Al Teatro della Tosse,“Forme del conflitto – guerra, terrorismo e follia”, ciclo di tre spettacoli dall’8 al 24 marzo
Genova – In principio era la guerra. Anzi, il conflitto in tutte le sue forme. Governato da Ananke, la dea della necessità secondo la classicità greca. La stessa che presiede all’antagonismo tra tutti gli esseri viventi, nel loro continuo lavoro di spingersi a vicenda al di fuori dei confini della presenza. Nel non Essere. Perchè è Ananke che incombe sul predatore e lo obbliga ad andare a caccia della preda, in un obbligo in cui ne va della sua stessa vita. In altre parole: non è dato permanere nella luce della presenza se non scaraventando, ancora e ancora, ogni giorno e fino alla fine, altri esseri viventi – animali o vegetali, in fondo poco importa – nel buio del non Essere. Una consapevolezza tragica che, prima ancora degli antichi greci, era già patrimonio acquisito della cultura vedica dell’antica India di cui è espressione anche il Mahābhārata, il testo epico che Peter Brook, il grande regista inglese oggi novantaduenne, torna a mettere in scena sul palco del Teatro della Tosse di Genova con Battlefield. E che è solo l’incipit di una rassegna con cui il teatro genovese continua il suo lavoro di riflessione su temi del presente. “Forme del conflitto – guerra, terrorismo e follia” è infatti un ciclo di spettacoli che per tutto marzo (mese non a caso dedicato al dio della guerra) accende un focus sul Terrore, corollario inevitabile di ogni guerra.
Piombo di Gipo Gurrado in scena dall’8 al 10 marzo, Utøya dal 15 al 17 marzo con la regia di Serena Sinigaglia e La lotta al terrore dal 22 al 24 marzo nella regia di Luca Ricci sono le ulteriori tappe di un percorso che si è aperto con le parole di Brook: “In guerra una vittoria è una sconfitta, ed ecco perché voglio raccontare la storia di Battlefield, per far capire a Obama, Hollande, Putin e a tutti i presidenti cosa succede dopo la battaglia. Se tu sei un leader e sostieni una guerra devi sapere che farai milioni di morti, anche se vinci”. Il regista inglese dirige uno spettacolo tratto dal celebre poema epico indiano e dal testo teatrale di Jean-Claude Carrière, già messo in scena al Festival di Avignone nel 1985 con una durata di 9 ore suddiviso in tre giornate, e oggi ridotto a poco più di un’ora in uno spettacolo in lingua inglese e sopratitoli in italiano, interpretato dai bravissimi Karen Aldridge, Edwin Lee Gibson, Jared McNeill e Larry Yando. Nonostante il regista parta da un testo così lontano nel tempo i temi analizzati sono infatti terribilmente attuali, ancora di più oggi dopo la fine della guerra fredda e la cessazione di quel mondo diviso in due blocchi distinti che aveva evocato speranze, ferocemente deluse, di pace globale.
Negli ultimi venticinque anni, invece, le guerre si sono moltiplicate in ogni zona del globo e non solo i paesi più poveri sono stati sconvolti dalla violenza ma anche la ricca e tranquilla Europa ne è stata interessata. Come accaduto alla Guerra nell’ex Jugoslavia degli anni ‘90 con il suo carico di orrori che riportarono sul suolo europeo termini come “pulizia etnica”, “campi di concentramento” e “genocidio”. Dopo vennero le Torri gemelle e, ormai storia di oggi, il Bataclan, il lungomare di Nizza, la redazione di Charlie Hebdo, la Manchester Arena, la metropolitana di Londra, i mercatini di Natale di Berlino, la rambla di Barcellona… Ed è così che i tre spettacoli dedicati al tema del terrorismo declinano il fenomeno in modi differenti, partendo con analizzare il passato del nostro paese in Piombo, con il format inedito del musical per ripensare il terrorismo degli anni 70 e in particolare sull’episodio del rapimento Moro, l’evento che ha segnato uno spartiacque della storia italiana recente e senza il quale probabilmente oggi vivremmo in una realtà sociale e politica differente. Il presente è poi raccontato da Utøya che segue le vicende del drammatico attentato avvenuto nel 2011 in Norvegia, una ferita ancora aperta nel cuore della ricca e civilissima Scandinavia avvenuta per mano di un suo “figlio” contro altri concittadini. Un atto terrorista di matrice politica interna, che risulta ancora più inconcepibile a causa della lucidità e il mancato pentimento del suo autore. Ultimo appuntamento è con il “futuro” prossimo messo in scena in La lotta al terrore, in cui si racconta di un ipotetico atto di terrorismo visto da un piccolo consiglio comunale: la paura che irrompe nelle tranquille vite della gente comune e che si trasforma in realtà, in uno spettacolo che riflette anche ironicamente e in chiave comica su come il terrorismo faccia orami parte delle nostre vite, magari stemperando l’orrore che questo atti portano con sé. Perché c’è qualcosa – ed è la grande lezione del Mahābhārata – ancora più forte della Necessità. Ed è la Compassione verso tutti gli esseri, che in questa rete di sopraffazione e sofferenza sono impigliati. Per il solo fatto di essere.