Ada Colau critica contro la decisione di Madrid di arrestare il governo catalano. Il comune di Barcellona riconosce quel governo ma non l’indipendenza. Chi vincerebbe se si votasse oggi
di Francesco Ruggeri
Crisi catalana. Podemos accusa la giustizia spagnola di fare «prigionieri politici». «Mi vergogno che il mio Paese metta in carcere gli oppositori politici. Non vogliamo l’indipendenza della Catalogna ma diciamo: libertà per i prigionieri politici», ha twittato il leader di Podemos, Pablo Iglesias, in merito all’arresto degli ex esponenti della Generalitat catalana. «Un giorno nero per la Catalogna. Il governo eletto democraticamente con le urne, in carcere. Ci vuole un fronte comune per ottenere la libertà dei prigionieri politici», ha twittato dal canto suo la sindaca di Barcellona Ada Colau, eletta in un alleanza di cui fa parte Podemos. La stessa coalizione fra Podemos e «los comunes» della Colau, riferiscono i media, ha già fatto sapere che nel suo programma elettorale per il voto in Catalogna del 21 dicembre ci sarà l’amnistia per i secessionisti.
«È una giornata buia per la Catalogna», ha spiegato dunque la sindaca Colau ieri dopo la decisione di una giudice spagnola di mandare in prigione otto ministri del Govern destituito di Carles Puigdemont. «Il governo eletto democraticamente nelle urne è in carcere» ha denunciato, auspicando un «fronte comune per ottenere la liberazione dei detenuti politici». Il comune di Barcellona continua a considerare legittimo il governo dell’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont, ma non riconosce la proclamazione dell’indipendenza della Catalogna. La formazione Barcelona in Comù ha votato in consiglio comunale a favore di una risoluzione dei secessionisti che riconosce il governo deposto di Puigdemont e il parlamento di Barcellona come «unici legittimi rappresentanti della Catalogna», ma si è espresso contro il riconoscimento della proclamazione dell’indipendenza. La Colau, che si è sempre detta contraria alla secessione, ha fatto diversi appelli al dialogo durante la crisi fra Madrid e Barcellona, accusando entrambe le parti di procedere verso lo scontro, ma viene accusata di ambiguità dagli unionisti.
Ada Colau ha poi ribadito l’importanza delle elezioni del 21 dicembre come l’occasione per il suo partito Catalunya en Comú di confrontarsi con i partiti indipendentisti e sottolineato che per superare l’attuale conflitto c’è bisogno di politica, non di vendetta.
Una richiesta condivisa dalle decine di migliaia di persone che ieri hanno manifestato in tutte le città catalane, in particolare a Barcellona, Girona, Badalona, Tarragona e Lleida dopo gli ordini di arresto, spiccati dalla giudice Carmen Lamela per la detenzione provvisoria senza cauzione del vicepresidente Oriol Junqueras e di sette ministri, mentre Puigdemont e altri esponenti del governo catalano sono a Bruxelles da lunedì.
Il 48,7% della popolazione catalana, la percentuale più alta finora registrata, è per l’indipendenza e il 43,6% contro, secondo un sondaggio del Centro Studi di Opinione della Generalitat. Il ‘sì cresce di oltre il 7% rispetto al precedente sondaggio di giugno, quando era al 41,1%, il ‘nò perde quasi sei punti (dal 49,4). Secondo il sondaggio – 1.550 intervistati dal 16 al 29 ottobre, margine di errore del 2,69% – se si votasse oggi il fronte indipendentista conserverebbe una maggioranza assoluta nel Parlamento con 68-72 seggi (60-63 a una coalizione Erc-Pdecat, 8-9 la Cup) su 135. Fra i partiti unionisti otterrebbero 25-26 seggi Ciudadanos, 17-19 il Psc, 10-11 il Pp. La coalizione Sqep vicina a Podemos e al sindaco di Barcellona Ada Colau avrebbe 12-14 deputati. L’affluenza alle urne sarebbe alta, al 75%.