Andy Warhol Superstar, uno spettacolo dedicato dal Teatro della Tosse di Genova alla figura profetica e disturbante, come ogni profeta, dell’artista più significativo della pop art
da Genova, Claudio Marradi
Uno, nessuno, centomila Andy Warhol. In ogni caso uno di noi, come cantavano in coro i fenomeni da circo nel film Freaks di Tod Browning. Anche tutti noi, ormai, impegnati come lui quotidianamente nella costruzione di un’identità pubblica da condividere, socializzare, far circolare, promuovere post dopo post, click dopo click… Perchè chi non social/izza è perduto. E non esiste (più). Alla figura profetica e disturbante – come quella di tutti i profeti – dell’artista tra i maggiori esponenti della pop art, il Teatro della Tosse di Genova, in collaborazione col Teatro cargo e per la regia di Laura Sicignano, che firma anche il testo con Alessandra Vannucci, ha dedicato lo spettacolo Andy Warhol Superstar. Unica interprete in scena Irene Serini, che veste i panni di Warhol in una straordinaria, androgina, somiglianza con David Bowie. Che come l’artista statunitense fu autentica icona di ambiguità, sempre in bilico tra talento e marketing di se stessi. A meno di non considerare, proprio come faceva Warhol, il marketing la più genuina forma d’arte del XX° secolo: “Being good in business is the most fascinating kind of art. Making money is art and working in art and good business is the best art.” vaticinava in fondo con lucidità Andrew Warhola Jr. E infatti nella sua Factory, a New York, non si producevano solo dipinti e serigrafie: si cambiava la storia del costume, si faceva cinema, musica rock, editoria, si attraversavano nuovi linguaggi che sarebbero diventati lingua globale.
Lo spettacolo indaga la biografia più intima di Andy: la sua curiosità per tutto ciò che era trasgressivo ed estremo e la sua fede cattolica, il rapporto con la madre, con gli USA, con i soldi e il potere, con il sesso e la castità. La sua vita come la fiaba sinistra di un bambino povero trasformato in un principe delle tenebre in mezzo ad una folla stravagante di cortigiani. E che si conclude, in scena, in un monologo in cui il personaggio di Warhol si sovrappone a quella della madre Júlia Justína Zavacká, figura altrettanto ingombrante di quella di Norman Bates in Psyco di Alfred Hitchock, tanto per citare un altro bel pezzo di immaginario del Novecento. E cioè ai bei tempi andati della società dei consumi, proprio quelli che – almeno in questa parte di mondo – sono sprofondati, come certifica l’inflazione a zero, nel grande tsunami della crisi globale post 2008. E noi che ci pensiamo ancora consumatori ci scopriamo invece già tutti consumati: schedati, tracciati in ogni scelta, preferenza e inclinazione, profilati tra poco anche nei dati sanitari e in quelli genetici. Acquisiti, comprati, venduti, il prodotto ormai siamo noi. E il guaio vero è che non l’abbiamo ancora capito.