Dal 30 marzo, inizio della “Marcia per il ritorno”, le forze di Israele hanno ucciso almeno 28 palestinesi a Gaza, migliaia i feriti
di Marina Zenobio
Altri dieci manifestanti palestinesi uccisi dalle forze di Israele nella striscia di Gaza, durante la seconda Marcia per il Ritorno organizzata ieri. Salgono così a 28 i morti dal 30 marzo scorso, durante la prima giornata della Marcia che ogni venerdì e per sei settimane i palestinesi terranno per esigere che i discendenti dei rifugiati che persero le loro case durante l’aggressione del 1948 (anno della creazione dello stato di Israele), possano tornare e rientrare in possesso delle proprietà di famiglia che attualmente si trovano nei territori occupati da Tel Aviv. I feriti sono migliaia, secondo quanto riportato dal portavoce del Ministero di Salute Pubblica palestinese Ashraf al Qedra.
L’esercito israeliano ha posizionato numerosi cecchini lungo il lato della recinzione con la Striscia per dissuadere i palestinesi da tentativi di assalto per entrare in suolo israeliano e, in risposta alle critiche da parte dell’Onu e di altre organizzazioni per la difesa dei diritti umani secondo cui le Israele sta usando una “forza eccessiva” contro i manifestanti palestinesi, Tel Aviv ha fatto sapere che “non permetterà nessuna violazione delle infrastrutture di sicurezza tese a proteggere i civili israeliani”.
In un comunicato reso pubblico giovedì scorso, la ong israeliana B’Tselem ha chiesto ai militari di disobbedire agli ordini di aprire il fuoco contro i manifestanti a Gaza. “Un ordine che permette di aprire il fuoco contro civili disarmati è assolutamente illegale. La responsabilità di emettere tali ordini e le loro conseguenze letali ricadono sui responsabili politici, soprattutto sul primo ministro, il ministro della difesa e il capo dell’esercito israeliani”.
B’Tselem ha infine aggiunto che “l’uso del fuoco diretto contro persone disarmate che non rappresentano un pericolo per nessuno è illegale […] non è possibile ordinare ai soldati di aprire il fuoco contro persone che si avvicinino alla recinzione, la danneggino o provino ad attraversarla”.
Da parte sua Hazem Qassem, portavoce di Hamas, ha chiesto ai manifestanti di mantenere pacifica la protesta: “Mantenere la natura pacifica delle proteste metterà fine a tutta la fragile propaganda sionista”. Il governo israeliano ha invece scartato, per timore che il paese perda la sua maggioranza ebraica, qualsiasi diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi
Le proteste organizzate nel contesto della “Grande marcia del ritorno” culmineranno il prossimo 15 maggio, a 70 anni dalla creazione dello stato di Israele, drammaticamente conosciuta dai palestinesi come Nakba, la catastrofe.
Sono troppi gli anni di crimini sionisti in Palestina rimasti impuniti, ancor prima della stessa proclamazione dello stato di Israele nel 1948. Ormai nessuno crede più all’eterna farsa chiamata cinicamente “processo di pace”, una farsa che è servita soprattutto a perpetuare e legittimare l’espansionismo israeliano e a prolungare il massacro del popolo palestinese.