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Elezioni politiche 2018, la notte degli opposti centrismi

Elezioni politiche 2018: tracollo del Pd, M5s primo partito, Lega sorpassa Fi, PaP e Bonino non scavalcano il 3%, Leu riesce a stento

L’occupazione di una chiesa di Napoli per i senzatetto; la solidarietà concreta ai migranti bloccati alla frontiera di Ventimiglia e al gelo; un processo a Roma, con tanto di giudice in toga, alla legge Fornero – che dilata l’età pensionabile – cortei antifascisti, volantinaggi di fronte alle fabbriche o nei mercati, tantissime assemblee popolari e cene di autofinanziamento in grandi città e piccoli borghi. E proteste, vestiti da fantasmi, sotto le sedi regionali della Rai contro l’oscuramento della lista nei telegiornali e nei talkshow. E ogni volta che la “capo politico”, una figura inventata dalla nuova legge elettorale, riusciva a entrare in uno studio televisivo ha “bucato lo schermo”.

Ma non è bastato a Potere al Popolo. «No easy way to freedom», commenta su fb Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione, una delle anime di PaP, facendosi prestare le parole da Nelson Mandela.

La corsa è stata truccata dal sistema elettorale e dall’ostracismo mediatico ma era una corsa difficile dentro rapporti di forza e relazioni sociali deteriorate da dieci anni di crisi e da trenta di liberismo. La corsa è truccata ogni volta che un anchorman pronunci la frase “il partito principale della sinistra” riferendosi al Pd che, stanotte, sta precipitando. Oltre ai trucchi “vintage”: «Potere al Popolo denuncia numerosi episodi di compravendita di voti e l’aggressione a un nostro rappresentante di lista. Il tutto si è svolto nei locali del plesso scolastico Levi-Alpi di Scampia, Napoli – afferma poco prima dello spoglio, una nota di Viola Carofalo, portavoce nazionale e capo politico di Potere al Popolo – il nostro rappresentante di lista è stato accerchiato, spintonato e minacciato per aver segnalato la compravendita di voti. Protagonisti dell’aggressione sono state persone notoriamente legate ai clan locali, che compravano voti per 20 euro a beneficio della Lega. Dieci anni fa per Salvini eravamo terroni e mafiosi. Oggi, pur di ottenere i voti dei terroni, lo stesso Salvini si appoggia alle mafie che strangolano i nostri territori. Non ci facciamo intimidire».

In queste condizioni, le elezioni sono una farsa a tre in cui vince chi aveva perso nella scorsa tornata perché possa perdere la prossima volta in un’alternanza farsesca di variazioni sullo stesso tema: come continuare la rapina di risorse che chiamiamo liberismo. E’ la notte degli opposti centrismi.

Un commento che sarebbe stato identico anche nel caso in cui PaP avesse superato lo sbarramento, quella pattuglia di eletti non avrebbe mutato il quadro politico ma avrebbe potuto essere uno stimolo per le tante vertenze aperte nel paese, un segnale di controtendenza.

E’ nata e cresciuta in poche settimane la lista “Potere al popolo”, l’ampio schieramento di soggetti sociali, politici e sindacali in un polo della sinistra antiliberista e anticapitalista unitario e plurale. Nato un paio di mesi prima dell’inizio della campagna elettorale, PaP ha cercato da subito di caratterizzarsi sulla partecipazione diretta sia di chi non è iscritto a partiti sia di chi milita nelle realtà organizzate. 200 assemblee pubbliche in due mesi, liste composte da candidati provenienti soprattutto da vertenze lavorative, sociali e ambientaliste, firme per la presentazione raccolte in abbondanza (il triplo del necessario) in pochissimo tempo e alla luce del sole.

Dapprima il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, poi via via un lungo elenco di intellettuali e personaggi dello spettacolo, da Ken Loach fino al vignettista ufficiale del Corriere della Sera (quasi 500 intellettuali hanno firmato l’appello promosso da Citto Maselli), hanno rivelato la propria simpatia per il progetto, per la «novità» di Potere al Popolo che sembra raccogliere il consenso, oltre che dello “zoccolo duro”. Così, mentre in tv, anche grazie alle ristrettezze della legge sulla par condicio, PaP è apparsa fugacemente, una parte della stampa mainstream (molto meno influente della televisione) scopriva “il popolo di Viola”, dal nome di Viola Carofalo, capo politico ma volutamente non candidata, una ricercatrice precaria di 37 anni, su cui PaP ha costruito l’immagine della lista con una campagna «ruvida, “punk”, urticante», alla ricerca di «azioni che costringano a parlare di noi», come quando ha abbandonato platealmente lo studio di una delle trasmissioni tv più razziste regalando al conduttore una copia della Costituzione.

Un profilo in discontinuità con la comunicazione politica così come il programma politico è in totale discontinuità col centrosinistra, il nodo su cui la sinistra radicale s’è spaccata e rispaccata fin dai primi anni di vita di Rifondazione comunista, il pezzo più grande di un’esperienza che già pensa a come articolarsi all’indomani della conta delle schede.

L’oscuramento di Potere al popolo ha proceduto di pari passo con la sovraesposizione di Emma Bonino e della sua lista di macelleria sociale spinta (che nonostante tutto sembra rimanere al palo così come la quarta gamba del centrodestra e i tentativi di verdi o Lorenzin) e con lo sdoganamento delle formazioni fasciste, due delle quali sono state ammesse alle elezioni. Tutte mosse che sono state funzionali a determinare il quadro politico più favorevole alla perpetuazione delle politiche liberiste. Anche rispolverando la teoria degli “opposti estremismi” con la quale, negli anni ’70, si volevano correlare il ciclo di lotte poderose dei movimenti operaio e studentesco con le bombe sui treni e le violenze di piazza dei fascisti, il Pd e il centrodestra (si potrebbe, appunto, parlare di opposti centrismi includendo anche il M5s dell’era Di Maio) hanno provato a costruire il pericolo pubblico per selezionare, anche grazie alle alchimie elettorali, l’opposizione più funzionale, interclassista, assolutamente non alternativa ai modelli di sfruttamento, precarizzazione, indebitamento.

L’aumento dell’influenza dei gruppi neofascisti sulla formazione di un senso comune razzista e rancoroso (di cui la Lega è prima beneficiaria in termini di consensi perché i manipoli di Fiore e Di Stefano hanno risultati irrisori) è da collegare immediatamente alla crisi e alle politiche di austerità prodotte dai governi che si sono succeduti di centrodestra, centrosinistra con la variante “tecnocratica” del governo Monti. L’agibilità politica concessa in misura crescente alle formazioni dichiaratamente fasciste serve a legittimare e accreditare in varia misura il Pd, M5s e Forza Italia come argini all’ondata populista che loro stessi hanno provocato e cavalcato.

Tutto ciò, però, non ha solo un risvolto elettorale ma ha consentito un’escalation di violenze squadristiche che, con la campagna elettorale, sono diventate la modalità con cui gruppi come Casapound e Forza Nuova hanno illustrato il proprio programma alla cittadinanza.

I giornali normali parlano ossessivamente di “contrapposizione tra gruppi di estrema destra e formazioni antagoniste”, rispolverano luoghi comuni degli anni ’70 mentre il Pd e suoi surrogati (come LeU) si scoprono antifascisti e promettono la messa fuorilegge di quelle bande dopo averne consentito un relativo radicamento nelle curve degli stadi e in alcune periferie. Luca Traini, l’autore della tentata strage di Macerata, è stato accolto da un’ovazione al suo arrivo in carcere, e in suo onore sono stati affissi striscioni in diverse città.

La «risposta puntuale dello Stato», come ama dire il ministro (ormai ex) Minniti (Pd proveniente dal vecchio Pci, autore di una vera svolta autoritaria con decreti che colpiscono la libertà di movimento dei migranti e l’agibilità del conflitto sociale e sindacale), s’è abbattuta però sugli antifascisti caricati con violenza ovunque, da Torino a Napoli a Livorno, mentre ai fascisti di Cpi e Fn (che hanno molti simpatizzanti e iscritti tra le forze dell’ordine, come Alba dorata o il Front National) è stata garantita una campagna elettorale tutto sommato tranquilla. CasaPound e Forza Nuova, che non hanno alcuna speranza di entrare in Parlamento, sono riusciti a sfruttare al massimo la ribalta della campagna elettorale. E il Pd, che non ha nulla di cui vantarsi, ha provato a mascherarsi da antifascista conseguente in questa campagna elettorale incastonata tra Carnevale e la Quaresima.

Oscurato dai media, impallinato da fascisti e polizie, il progetto di PaP è stato piuttosto visibile sulla rete. Più di LeU, il progetto nato a freddo, dall’alto, da parte di tre forze politiche di sinistra moderata (Mdp e Possibile fuoriuscite dal Pd con alcuni esponenti di punta – Bersani e D’Alema – legati all’esperienza di governi ferocemente liberisti fin dalla metà degli anni ’90 – e Sinistra Italiana, ossia quel che resta di Sel, scissione a destra del Prc). Leu, stando ai primi dati scavalca a fatica il 3 per cento pur avendo avuto una copertura totale dai salotti buoni della televisione. Uno studio del traffico di Facebook (che secondo il Censis, è il social network più utilizzato, 56,2% degli italiani, più di 30 milioni di persone) rivela che PaP ha un engagement (mi piace+commenti+condivisioni) che ammonta a più del triplo di LeU: 358.111 vs. 98.320. Nell’ultimo mese, PaP ha raddoppiato i propri fan sulla pagina fb dimostrando quindi una crescita esponenziale. Invece LeU, nonostante abbia una struttura più solida e navigata (almeno considerando gli esponenti di spicco), ha una scarsa attrattiva.

Resta la domanda se PaP saprà essere quel motore di lotte, campagne, vertenze, mutualismo, autorganizzazione, opposizione sociale e politica che promette fin dal primo appuntamento al Teatro Italia di Roma lo scorso 18 novembre.

Appuntamento il 18 marzo, proprio al Teatro Italia. «Siamo partiti il 18 dicembre 2017 siano stati cancellati dai mass media – commenta Giorgio Cremaschi, uno degli animatori di PaP – i soldi erano quelli delle collette tra compagne e compagni, e siamo al 2 secondo gli exit poll. È un primo vero risultato mentre il Pd giustamente e finalmente crolla e LeU paga tutti i suoi opportunismi. In un panorama politico radicalmente cambiato, dove cresce la destra e con il M5S primo partito e probabilmente al governo, Potere al Popolo, nato dal basso dalle lotte e dai movimenti, mostra la via per ricostruire la sinistra vera degli oppressi e degli sfruttati. Quella sinistra che il Pd ed il centrosinistra hanno distrutto dopo decenni di politiche liberiste e di destra. Se non avessimo subito una vergognosa cancellazione dai mass media, se avessimo avuto almeno lo stesso trattamento della lista di Emma Bonino, che neppure ha dovuto raccogliere le firme, avremmo avuto un risultato enormemente superiore. La maggioranza degli elettori neppure conosceva la nostra esistenza. Però abbiamo cominciato a raccogliere forze e a crescere e di fronte alla disfatta della finta sinistra noi siamo la sola forza con un futuro. Forza compagne e compagni abbiamo solo cominciato e si va avanti… ci vediamo il 18 marzo a Roma ».

«L’abbiamo detto nella nostra prima assemblea nazionale tre mesi e mezzo fa – si legge sulla convocazione dell’appuntamento – le elezioni sono solo l’inizio. Sono una sfida, la prima tappa, di un progetto più grande, di aggregazione di forze sociali, di mobilitazioni di giovani e di disaffezionati della politica. Sono state il pretesto per metterci insieme, farci vedere da milioni di persone, impedire subito che questo paese in questi mesi slittasse ancora più a destra. Siamo riusciti a far parlare di lavoro, di ambiente, di diritti nella campagna elettorale. Nelle 200 assemblee territoriali, nei candidati che venivano dal popolo, nelle iniziative spontanee e creative, abbiamo visto un entusiasmo incredibile. Sono decine di migliaia le persone attivate, di tutte le età e di storie anche molto diverse, che hanno cominciato a sognare. L’abbiamo ripetuto fino alla nausea: noi non siamo un cartello elettorale. Siamo un movimento popolare che tutti i giorni è impegnato sui territori, sui posti di lavoro, nelle scuole e nelle università, per aiutare le persone, risolvere i problemi, dare un orizzonte di trasformazione del presente. Siamo quelli che c’erano prima, ci sono durante, ci saranno dopo. Solo che ora possiamo fare meglio quello che già facevamo. Lo possiamo fare sotto una sola bandiera, con maggiore coordinamento, con il sentimento di stare tutti dallo stesso lato della barricata. Per questo dopo il 4 marzo continueremo. A prescindere da come andrà abbiamo già vinto. Perché non abbiamo subito il presente, perché ci siamo incontrati e appassionati. Continueremo incontrandoci di nuovo in una grande assemblea nazionale».

All’ordine del giorno: la costruzione della nostra organizzazione, il radicamento sul territorio, i progetti di mutualismo da portare avanti e i meccanismi di controllo popolare su parlamentari e istituzioni. «L’opposizione al prossimo governo che in ogni caso si muoverà contro le classi popolari».

 

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