Ingvar Kamprad, controversa figura per controversa multinazionale, è morto a 91 il padre padrone di Ikea
di Ercole Olmi
Non è più tra noi il fondatore e padrone di Ikea (1926-2018) noto per le sue ricchezze leggendarie, per la proverbiale taccagneria, per una relazione complicata con l’alcool, e anche con il nazismo. Secondo Forbes è stato uno degli uomini più ricchi del mondo: nel 2007 è stato quarto in classifica con un patrimonio di 33 miliardi di dollari. Nella cartella clinica anche una spiccata allergia al sindacato. Cresciuto con le riviste patinate dirette da Goebbels, Ingvar Kamprad respirò il nazismo da bambino, grazie alle simpatie della nonna paterna, contadina tedesca emigrata a fine Ottocento dai Sudeti, quel pezzo di Boemia che Hitler avrebbe annesso al Reich. Una giornalista svedese della tv pubblica, Elisabeth Aasbrink ha scritto un libro (E nel Wienerwald gli alberi sono rimasti uguali), dimostrò non solo che il futuro fondatore di Ikea aveva avuto in tasca la tessera numero 4014 del partito nazional-socialista svedese tra il ’41 e il ’45, tempo in cui il suo paese era occupato dalla Germania, che partecipò attivamente al gruppo di proselitismo Sss ma, dopo la guerra, fu un sostenitore di Per Engdahl, leader nazista che fondò il Movimento nuovo svedese (Nysvenska rörelsen).
Un’ammirazione che continuerà a dichiarare nel corso di tutta la vita e che getta una luce cupa sulle scuse ufficiali o sulla stessa versione del flirt solo giovanile col nazismo. Dopo quella rivelazione pubblica, infatti, Kamprad ha dichiarato di provare rammarico per quella parte della sua vita, definendola il suo errore più grande, e scrivendo una lettera di scuse rivolta a tutti i suoi impiegati ebrei. Al gruppo appartenevano Engdahl e Sven Olov Lindholm, leader del movimento filonazista svedese. Come un bel pezzo della società svedese, anche Kamprad credeva di appartenere a una razza superiore e non ha mai fatto i conti fino in fondo col passato nazista che vide schiere di giovani ingrossare le fila, da volontari, delle Ss. Ikea, acronimo delle iniziali del suo fondatore Ingvar Kamprad e di Elmtaryd e Agunnaryd, la fattoria e il villaggio svedese di nascita, ha nel marchio i colori nazionali e, più assurdo dei nomi dei mobili (in calce abbiamo pubblicato una scheda), c’è lo sfruttamento del lavoro mascherato da un sapiente marketing che tende ad accreditare il colosso svedese come un benefattore dei lavoratori e dell’ambiente. Ikea è uno dei pochi rivenditori a possedere un deposito all’interno dello stato di Israele anche per accreditare il pentimento del fondatore.
Del 28 Novembre è la notizia del licenziamento di una lavoratrice, impiegata all’Ikea di Corsico (Milano) da 17 anni, per non aver rispettato per due giorni l’orario imposto dall’azienda visto che doveva occuparsi da sola dei suoi due figli, di cui uno disabile. Anche a Bari un lavoratore, con due figli piccoli a carico e anch’esso impiegato di Ikea da più di un decennio, è stato licenziato per aver fatto cinque minuti in più di pausa durante il turno. E il catalogo è lugubre e lungo vito che il jobs act è l’ingrediente segreto per ingrassare la proprietà e terrorizzare i lavoratori.
Che la sostenibilità di Ikea sia un mito alimentato dalle capacità di pubbliche relazioni della multinazionale, è evidente fin dal modello d’impresa: mobili da poco che durano e poco ma danno ai consumatori la possibilità di cambiarli più di una volta nel corso della vita. Anche Ikea inquina alla grande con le produzioni e i trasporti che fanno il giro del mondo, con materiali nocivi, e, come tutte le altre multinazionali, usando spesso legname proveniente da foreste vergini e protette e prodotti fabbricati in paesi che spremono bambini e donne in capannoni malsani.
C’è un codice interno, di cui la ditta si vanta sul sito, ma i suoi risultati non sono diffusi all’esterno da Ikea che si serve di terzisti in aree del Sud del mondo i cui dipendenti sono più sfruttati di quelli della casa madre. Anche le ispezioni IWAY, il sistema di controlli interno sui terzisti, sono segretissime e Ikea non prevede controlli “imparziali”, di autorità esterne. Il “controllato” è il “controllore”). Oxfam-Magasins du monde, una ong belga, ha raccolto un bel po’ di prove nel libro “IKEA: cosa nasconde il mito della casa che piace a tutti?” (in Italia edito da Anteprima).
Schema dei nomi utilizzati per i prodotti:
Letti, guardaroba e mobili da salone: nomi di località norvegesi
Divani, poltrone, sedie e tavoli da pranzo: nomi di località svedesi
Librerie: professioni, nomi maschili scandinavi
Scrivanie, sedie da scrivanie e sedie girevoli: nomi maschili scandinavi
Mobili da giardino: isole scandinave
Tappeti: nomi di località danesi
Illuminazione: unità di misura, stagioni, mesi, giorni, termini nautici, nomi di località svedesi
Tessuti e tende: nomi femminili scandinavi
Prodotti per bambini: mammiferi, uccelli e parole descrittive
Accessori da cucina: pesci, funghi e parole descrittive
Scatole, decorazioni da parete, foto e cornici, orologi: espressioni slang svedesi, nomi di località svedesi
Ciotole, vasi, candele, porta-candele: nomi di località svedesi, parole descrittive, spezie, erbe, frutti e bacche