Stabilizzazione dei Precari nella Pubblica amministrazione: tra il dire e il fare c’è di mezzo la beffa
di Federico Giusti
Dal 1° gennaio 2018 dovrebbero partire le stabilizzazioni negli enti pubblici ma il percorso è tutt’altro che scontato vuoi per i numeri (50 mila a fronte di almeno 200 mila precari nella PA), vuoi perché la legge Madia e la circolare applicativa sono scritte in modo nebuloso e lasceranno fuori molti aventi diritto perché privi dei cosiddetti requisiti. La richiesta dei sindacati rappresentativi non è quella di un serio monitoraggio dei contratti precari (sapere quanti sono senza dare numeri a casaccio e solo compatibili con il pareggio di bilancio degli enti) per poi procedere con le loro assunzioni al di fuori dei Patti di stabilità, la trattativa potrebbe essere solo destinata ad aumentare di poco la cifra delle 50 mila stabilizzazioni senza ridiscutere dei criteri, dei numeri e della spesa di personale.
Intanto è bene sapere che le stabilizzazioni dovranno rientrare nel piano triennale “straordinario, come prevede l’ articolo 20 del decreto legislativo 75/2017, ma quello di cui non si parla sono le procedure, l’esiguo budget di spesa e i criteri e soprattutto il superamento dei patti di stabilità
Basta un giorno in meno dei 3 anni di anzianità nella Pa negli ultimi 8 e con almeno un giorno di lavoro dopo il 28 agosto 2015 per non essere stabilizzati anche se hai superato una selezione o un concorso, chi invece ha avuto contratti flessibili e a chiamata diretta (sulla cui trasparenza è sempre lecito dubitare) ha una corsia prefenziale. Lo diciamo premettendo che per noi non ci sono precari di serie a e altri di serie b, i diritti esigibili vanno rafforzati allargandone la platea dei beneficiari ma per farlo dovrebbero essere riscritte le regole
Le leggi di austerità sono il principale ostacolo al rilancio della pubblica amministrazione, la spesa a tempo indeterminato è collegata ai vincoli al turn over, eppure in meno di 10 anni abbiamo perso 500 mila posti di lavoro. Cosa altro vogliono dai dipendenti pubblici? Come è possibile avere ancora come riferimento la spesa media del biennio 2015/7, anni nei quali l’erosione dei posti di lavoro era già in gran parte avvenuta?
E poi permangono odiose istruzioni ministeriali per le quali un contratto precario a tempo pieno si può trasformare anche in un posto stabile ma solo part time, una beffa per i lavoratori e le lavoratrici e un’ulteriore occasione per accrescere flessibilità, carichi di lavoro e ridurre gli organici.
Non siamo allora davanti a una politica assunzionale per rilanciare i servizi pubblici, siamo dentro le logiche dell’austerità che ledono diritti e mettono in competizione i lavoratori e le lavoratrici per irrisori aumenti salariali e per esercitare un diritto elementare come quello al lavoro.