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Il ’68 come pretesto per muoversi fra i movimenti

Note di lettura: 1968 la rivolta necessaria, il volume di Nando Simeone pubblicato da Red Star Press

Il testo di Nando Simeone, 1968 la rivolta necessaria, pubblicato da Red Star Press, è particolare, si distingue da buona parte della memorialistica e della saggistica in corso di diffusione sull’onda della celebrazione dell’evento ‘68. Qui il ’68, per nulla inteso come anno fatidico, aurorale, epocale, è piuttosto il pretesto per muoversi lungo un arco storico-politico di lunga durata. Egli interroga la storia a partire da alcune domande: il ruolo della formazione universitaria nella società, la sua funzione specifica svolta nelle società a capitalismo avanzato del Novecento, il suo passaggio da università di élite a università di massa, poi azienda e infine privatizzata; il ruolo del conflitto generazionale, colto nei suoi momenti storici caratterizzanti e l’interpretazione marxista delle lotte studentesche e della rivolta giovanile. Domande necessarie per poter cogliere l’emergere di un elemento nuovo: l’irrompere nella scena politica di una nuova soggettività giovanile, categoria sociale “costruita” dallo sviluppo del capitalismo che, a cominciare dagli anni Cinquanta, aveva esteso la condizione dell’adolescenza-gioventù anche ai settori popolari. Sarà proprio questo nuovo strato sociale a diventare protagonista delle mobilitazioni che contribuiranno a innescare una delle crisi più profonde che il capitalismo abbia conosciuto dal dopoguerra a oggi, cioè il ‘68.

Generazione, classe e genere

Definito il paradigma interpretativo, l’autore sviluppa una lineare analisi delle varie forme che il conflitto generazionale ha assunto in Italia a partire dalla seconda metà del Novecento. Si va dai giovani dalle magliette a strisce, che animarono le manifestazioni contro i fascisti e il governo Tambroni nel 1960, alla nascita di una controcultura giovanile negli anni Sessanta, al rinnovamento generazionale della classe operaia, dovuto anche all’immissione di manodopera proveniente dalla migrazione interna. Sono cambiamenti strutturali, mentalità compresa, che preparano il terreno al cosiddetto ’68 e al movimento studentesco. Una simbiosi, rileva l’autore, tra tre tipi di conflitti: di classe, generazionale e di genere. Sì, perché il ’68 rappresentò il tempo congiunturale che favorì la nascita del movimento femminista, quando le donne decisero di guadagnare autonomia attraverso il separatismo e la pratica dell’autocoscienza. Una rivoluzione soprattutto culturale e esistenziale che precede e accompagna la rivolta con esisti diversi in vari paesi. Ad esempio, negli Stati Uniti appare difficile separare il movimento controculturale, esistenziale e la rivolta studentesca. In Italia invece la rottura tra i due elementi avviene nel corso del ‘68 ed è il risultato della forte politicizzazione ideologica del “ceto politico”, che si va formando nelle università, favorita della ripresa della lotta operaia. Così poco fu lo spazio al proseguimento della rivolta esistenziale che, per altro, ritornerà continuamente negli anni successivi attraverso la pratica delle donne, dell’area della critica radicale, in quella dell’autonomia diffusa e del movimento del ‘77 e anche nel movimento della Pantera del ‘90.

Oltre il ‘68

Non tutto si esaurisce col ’68. Molte pagine sono dedicate all’analisi di altri movimenti giovanili e studenteschi: quello del’77, dell’85, la Pantera, le agitazioni studentesche europee del 2005-2006, il movimento che si denominò Onda nel 2008. La narrazione dei movimenti è sempre tesa a contestualizzarli per coglierne le caratteristiche che essi esprimono, condizionati dal momento storico, culturale e politico nel quale si trovano ad agire, perché i movimenti studenteschi sono figli dell’intreccio dinamico di tre fenomeni: la radicalizzazione politica dei settori giovanili ai più alti livelli di scolarità; la proletarizzazione del lavoro intellettuale; lo studente come giovane, sottoposto a una specifica oppressione, quella legata all’età. Una parte importante del libro è dedicata all’analisi critica delle forme organizzative che i vari movimenti studenteschi si sono dati

nel loro tentativo di autorappresentarsi, di essere un soggetto autorganizzato, spesso volutamente in polemica con altre forme di organizzazione politica giudicate burocratiche e verticistiche. Il ’68 nasce come tentativo di autorganizzazione studentesca ma dura poco, perché le avanguardie prodotte da quelle lotte sono attratte dall’agire politico per costruire una nuova direzione rivoluzionaria del movimento operaio, alternativa a quella riformista. Un discorso simile ha riguardato anche il movimento del ’77. È il movimento dell’85 ad anticipare problemi di organizzazione autonoma che poi si ritrovano nella Pantera. Anche in quei frangenti le occupazioni scolastiche furono la principale forma di lotta, ma importante fu il dibattito sul problema della costituzione di coordinamenti cittadini democraticamente rappresentativi delle scuole occupate o autogestite. Il dibattito e la pratica di forme concrete di autorganizzazione sociale e democratica, che non era stato centrale negli anni Settanta a livello studentesco, lo divenne invece per la Pantera e la sua mancata soluzione a livello nazionale fu tra le principali cause d’implosione del movimento.

Vecchie storie, nuovi interrogativi

Scuola, università cambiano in funzione degli indirizzi che assume la società. Di questo abbiamo la prova delle “riforme” apportate in questi ultimi trent’anni da parte del sistema liberal-capitalistico trionfante. Pertanto oggi, come allora, ogni ipotesi di riforma della scuola e dell’università non può essere disgiunta da una prospettiva anticapitalistica. La lotta per un’altra università s’intreccia con la battaglia più complessiva contro il capitalismo. Non è pensabile lottare per un’altra università senza cambiare radicalmente questa società. Tutto ciò oggi è molto più difficile perché il progetto socialista risulta essere, per varie ragioni, minoritario tra la popolazione, come minoritaria risulta essere la scelta di partecipazione a un progetto-partito politico che si ponga come compito la trasformazione rivoluzionaria della realtà. In questo ambito i movimenti che verranno dovranno saper far tesoro dell’esperienza accaduta all’autore del libro. Egli sostiene che «scriverlo, ha avuto anche un valore terapeutico perché, grazie a questo lavoro, ho dovuto compiere lo sforzo necessario a recuperare la memoria politica e personale che avevo quasi del tutto smarrito dopo l’incidente». Nando ce l’ha fatta, quindi c’è speranza, si può ritrovare la memoria e l’esperienza smarrita, ridarsi un passato per costruire un nuovo presente.

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