «non collima con la tesi del suicidio sotto il camion in corsa e rafforza, invece, l’esito della consulenza del Ris di Messina, incompatibile con l’ipotizzato decesso causato dall’impatto con l’autocarro in movimento». Fabio Anselmo, legale della famiglia del calciatore, non conferma né smentisce le indiscrezioni trapelate sulla stampa calabrese ma i consulenti della famiglia sarebbero soddisfatti per quello che hanno visto nelle operazioni di peritaggio. Ci vorranno forse un paio di settimane per entrare in possesso delle carte.
La salma di Denis Bergamini – la cui morte, avvenuta il 19 novembre del 1989 venne attribuita al gesto volontario di togliersi la vita – è stata riesumata lo scorso luglio dopo la riapertura dell’inchiesta da parte del Procuratore della Repubblica di Castrovillari Eugenio Facciolla. Due precedenti inchieste della magistratura non erano, evidentemente bastate a sgombrare il campo da dubbi e perplessità per quello che per molti, soprattutto per i familiari e per tanta parte della tifoseria cosentina rimasta fortemente legata al calciatore di Argenta (Ferrara), era stato archiviato come suicidio.
Una tesi quella che avrebbe portato Bergamini a togliersi la vita alla quale da subito non avevano creduto i familiari e le persone a lui più vicine. E sono stati loro, in particolare la sorella Donata a lottare contro quel verdetto e a fare riaprire le indagini. L’ipotesi della Procura è quella di omicidio e su queste basi sono attualmente indagati l’allora fidanzata del giocatore, Isabella Internò, e l’autista del camion che investì il calciatore, Raffaele Pisano. Il procuratore della Repubblica di Castrovillari Eugenio Facciolla, rintracciato telefonicamente, non ha inteso, al momento, rilasciare commenti. Presto, comunque, potrebbero aggiungersi nuovi elementi ad un caso sul quale da troppo tempo si attende di fare piena luce.
A chiedere la riesumazione, a febbraio del 2016, fu l’avvocato Fabio Anselmo del foro di Ferrara proprio per conto di Donata Bergamini, con la quale incontrò Facciolla. Già nel 2011 la Procura di Castrovillari, all’epoca retta da Franco Giacomantonio, aveva riaperto il caso ma poi era stata chiesta l’archiviazione nel 2014. Anselmo ha presentato la certificazione del team coordinato dal professore Vittorio Fineschi della Sapienza che attestava di poter datare in modo certo le lesioni subite da Bergamini. Fineschi è lo stesso consulente che ha svolto l’autopsia sul corpo di Giulio Regeni, ucciso in Egitto.
Denis Bergamini, argentano del ’62, venne trovato morto il 18 novembre 1989 sulla statale 106 Jonica nei pressi di Roseto Capo Spulico in provincia di Cosenza. Carlo Petrini, ex calciatore del Milan, scrisse su di lui “Il calciatore suicidato” nel 2001, in cui fornì alcuni dettagli ancora non provati sulla vicenda. All’epoca, però, fu pompata la testi del suicidio: Bergamini si sarebbe buttato tra le ruote di un camion che l’avrebbe trascinato per circa 60 metri. L’indagine fu archiviata ma familiari, tifosi, compagni di squadra non hanno mai creduto al suicidio. Il corpo non presentava nessuna ferita compatibile con la versione ufficiale e non era sporco di fango, nonostante la pioggia e le pozzanghere di quella sera.
Nel 2011 l’impulso decisivo fu l’inchiesta di un giornalista, Gabriele Carchidi. Anche Petrini, prima di morire, aveva sposato questa linea parlando dai microfoni di Radio Libera Bisignano. Secondo l’ex difensore del Milan non solo Isabella Internò, ma anche un familiare a lei molto vicino potrebbe contribuire a chiarire cosa successe in quel maledetto viaggio dal Cinema Garden di Rende a Roseto Capo Spulico. Isabella era la fidanzata di Bergamini ed era con lui quella sera. Un perito ha dimostrato che il suo corpo venne adagiato già inerme sulla Statale 106. E tutto era già scritto, probabilmente, nella perizia del ’90 redatta dal professor Avato: percosso e colpito ai genitali, evirato, poi morto dissanguato. I Ris di Messina, intanto, hanno escluso che Bergamini fosse un corriere della droga perché la Maserati Spider del calciatore non conteneva né doppifondi né vani occulti. Allora chi aveva interesse ad ucciderlo? Perché la perizia del professor Avato non fu presa adeguatamente in considerazione? Qual è stato il ruolo della fidanzata?
Domande che Donata Bergamini si pone da 28 anni e a cui il Gruppo Zeta stava per rispondere prima del 4 ottobre 2012 quando tutti i membri del gruppo, si tratta di quattro carabinieri, sono stati trasferiti dopo aver dato una svolta alle indagini sul caso Bergamini, col supporto di altri tre colleghi. La loro grave colpa è stata quella di denunciare i comandanti provinciali, Francesco Ferace e Vittorio Franzese e un capitano, Paolo Lando, perché avrebbero tutte le prove della collusione di un maresciallo con la famiglia di un latitante. Il sottufficiale avrebbe avvertito la famiglia che la loro casa era imbottita di microspie, fornendo loro una mappa dettagliata delle cimici, facendo saltare, nei fatti, la cattura del capo ‘ndrina. I sette lavoravano per conto della Dda. Anche questa fu una storia raccontata su Cosenza sport da Carchidi che, dalle pagine di Iacchitè, Carchidi torna oggi sulla vicenda, in particolare sulla figura di Luciano Conte, 55 anni, attuale marito di Isabella Internò, all’epoca dei fatti agente della digos o della squadra mobile a Palermo e amico di famiglia dell’Internò. Le carte che dovrebbero rendere la sua deposizione dell’epoca non sono inserite successivamente nel fascicolo. «Insomma, qualcuno deve averle accuratamente eliminate», sostiene il giornalista cosentino.
Perché Isabella fa cenno al suo rapporto con il poliziotto?
E’ probabile che qualcuno li avesse visti insieme. Sembra, in particolare, che Padre Fedele Bisceglia abbia parlato proprio di quel poliziotto alla famiglia Bergamini. E sembra che ancora il frate francescano si fosse meravigliato e non poco per l’atteggiamento “sbrigativo” di qualcuno che era con Isabella nel corso di un’udienza importante del processo.
E se Isabella avesse parlato del suo “amico di famiglia” già nella prima deposizione resa ai carabinieri? Beh, in quel caso potrebbe anche averlo fatto per assicurarsi una “protezione” che, a quanto pare, il poliziotto non le ha fatto mai mancare.
Luciano Conte è nativo di Ragusa ma ha molti legami di famiglia a Cosenza. Tuttavia, inizia a lavorare a Palermo. Quasi superfluo sottolineare quanto sia difficile operare in quella città. Isabella riferisce che Conte lavorava nella digos ma in realtà faceva parte della squadra mobile. Secondo fonti accreditate della polizia, Conte si mette in evidenza nel suo servizio anche quando è ancora molto giovane. E, sempre secondo quelle fonti, partecipa nientepopodimeno che alla cattura di Michele Greco, il “papa” della mafia siciliana, all’inizio degli anni Novanta.
Quanto, invece, al suo rapporto con Isabella, la sua qualità di “amico di famiglia” diventa ben presto quella di “fidanzato ufficiale” se è vero, com’è vero, che neanche tre anni dopo la morte di Donato, Isa e Luciano diventano marito e moglie, nel 1991, in una chiesa di Rende. La coppia vive in Sicilia per qualche tempo. Dopo il matrimonio, Conte viene avvicinato a Cosenza e, qualche anno dopo, la famiglia prende casa a Surdo, una frazione di Rende. Dove abita tuttora.
Sì, perché Conte, dopo gli anni trascorsi a Palermo, adesso è assistente capo alla sezione di polizia giudiziaria di Paola.
Difficile credere che Isabella Internò, ormai signora Conte, non abbia detto la verità su quanto è accaduto quella notte al marito.
In occasione del ventesimo anniversario della morte di Denis, una troupe di Chi l’ha visto? ha deciso di provare ad intervistare la signora Internò. Isabella ha avuto solo il tempo di biascicare al citofono un improbabile “Non c’è nessuno”. Poi ha preso in mano la situazione il marito, che è sceso al portone e ha apostrofato in malo modo il giornalista, “avvertendolo” di essere un poliziotto… Una reazione scomposta e scortese che ha lasciato stupefatto sia il diretto interessato sia i telespettatori.
E che Conte fosse molto nervoso (per usare un eufemismo) in quel periodo, lo ricaviamo anche dalla denuncia che presentò insieme alla moglie nei confronti del giornale che dirigo, Cosenza Sport. Una querela che si è risolta con l’assoluzione piena per chi scrive.
Per non parlare delle “scaramucce” con questo soggetto nel corso delle udienze del processo. E che dire delle intercettazioni, finalmente rese pubbliche ieri sera da “Chi l’ha visto?”, nelle quali catechizza la moglie su quanto deve dire al magistrato che deve interrogarla?
“Tu di me non devi dire niente” le dice il marito mentre si trovano in macchina. “Se ti dicono fa il poliziotto rispondi di sì e che all’epoca… era a Palermo”.
“Nel privato – aggiungeva l’agente di polizia marito della Internò – non ci devi entrare proprio… dici che erano cose da ragazzini e che le coppie si lasciano e si prendono…”.
Ma la verità prima o poi viene sempre a galla. E finalmente qualcuno comincia ad interrogarsi su chi abbia potuto svolgere il ruolo di “regista” occulto dell’omicidio di Denis Bergamini che, come minimo, dev’essere uno in grado di pensare un piano e in grado di avere i contatti giusti con i pezzi deviati dello stato, a partire da se medesimo… E di procurarsi un avvocato esperto come Angelo Pugliese (fratello della sua collega poliziotta Raffaella, che è stata anche vicequestore a Cosenza!). Checché ne dicano la mantide di Surdo e il suo scadente marito poliziotto.
Ma a catalogare questa storia alla voce “malapolizia” potrebbe esserci anche il ruolo del brigadiere Francesco Barbuscio (oggi defunto) che, ancora Carchidi, ritiene «sia stato determinante per insabbiare le indagini è quasi un eufemismo. Diciamo pure che questo carabiniere è l’anima nera dell’omicidio di Denis Bergamini».