La stabilizzazione dei precari. Ecco la circolare della Funzione Pubblica. Resta fuori il 400%
di Federico Giusti
E’ uscita, forse anche prima del previsto ma decisamente tardi se consideriamo che numerosi enti hanno già approvato il piano triennale delle assunzioni (e sarà necessario rivederlo includendo la stabilizzazione dei precari in possesso dei requisiti previsti), la circolare Funzione Pubblica 3/2017, quella che dovrebbe indicare le linee guida per la stabilizzazione dei precari, la terza stabilizzazione dopo quelle avvenute nel biennio 2007\8.
E’ sconcertante che nessuno, men che mai il sindacato, abbia avviato una riflessione critica sulle stabilizzazioni di 10 anni fa che esclusero numerosi precari e tipologie di lavoro. Fare tesoro delle esperienze passate dovrebbe servire a non ripetere, nel presente e in futuro, i medesimi errori, tuttavia le leggi che regolano le scelte politiche sono ben altre, di conseguenza il numero dei precari da stabilizzare è stato deciso a tavolino, numero compatibile con i patti di stabilità e la ridotta facoltà assunzionale degli enti, un calcolo ragionieristico di stampo liberista ma assolutamente non veritiero.
Ma quanti sono i precari?
Il Ministro Madia era troppo impegnata a far approvare i suoi decreti che stravolgono il lavoro pubblico per fare la sola cosa utile e ragionevole: una circolare che obbligava gli enti alle ricognizioni interne ricostruendo i rapporti precari dell’ultimo decennio per fornire dati precisi sui contratti, sulla loro durata e tipologia.
La circolare paradossalmente chiede solo ora agli enti di fare quella ricognizione che avrebbero dovuto fare un anno fa, prima ancora di stabilire a tavolino il numero (falso e insufficiente) delle 50 mila stabilizzazioni.
La storia degli ultimi dieci anni insegna che i precari di allora non sono stati assorbiti e molti altri si sono aggiunti, c’è poi chi ha operato altre scelte di vita scappando via dagli enti pubblici, quindi il numero dei precari può essere imprecisato ma incrociando alcuni dati e articoli non è azzardato parlare (e ci teniamo bassi) di oltre 200 mila unità, più del 400% delle stabilizzazioni previste dalla Madia. E poi quanti sono i contratti di somministrazione nel pubblico? Sarebbe utile saperlo visto che sono esclusi dalla stabilizzazione.
Per anni hanno detto che nella Pa si entrava con concorso, eppure gli enti di ricerca sono andati avanti per lo più con i contratti a chiamata diretta, la tipologia contrattuale nel pubblico è così variegata che le normative di legge sono state aggirate determinando situazioni caotiche. Per dirne una, il lavoratore a tempo determinato e vincitore di selezione che per 3\4 giorni non arriva ai fatidici 36 mesi viene escluso dalla stabilizzazione al contrario di chi ha ben oltre 36 mesi con contratti flessibili ed è entrato in un Ente di ricerca su chiamata diretta (clientelare?) e senza selezione alcuna.
Sia ben chiaro, per noi entrambi hanno i medesimi diritti ma il pasticciaccio della stabilizzazione dimostra che la confusione è stata creata ad arte per dividere i lavoratori vendendo poi la farsa della meritocrazia e della selezione come criteri guida per la gestione del lavoratore pubblico.
Concorsi e concorsini. L’imbuto è stretto
L’articolo 20, comma 2, del d.lgs 75/2017 prevede l’assunzione in ruolo di precari assunti senza selezione pubbliche, con una sorta di “concorsino”che formalmente rispetta il dettato della costituzione (negli enti pubblici si entra per concorso) ma non nella sostanza.
Il vero problema è che i precari senza concorso sono talvolta in possesso di elevati requisiti professionali e sono risultati indispensabili per la ricerca (e non solo quella).
Ma torniamo alla circolare facendo notare che tra la stessa e la legge di riferimento, quella delle stabilizzazioni, ci sono rapporti strani, la circolare semplifica il dettato di una legge fumosa, costruita ad arte per essere interpretata in termini ristrettivi, per esempio sono ammobiditi (meno male) i requisiti soggettivi, basta avere raggiunto i 3 anni negli ultimi 8 anche non continuativi e con varie tipologie contrattuali. Ironia della sorte, molti enti pubblici avevano fermato i contratti a tempo determinato prima del raggiungimento dei 36 mesi, quindi chi aveva vinto una selezione si è visto bloccato prima di raggiungere i requisiti della stabilizzazione , per questo viene escluso da eventuali ripescaggi da una circolare che avrebbe dovuto invece prendere in esame tutti i casi .
Evidentemente chi scrive le circolari non conosce il lavoro pubblico per come è realmente ma si relaziona solo agli uffici contabili o risponde a esigenze elettorali, sicuramente non di giustizia sociale. Se così non fosse ricorderebbero che il limite dei 36 mesi come durata massima dei contratti a tempo determinato ha spinto gli uffici a sospendere prima del dovuto molti contratti nel timore di qualche causa di risarcimento (l’eventuale superamento non dà diritto alla assunzione nel pubblico)
L’art. 19 d.lgs. n. 81 del 2015, prevede infatti che il contratto a termine non superi 36 mesi, invece per i dirigenti a termine la durata del contratto può arrivare fino a 5 anni.
Ma la stabilizzazione è solo una possibilità, non ci sono obblighi di legge che vincolino ogni ente, del resto si prevede che le stabilizzazioni abbiamo procedure concorsuali a parte nei limiti del 50% delle assunzioni previste dal piano triennale. Paradossalmente alcuni enti potrebbero anche decidere di non stabilizzare i precari, non è previsto l’obbligo a stabilizzare un po’ come quando, prima dei concorsi, si procede, ai sensi di legge, con la mobilità del personale proveniente da altro Ente. Gli obblighi ai quali la Pa è sottoposta sono solo all’insegna del risparmio della spesa di personale. Del resto la stabilizzazione dei precari avrebbe dovuto essere esclusa dai tetti della spesa di personale, questa era una semplice rivendicazione che avrebbe messo d’accordo tutti i sindacati consentendo un pur parziale ricambio generazionale negli enti pubblici dove opera la forza lavoro più anziana d’Europa. Invece si sono scelte altre strade, si lasciano fuori tanti precari ai quali mancano pochissimi giorni per la stabilizzazione, si esclude la possibilità di richiamarli in servizio per raggiungere i requisiti necessari, e non se ne prendono in considerazione altri, per esempio chi ha almeno due anni. In questo caso il Governo avrebbe potuto pensare a nuove assunzioni o prolungamento dei contratti a tempo determinato, ma anche in questo caso la flessibilità delle norme vale solo se compatibile con la riduzione della spesa di personale. L’austerità, è il caso di dirlo, ha fottuto per la seconda volta il precariato.