Le culture del movimento operaio si confrontano sul mutualismo. La mappa di un mondo in cerca di collegamenti e definizioni
di Checchino Antonini*
«La crisi è un terremoto al rallentatore. Taglia il welfare, fa crollare i salari, frammenta la società». Roberta Caprini, 32 anni, è una delle centinaia di attivisti che nel 2009 partirono per L’Aquila con le Brigate di solidarietà attiva. Nella sua città partecipa a un’esperienza di confederalismo sociale, uno dei tanti nomi del nuovo mutualismo. Vi anticipo il finale di questa inchiesta: la novità è che questo mondo, estremamente plurale, è in cerca di definizioni, mappe, linguaggi, spazi. E di autonomia.
Le case di Potere al Popolo
L’agenda, da alcuni anni, è zeppa di appuntamenti – festival, convegni, mercatini, forum – in spazi occupati, piazze, accademie, municipi. Mentre scriviamo, l’ex Lavanderia del S.Maria della Pietà, a Roma, è animata da attivisti e ricercatori che discutono di “Storie del possibile“, ovvero le implicazioni dell’economia “altra”, sociale, trasformativa, circolare, solidale, etica, non proprietaria, resiliente, mutualistica (a proposito di ricerca di definizioni). Roberta, invece, è appena rientrata da Firenze, da un dibattito dal titolo emblematico: “Mutualismo è lotta”. E’ una fase di ricerca e di ascolto reciproco, dicono a Left, i protagonisti di questa stagione. Potere al Popolo, dalla sua ultima assemblea nazionale, ha lanciato la parola d’ordine di aprire Case del Popolo dappertutto. D’altra parte uno dei motori di quel soggetto politico è l’occupazione dell’ex Opg di Napoli, quartiere Materdei, da marzo 2015 c’è un ambulatorio popolare, uno sportello migranti, una palestra, la camera popolare del lavoro, la mensa, il teatro. A febbraio, una chiesa abbandonata a Montesanto, è stata occupata ed è diventata un dormitorio autogestito per i senza tetto e l’altroieri ne è stato sventato lo sgombero. Tutto questo a Napoli dove l’incontro tra De Magistris e due giuristi “benicomunisti“, Lucarelli e Mattei, ha sfornato delibere per la gestione collettiva dei beni pubblici e che riconoscono il valore di esperienze di autogoverno.
Da Pino Ferraris ai Sem Terra, da Klein al Sole dell’avvenire
“Fuori dal mercato un’altra economia possibile” sarà il titolo, questo week end, dell’Università di primavera di Attac, movimento altermondialista di autoeducazione popolare orientata all’azione. La crisi è stata l’acceleratore per alcune tendenze che già s’erano manifestate nell’onda di piena del movimento no global ad esempio in America Latina. Fabbriche recuperate, campagne contro il debito o per la sovranità alimentare, mutuo soccorso, pratiche di resistenza e di altra economia contro le multinazionali. Film di culto è The Take, dove Naomi Klein raccontava le fabbriche riprese e autogestite dagli operai dopo la devastante crisi del 2001 in Argentina. Sul comodino o nel tascapane, i romanzi di Valerio Evangelisti, il suo ciclo del Sole dell’avvenire. Perché l’immaginario pesca in profondità, dai Sem Terra del Brasile, dal “pueblo” andaluso di Marinaleda, fino alle radici del movimento operaio, dalle società di mutuo soccorso italiane o alla carta di Quaregnon scritta dal partito operaio belga nel 1894. Lo studio recupera classici come “Ieri e domani” di Pino Ferraris, ripubblicato nel 2011 dai Libri dell’Asino: ogni crisi di rifondazione chiama ed esige il recupero del punto di vista genetico. «Ma attenzione – dice Francesco Piobbichi, di Potere al Popolo, con una lunga frequentazione di pratiche sociali – oggi non c’è l’omogeneità di classe dell’origine, la mutualità deve essere confederale tra varie pratiche di conflitto, tra esperienze di cooperazione, tra tutti i soggetti della nuova composizione di classe. E non deve abbandonare il terreno della lotta per il welfare. E’ quello che chiamiamo il controllo popolare. Conflitto più solidarietà». Così, a Bergamo quel controllo, mentre i militanti si attivavano per soccorrere i senza casa a meno 9, ha costretto l’amministrazione comunale ad aprire spazi di accoglienza nella stazione. A Livorno, dopo l’alluvione, il controllo popolare coinvolge gli stessi soggetti che hanno partecipato ai soccorsi (centri sociali, Bsa, ultras, Usb e comitati cittadini) in una vertenza con il Comune per la ricostruzione in sicurezza. A Piacenza, i Gap, gruppi di acquisto solidale, hanno nutrito i facchini della logistica in sciopero. Il mutualismo non è una ritirata.
Di “Mutualismo conflittuale” s’è discusso a Scup, centro sociale romano, in aprile, lo stesso hanno fatto Arci e Rete della conoscenza con “Mutualismo 4.0“. Seguiranno il Festival della Lentezza alla Reggia di Colorno (Parma), le date del circuito Genuino Clandestino, la Festa dell’Altra Velocità in Val Susa, fino al Forum mondiale dell’economia trasformativa in programma a Barcellona. Il catalogo è ampiamente lacunoso ma in generale si può dire che “quando cresce il pericolo cresce pure tutto ciò che salva”, per citare Holderlin ripreso da Marco Rovelli in una canzone di alcuni anni fa. Il pericolo è la crisi – sistemica e multifattoriale – però “la contraerea dei poeti” (sempre Rovelli a cantare) «è una galassia ma non ancora una costellazione», avverte Paolo Cacciari, architetto veneziano, decrescista convinto, ex deputato Prc, parlando a margine di un incontro su mutualismo e crisi dei corpi intermedi promosso da Comune-info. «C’è qualcosa di nuovo perché siamo al capolinea – conferma Riccardo Troisi, economista, ricercatore, docente in Colombia – le forti disuguaglianze, l’aggressione all’ambiente, i conflitti armati ti costringono a guardarti intorno, a chiedere aiuto, a pensare uno sviluppo differente. E’ una questione di sopravvivenza, di ricerca di relazioni dignitose, di patti».
Insomma, oltre al campo dell’altra economia, molte culture del vecchio movimento operaio stanno scommettendo sul mutualismo. Chi lo chiama “lavoro equo autonomo” come l’area post-operaista, chi mutualismo conflittuale come la rete Fuori Mercato lanciata da RiMaflow e dalla fattoria di Mondeggi. «Abbiamo iniziato perché volevamo colmare il divario tra i comunisti e la classe», dice a Left una militante di Je so’ pazzo, il collettivo di estrazione maoista che gestisce l’ex Opg. «FuoriMercato non intende rappresentare un mercato alternativo ma un’alternativa al mercato. E’ una rete sociale di mutuo soccorso, finalizzata alla costruzione dal basso di istituzioni economiche in rottura con le leggi del Mercato. Costituita quindi da esperienze sociali e politiche autonome di autorganizzazione, che esercitano forme di appropriazione collettiva in contrapposizione alle forme di dominio capitalistico», ha spiegato Gigi Malabarba, una vita da operaio all’Alfa di Arese, nella Quarta Internazionale, nelle esperienze del sindacalismo di base fino alla sperimentazione di RiMaflow, una fabbrica occupata e recuperata da alcuni ex dipendenti. Nella crisi, dunque, c’è «la potenzialità di produrre socialità e nuove istituzioni, la società deve potersi ricostruire. Il mutualismo, allora, è il processo perché quelle nuove istituzioni abbiano la medesima universalità, valgano per tutti», interviene Marco Bersani di Attac. «Parliamo di un modo di contrastare la dispersione della classe, per costruire nuove istituzioni dal basso con l’autogestione e l’autorganizzazione – riprende Malabarba – RiMaflow è solo una sperimentazione ma aggrega energie che la chiusura della fabbrica aveva disperso».
Mutualismo itinerante «per ricominciare dove tutto è cominciato»
A Genova, il 20 maggio, il circolo Monte Grappa, a Castelletto, ospiterà un pranzo solidale per la presentazione di un gruppo informale di mutuo soccorso itinerante, un’esperienza che pesca nell’immaginario della prima forma di autodifesa collettiva dei lavoratori, in epoca industriale. «Il mutualismo itinerante vuole essere l’occasione di autorganizzarsi nella direzione del reciproco sostegno, spinti dalla volontà di rimettere in circolazione una pratica di condivisione concreta di cui sempre più sentiamo il bisogno», scrivono i promotori. Obiettivi: convivialità per creare casse di solidarietà; sensibilizzare e riflettere sulle cause della povertà crescente e rilanciare una circolarità di risorse; dare vita a reti solidali, «per ricominciare dove tutto è cominciato».
Il ritorno alle origini di Salvatore Cannavò
Il ritorno alle origini è anche la suggestione che utilizza Salvatore Cannavò, in “Mutualismo. Ritorno al futuro per la sinistra”, appena uscito per le edizioni Alegre, e in cui descrive come nel corso del Novecento le caratteristiche basilari del movimento operaio delle origini, imperniate su mutualismo e solidarietà di classe, siano state relegate al ruolo di ancella. «Partito e sindacato hanno rappresentato le forme principali della politica e, facendosi Stato o dipendendo dallo Stato, hanno progressivamente prodotto organizzazioni centralizzate, fondate sulla delega e soggiogate dalle burocrazie. Oggi questi strumenti appaiono spuntati perché la forza materiale che dovrebbe sospingerli è dispersa o atomizzata, quello che era il “partito di massa” è divenuto “partito-istituzione”, e gli stessi sindacati tradizionali vivono una crisi lacerante. Perdendo i propri ancoraggi sociali la sinistra ha finito per gestire un compromesso sociale al ribasso, ergendosi a puntello del sistema economico liberista. Occorre allora riappropriarsi delle pratiche all’origine del movimento operaio, ricucendo il filo delle individualità sociali per riscoprire l’efficacia della cooperazione e il valore fondativo della solidarietà».
Liberarsi anche dall’autosfruttamento
E poi c’è chi sta sul campo da decenni come Maurizio Gritta, contadino anarchico “fuggito” dalla Bologna del ’77 per tornare alla terra. Ha aperto un pastificio nel cremonese che ora è il più grande pastificio bio d’Europa, proprietà indivisibile, invendibile, non ereditabile. Un bene comune che produce decine di migliaia di tonnellate di pasta per tutti i gruppi di acquisto solidale dentro una filiera del tutto estranea al mercato ufficiale.
«Il mutualismo è l’autorganizzazione dei privati nella crisi dello stato e del mercato – spiega Alessandra Quarta, giovane ricercatrice di diritto dell’Università di Torino, una delle curatrici di “Rispondere alla crisi” (Ombre Corte) – dalla crisi si sta strutturando una serie di soluzioni innovative alla carenza di lavoro e di servizi: il coworking, lo studio di monete alternative eccetera. Prendi il crowdfunding, non è altro che il sintomo della difficoltà dell’accesso al credito per alcuni soggetti sociali. Il mutualismo genera nuova partecipazione, aggrega direttamente sui bisogni e parla alla crisi della politica». Quarta è anche attiva nell’Arci: «Anche noi stiamo investendo molto – dice ancora – nella creazione di strutture mutualistiche nella nostra rete: mense popolari, centri giovanili, strategie per rompere la solitudine nella crisi».
Il rovescio della medaglia è la fragilità delle singole esperienze, il rischio dell’irrilevanza e, dietro l’angolo, quello della sussunzione, della cooptazione nel mercato. Di questo parla la vicenda del recente accordo tra il consorzio di commercio equo Ctm-Altromercato e Amazon, tempio dello sfruttamento intensivo dei lavoratori della logistica. «Si muore anche per troppo successo, se si resta concentrati sul prodotto e non sul processo», avverte Cacciari. E’ il dilemma di pezzi di agricoltura biologica, ormai integrata dalla grande distribuzione o nel tradizionale circuito dei Gas, i gruppi di acquisto solidali. Nessun ragionamento può aggirare la domanda su «che tipo di lavoro, che tipo di contratto, per i lavoratori di questo settore», precisa Roberto Brioschi, “ruralista è promotore di reti solidali” nelle Marche, anche lui al convegno romano delle Storie del possibile. «Il rischio di cooptazione c’è sempre – insiste Bersani – nella crisi tutte le forme sono ibride. E’ quello che spiega Gramsci quando dice “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire”. C’è bisogno di consapevolezza e mobilitazione. Anche perché la riforma del III settore sta per trasformare tutto in impresa. Le coop già da tempo sono uno dei luoghi dello sfruttamento e dell’autosfruttamento». Il “privato sociale” che doveva essere alternativo al mercato ne è totalmente subalterno e la riforma ne sancisce la totale compatibilità. I “mostri del chiaroscuro”, per rubare ancora le parole a Gramsci. Per questo in molti pensano a come federarsi per tenere insieme vertenze, pratiche, beni comuni. «I contenitori falliscono – riprende Caprini – le reti, però, sono piene di buchi. Allora serve un tessuto di valori che tenga insieme le pratiche». A Bergamo, in autunno, è stata scritta la Carta della confederalità sociale, all’indomani del controG7 sull’agricoltura: «La confederalità sociale è lo spazio pubblico nel quale le pratiche di resistenza sociale e territoriale si riconoscono in reciproca indipendenza e sottoscrivono un patto di mutuo soccorso che ha come finalità la difesa materiale delle condizioni di vita delle classi popolari, la difesa dell’ambiente, la messa in comune dei saperi, l’unione delle forze nel momento del bisogno. E’ un patto di mutuo soccorso e cooperazione dal basso aperto alle forme di resistenza economiche, alle pratiche di solidarietà attiva e di autogoverno». «Il rischio di cooptazione c’è per tutti – riconosce anche Quarta – bisogna stare dentro e contro, nella zona grigia ogni radicalità deve tenere conto dei contesti». Troisi insiste sull’esigenza di «sottrarsi agli spazi di mercato senza ricreare gerarchie». Ma come si fa a stare fuori mercato quando il capitalismo è così pervasivo e i rapporti di forza sono così degradati? «La chiave è nella costruzione di alternative sul piano economico – conclude Malabarba – ma l’alternativa non sarà la somma dei percorsi autogestiti ma la connessione tra le sperimentazioni e la lotta di classe, per uscire dai margini e contrastare la frammentazione sociale».
*una versione di questo articolo è uscita il 4 maggio sul numero 18 del settimanale Left