Francesca Fornario spiega perché votare Bonino non sarebbe una cosa di sinistra. Smitizziamo “zia Emma” e la sua lista civetta. E liberiamoci dalla morsa del debito
Genova – «Se un vostro parente dice di voler votare Emma Bonino, fatemi chiamare!», ripete Francesca Fornario, giornalista, autrice satirica, in giro per l’Italia a fare «spingitrice», così si definisce, di Potere al Popolo al pari di Vauro, Danilo Maramotti e parecchi altri. «Mai vista tanta satira in campo!». Lo ripete anche a Savona e Genova dopo aver megafonato con piglio da arrotino di altri tempi: «Donne, è arrivata la sinistra! Avete la sinistra rotta? Potere al popolo ve la aggiusta!».
La faccenda è scottante, a pochi giorni dal voto, perché l’endorsement di Elsa Fornero, ministra che sconvolse la vita a milioni di persone con la controriforma delle pensioni, getta una luce sinistra (anzi destra) sull’ennesima operazione costruita per “ripulire” il Pd. Insomma la questione incrocia storia e programmi dell’ex leader radicale.
Emma Bonino fu eletta in parlamento nel 1994 nel calderone del “Polo delle Libertà” (Bossi, Fini e Berlusconi) e si iscrisse al gruppo parlamentare di Forza Italia con Previti e Dell’Utri. E’ il Cavaliere a spedirla alla Commissione Europea, da cui però si deve dimettere per uno scandalo di corruzione riguardante un suo collega. Poco male. La lista vende le frequenze di Radio Radicale 2 (acquisite grazie a ingenti finanziamenti pubblici) e altri “gioielli di famiglia” per quella che sarebbe stata la più grande operazione pubblicitaria sulla politica mai vista in Italia, oltre 24 miliardi di lire in spot elettorali e materiali vari, che le fruttano l’8% alle europee. La Lista Bonino, che il Garante della Privacy condannerà per abusi nella gestione dell’indirizzario, aderisce a Bruxelles allo stesso gruppo di Lega e Fiamma Tricolore. Sarà la lista più convintamente guerrafondaia. Dieci anni più tardi il trasloco nel centrosinistra con la “Rosa nel Pugno“, una “bicicletta” assieme ai socialisti che prende il 2% ma grazie al premio di maggioranza frutta seggi e, per Bonino, un posto da ministra. Quando nasce il Pd i radicali si assicurano un po’ di seggi sicuri nelle liste bloccate. Nel 2010, si ricorda la scadente performance da candidata presidente della Regione Lazio contro un’impresentabile Polverini. Bonino resterà in Senato dimettendosi subito da leader dell’opposizione nel Lazio. A Palazzo Madama sarà l’alfiere della lotta per alzare l’età pensionabile delle donne. Da lì a sostenere la macelleria sociale del governo Monti è un attimo. E si capisce il sorriso lugubre di Elsa Fornero mentre mette la croce sul simbolo di +Europa a uso e consumo dei paparazzi. Lo 0,19% del 2013 non le preclude la strada per la Farnesina, ministra degli Esteri!
Ed eccoci ai giorni nostri con questa lista civetta molto sopravvalutata dagli opinionisti liberisti di destra e di sinistra che si presenta grazie all’avvallo di Tabacci senza la fatica di raccogliere le firme. E’ il diritto alla Casta, bellezza! Non importa l’aura di leader laica e libertaria dell’una e la solida democristianità del secondo. Il programma, a dir poco, è di una ferocia sociale inaudita: blocco della spesa pubblica, privatizzazioni come se piovesse, pensioni miraggio in nome del feticcio del debito e guerre coloniali. Mettici una spruzzata di legalizzazione della cannabis (che lei immagina come regalo per le multinazionali piuttosto che come diritto all’autocoltivazione) e il gioco è fatto: una lista per votare Pd senza avere l’impressione di averlo fatto davvero.
Nell’intervista al Sole24ore del primo febbraio “zia Emma“, così si fa chiamare, spiega che inasprimento dell’austerity del Fiscal compact e una ulteriore riduzione fiscale per le imprese, compensata con l’aumento dell’Iva dovrebbero condurre alla riduzione del debito pubblico in percentuale sul Pil. Ricette vecchie che servono a trasferire ricchezza dai poveri ai ricchi ma hanno un effetto depressivo sull’economia. Così quel “magico” rapporto 1 a 3 tra debito e Pil è destinato a peggiorare. portando non alla diminuzione bensì all’aumento del debito pubblico. Insomma tagliando la spesa pubblica, riduciamo anche il Pil e il debito, calcolato in percentuale sul Pil, crescerebbe ancora come sta succedendo da anni. Perché se il denominatore (il Pil) cala o non cresce adeguatamente, il numeratore (debito) in percentuale sale.
Per ridurre di 22 punti percentuali il debito, Bonino pensa di bloccare “la spesa pubblica primaria nominale” al livello del 2017 per 5 anni. La spesa pubblica primaria è la spesa pubblica al netto della spesa per interessi sul debito pubblico, cioè si tratta della spesa per far funzionare la macchina statale e distribuire servizi sociali. La spesa nominale vuol dire che non si considera l’inflazione. Bonino vuole tagliare la spesa sociale già oggi inadeguata. Ma la crescita del debito non dipende dalla spesa primaria, come spiegano gli esperti del Cadtm, il comitato per l’audit sul debito.
Ma la crescita del debito non dipende dalla spesa primaria. Dal 1990 l’Italia è in avanzo primario, ogni anno con l’eccezione del 2009. Ossia spende meno di quello che ricava dalle tasse ma il debito complessivo è sempre cresciuto, anche negli ultimi anni, non a causa non della spesa sociale, rimasta inferiore o uguale ai livelli medi europei ma per via della spesa per interessi (4% in Italia contro 1,8% europeo). Dal 1980 (anno del divorzio tra Tesoro e Bankitalia liberando quest’ultima dall’obbligo di acquistare titoli di stato) l’Italia ha pagato 3400 miliardi di euro di interessi a fronte di un debito rimasto pressoché invariato di 2250 miliardi. E una montagna di 750 miliardi di tasse non è stata destinata alla spesa sociale.
La trappola del debito è la molla che spinge verso la privatizzazione di beni comuni e la dismissione del patrimonio pubblico, ossia a quel trasferimento di ricchezza che chiamiamo liberismo. E in nome di questo debito illegittimo e odioso, gli opinionisti che spingono zia Emma ci avvertono che le promesse elettorali sono troppo costose e che qualsiasi governo dovrà pensare dal 5 marzo a una manovra aggiuntiva di 5 milioni e alla prossima legge di stabilità.
Se ci ritroviamo con un debito più alto, è anche perché il ministero del Tesoro ha fatto delle scelte sbagliate sui mercati finanziari con i derivati, che avrebbero dovuto garantire tassi d’interesse favorevoli e che invece si sono rivelate dannose, traducendosi, secondo il Sole24ore, in una perdita tra 2006 e 2016 di 24 miliardi, e aumentando il deficit, solo nel 2016, dello 0,3% del Pil.
Le ricette di zia Emma, oltre a essere dannose, sono anche inutili. Magari la marijuana sarà legale ma nessuno di noi avrà una lira per comprarla.
Anche la riduzione delle imposte alle imprese (Ires) e la loro sostituzione con l’aumento dell’Iva (tra tutte le imposte quella maggiormente elusa e il cui gettito dipende dal livello della domanda e degli acquisti) peggiorerebbe la situazione perché aumenterebbe i prezzi e ridurrebbe i consumi. Per definizione l’Iva è un’imposta regressiva: pesando ugualmente sul miliardario e sul precario, trasferisce reddito dai poveri ai ricchi. Sono le stesse ricette di Mario Monti che adottò le peggiorni politiche di austerità della nostra storia facendo schizzare il debito di ben 12,5 punti, dal 116,5% del 2011 al 129,0% del 2013, molto più che nel triennio berlusconiano precedente e molto più che nel triennio successivo. Liberiamoci dal debito, dall’austerity e da Bonino.
Insomma se un tuo amico o parente dice di essere di sinistra e di votare Bonino dagli pure il numero di Francesca Fornario, oppure linka questo pezzo di Popoff.