Giorgio, George Grous, non c’è più. Ci aveva accompagnato ad Atene, in una Grecia strozzata dall’Europa della troika. Dove curarsi non è più un diritto
di Nicoletta Dosio
Una piccola nottola di ceramica, un komboloi, pagine di diario, tante foto, messaggi sempre più concisi, poi il silenzio e , qualche giorno fa, la notizia che temevo: Giorgio, George Grous, non c’è più.
L’avevo conosciuto nell’estate del 2015, ad Atene, nei giorni torridi del referendum sui trattati UE. Parlava l’italiano perché aveva studiato filosofia a Bologna, per questo si prese cura di me facendomi da accompagnatore e da interprete.
Giorgio era impegnato sul fronte del NO ai memorandum e negli anni precedenti aveva vissuto in prima persona le lotte che espressero nella vittoria del NO referendario l’ultima fiammata.
Nei mesi successivi fu ancora lui a guidarmi per le vie e le assemblee di una città sempre più povera ed annichilita, che aveva contato sul governo di Syriza e si ritrovava senza rete, priva di risorse materiali e morali per una riscossa collettiva.
Fu lui ad accompagnarmi alle mense popolari, all’ambulatorio autogestito dell’Ellinikò per portare i medicinali acquistati con il contributo della solidarietà NO TAV e farmi incontrare le storie dei tanti senza casa, lavoro, assistenza medica, futuro.
Anche Giorgio aveva perso il proprio lavoro di educatore e si manteneva con qualche lavoretto precario come interprete e accompagnatore turistico: povero e dignitoso, viveva la sua precarietà senza piangersi addosso e senza rinunciare all’esercizio di uno spirito lucidamente critico, che non faceva sconti.
Con lo stessa forza ha affrontato la malattia, un tumore che l’ha portato via nel giro di un anno, vittima di una sanità a pezzi, in una Grecia strozzata dall’Europa della troika, in una città dove vengono chiusi gli ospedali pubblici, ma prosperano le cliniche private.
Da metà dicembre Giorgio non rispondeva più ai miei messaggi. Ho saputo solo ora che se ne è andato, il 13 di dicembre. Pochi giorni prima era morto il suo vecchissimo, amato cane Rubi.
Lo rivedo assieme a Rubi, per le vie di Exarchia, tra murales e orti urbani, spazi sociali autogestiti e parchi fioriti di oleandri, dove approdavamo scendendo dai quartieri popolari alle pendici del Licavetto, nei quali stava la sua casa, alta sulla città.
E mi torna in mente il giorno che andammo al Pireo, il suo sguardo rabbuiato di fronte alle banchine del porto, tra profughi accampati nei giardini, bambini che chiedevano la carità e cani abbandonati. Una desolazione senza fine, davanti a cui ci si sentiva piccoli e impotenti: non ci rimase altro che fuggire.
Quarant’anni, troppo presto per morire. Non posso pensare ad Atene senza Giorgio. Con lui se ne va un compagno ed un figlio.
Un abbraccio ai suoi cari, a chi gli ha voluto bene.