Paradisi fiscali. L’inchiesta dell’Icij racconta come una parte delle transazioni, determinanti per l’economia mondiale, transita per il sommerso offshore
Editoriale La Jornada, 6 novembre 2017 (Traduzione di Marina Zenobio)
La scoperta di oltre 13 milioni di documenti sulle attività dell’operatore di servizi offshore Appleby – che ha sedi nelle Bermuda, nelle Isole Vergini e Caiman, nell’isola di Man e in quella di Guernesey, nelle Mauritius e nellele Seychelles -, ha portato alla luce una lunga lista di politici importanti, magnati, personalità del mondo dello spettacolo e dello sporto, così come grandi imprese di diversi paesi. Tutti nomi e entità che ricorrono, occasionalmente o regolarmente, all’opacità che danno i cosiddetti paradisi fiscali nell’effettuare operazioni di compravendita, triangolazioni di fondi o per la liquidazione di company, tutte operazione nascosti dal controllo governativa o dello sguardo dell’opinione pubblica.
Le informazioni però, diffuse lo scorso 4 novembre dal Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (Icij nell’acronimo inglese), non permettono di intravedere azioni delittuose da parte di quanti coinvolti. Permettono però di vedere la forte determinazione di importanti attori della politica e del commercio nel mantenere segreti i propri movimenti finanziari. Allo stesso tempo quelle informazioni rendono evidente che una parte fondamentale delle transazioni, determinanti per l’economia mondiale ma che transita per il sommerso dell’offshore, risultano attività di routine per i numerosi utenti dei paradisi fiscali.
Nella lista dei clienti di Appleby troviamo marchi famosi come Nike, Apple, Uber, America Movil (operatore messicano di telefonia mobile), Femsa (company messicana per l’imbottigliamento di Coca Cola e altre bibite), Grupo Modelo (leader per la distribuzione e la vendita di birra), Walmart, il presidente colombiano Juan Manuel Santos, la regina Elisabetta d’Inghilterra, il segretario per il commercio statunintese Wilbur Ross, il genero e consigliere di Donald Trump, Jared Kushner. E poi il potentissimo George Soros e i cantanti Bono e Madonna.
Forse le rivelazioni dell’Icij porteranno elementi per l’apertura, in alcuni casi, di inchieste giudiziarie contro le persone fisiche o morali a cui si riferiscono. In altri casi si arriverà alla conclusione che tutte le operazioni realizzate nei paradisi fiscali sono state fatte nel rispetto della legge. Comunque sia resta l’immoralità scoraggiante del fatto che cifre astronomiche di denaro si muovono nel mondo, quotidianamente, attraverso circuiti finanziari opachi che facilitano il lavaggio del denaro, l’evasione fiscale, occultamento all’erario e utilizzi illeciti. Ed è inoltre inammissibile ed esasperante constatare che il sistema offshore è uno strumento disponibile solo per un pugno di magnati, politici potenti e personalità con influenze e una quantità di denaro vergognosa, mentre la maggioranza dei cittadini può disporre solo di istituzioni bancarie che non si caratterizzano certo per le loro buone pratiche né per il concedere ai clienti rendimenti equi. Così come risulta desolante il cinismo strutturale dei sistemi finanziari internazionali, interconnessi con ambiti opachi, come i governi che non mettono limiti né meccanismi di monitoraggio su chi opera nei paradisi fiscali, o come gli organismi internazionali che da un lato gridano i quattro venti la necessità di combatte il riciclaggio di denaro e dall’altra tollerano l’esistenza di zone d’ombra.
C’è da chiedersi quante altre rivelazioni dovranno esserci – prima di Appleby ci sono state quelle dei Panama Papers e lo scandalo Odebrecht – perché si arrivi alla conclusione che per motivi di trasparenza ma anche di decoro, il sistema offshore venga espulso dall’economia mondiale.
La conclusione di questa nuova inchiesta giornalistica internazionale, secondo l’Icij, è ben descritto nelle parole della studiosa del Consorzio Brooke Harrington: “Quando il ricco diventa più ricco, il povero diventa più povero, perché i ricchi non pagano la loro giusta quota di tasse”.