#FedericoOvunque. Sanzioni da parte di alcune questure contro chi ha osato esporre il volto di Federico negli stadi. La denuncia di Acad
di Ercole Olmi
«Coreografia non autorizzata». Il linguaggio questurino potrebbe sembrare una neo lingua orwelliana, criptica, per iniziati, insidiosa. Coreografia non autorizzata starebbe a indicare l’esposizione di foto di Federico Aldrovandi nelle curve degli stadi. Un gesto da sanzionare penalmente. Come sta accadendo a diversi tifosi. L’unica coreografia che viene in mente, però, è la danza macabra di quattro agenti di polizia attorno al corpo agonizzante di un ragazzo di diciannove anni. Oppure lo spettacolo, indegno per una democrazia, di delegati di un sindacato di polizia legato alla destra politica che tributano una lunga standing ovation ai quattro poliziotti-danzatori, condannati in tre gradi di giudizio per l’omicidio di Federico Aldrovandi. Lo scorso week end, migliaia di appassionati di calcio hanno voluto contestare pacificamente il divieto imposto dall’Olimpico all’ingresso del bandierone storico dei tifosi della Spal, quello con il volto di Federico Aldrovandi. L’iniziativa è uscita fuori dagli stadi di calcio blasonati o amatoriali fino a contagiare luoghi dello sport popolare o della socialità fuori mercato. Ma ora alcune misure repressive che, ufficialmente, dovevano servire ad arginare la violenza negli stadi, vengono brandite contro chi contesta la violenza di Stato e gli abusi di malapolizia. Lo stadio si conferma il terreno per sperimentazioni liberticide da estendere nelle piazze e negli spazi del conflitto sociale.
«In occasione dell’incontro di calcio Ternana-Parma dello scorso 8 dicembre, prima dell’inizio della partita, contestualmente all’ingresso delle squadre sul terreno di gioco, dalla tifoseria ospite, sistemata in Curva Ovest, sono stati accesi due fumogeni. Nella pausa fra il primo ed il secondo tempo è stato esposta una coreografia non autorizzata», recita la velina della questura di Terni annunciando che «I fatti sono stati filmati dalle telecamere dello stadio, attraverso cui la Polizia di Stato ha individuato gli autori delle condotte. Al termine dell’indagine, condotta dalla DIGOS, è scattata la denuncia nei confronti di due tifosi per l’accensione di strumenti per l’emissione di fumo ed è stato avviato nei loro confronti l’iter amministrativo per l’irrogazione della misura del D.A.S.P.O; per altri tre tifosi è scattata la sanzione amministrativa per la violazione del regolamento d’uso dell’impianto sportivo».
Tutto «senza mai menzionare l’oggetto vero della questione – scrive Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa – l’iniziativa per Federico Aldrovandi a cui la tifoseria del Parma come tantissime altre tifoserie ha aderito. Questa omissione implicitamente ci spiega le vere ragioni di quei provvedimenti. Come ce lo spiega il gesto della questura di Siena che ha strappato, oggi, la pezza con il volto di Aldro dalla balaustra della curva, fatto inammissibile del quale ci hanno appena informato i suoi Ultras.
Come ce lo spiegano le minacce ai sostenitori del Prato che ci denunciano questo: “Ad inizio secondo tempo, alcuni steward e poliziotti in divisa e non, (dopo aver strappato un drappo di Aldrovandi dalla curva del Siena) sono entrati nel nostro settore intimandoci (pena il DASPO) di levare lo striscione con la foto di Aldrovandi.” Provvedimenti e gesti di una gravità enorme.
Di Federico, ragazzo di 18 anni ucciso da 4 poliziotti, non si deve più parlare. Della risposta coordinata e di massa che hanno dato tantissime curve neanche». Acad, nell’ambito della campagna #FedericoOvunque, partita dopo il divieto di ingresso all’Olimpico per una bandiera della Spal con il volto di Federico, invita tutti i tifosi a segnalare pubblicamente eventuali multe e diffide ritorsive . Dal canto suo, l’associazione metterà a disposizione tutte le proprie risorse morali e materiali per assistere coloro che sono stati colpiti da questi provvedimenti.
La vicenda di Federico Aldrovandi, a dodici anni dall’omicidio dell’Ippodromo di Ferrara, è ancora ben presente nella memoria di alcune generazioni di giovani, cittadini, antiautoritari, frequentatori di curve, militanti. E’ l’archetipo di ogni storia di malapolizia: un abuso violentissimo, letale, commesso da pochi ma coperto da molti e molto in alto, che viene alla luce grazie al coraggio dei familiari, degli amici, dei circuiti che quotidianamente si battono contro la repressione, di cronisti di controinformazione fino ad arrivare a un processo pubblico dove le responsabilità emergono finalmente con chiarezza. E in una società dopata dalle fantomatiche emergenze sicurezza si squarcia il velo di Maya e, grazie a Federico, diventa nudo il Re. Per questo sembra che alcuni settori delle polizie cerchino una vendetta. Ma la chiamano legalità.
#FedericoOvunque