E’ accettabile aver pagato, dal 1980 ad oggi, 3.400 mld di interessi su un debito che, nonostante questo, continua ad essere di 2300 mld?
E’ accettabile aver pagato, dal 1980 ad oggi, 3.400 mld di interessi su un debito che, nonostante questo, continua ad essere di 2300 mld? E’ accettabile, per chi paga le tasse, aver dato allo Stato, dal 1990 ad oggi, 750 mld in più di quello che lo Stato ha restituito sotto forma di servizi? E’ accettabile aver ridotto i Comuni sul lastrico, nonostante il loro contributo al debito pubblico nazionale non superi l’1,8%? Solo la risposta a queste domande può aprire la discussione su quale modello di società vogliamo.
“C’era una volta un popolo che viveva al di sopra delle sue possibilità…”. A pensarci bene, quella sul debito è proprio una brutta favola, «una narrazione mortale», dice ad esempio un bancario, Luca Giovanni Piccione, che con “Liberi da interessi” (Dissensi, 2016) ha provato a spiegare il debito ai bambini e ai loro genitori. «La trappola del debito», tiene a precisare Marco Bersani, saggista, militante di Attac. Perché il debito pubblico è lo strumento con cui da secoli i governi reperiscono risorse per creare investimenti. L’austerità, le privatizzazioni, quel gigantesco trasferimento di ricchezza dal monte salari al monte profitti e rendite, che chiamiamo neoliberismo, sono state sempre imposte ricorrendo allo storytelling, la narrazione, appunto, per mascherare la «trappola». Per esempio quella della Welfare Queen dei tempi di Reagan: c’era una volta una disoccupata mantenuta dai sussidi di disoccupazione al volante di una Cadillac mentre degli operai valorosi potevano a stento pagarsi il biglietto dell’autobus. «Cominciò così il grande assalto allo stato sociale», ricorda Yves Citton nel suo “Mitocrazia” (Alegre, 2013). Per il debito è iniziata nello stesso periodo, col divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia con cui, inseguendo una misura analoga della Fed, la Banca d’Italia smette di essere compratrice di ultima istanza a basso tasso e l’intero ammontare dei buoni deve essere smaltito sul mercato con interessi sempre più alti. Da allora, nonostante il Paese chiuda quasi sempre in avanzo primario (spendendo meno di quello che incassa) il debito continua a crescere. Il rapporto debito/pil – che s’era conservato stabile dal 1960, sotto il 60% (parametro arbitrario della Ue secondo il quale un paese sarebbe “sano”) – dal 1981, anno del “divorzio”, schizza al 122%. Oggi è al 131% essendo salito parecchio anche con il governo Monti perché l’austerità deprime il Pil ossia il denominatore di quella banale frazione algebrica su cui si imperniano le politiche della Ue.
«Ogni volta che serve uno choc o anche solo un po’ di spavento ecco che rispunta la trappola del debito: il teatrino di questi giorni è emblematico – spiega a Left, Bersani – con Mattarella e settori legati alla Bce che hanno provato a drammatizzare la nomina di Savona che, però, è un po’ difficile da arruolare nelle forze antisistema con quel curriculum di incarichi in Bankitalia, Bnl, Unicredit, Impregilo, Luiss, ministro del governo Ciampi o, addirittura vicepresidente dell’Aspen Institute (il gotha del capitalismo mondiale – imprenditori, politici, speculatori, giornalisti – tra cui, in Italia, Monti, Tremonti, Prodi, Paolo Mieli ecc…). Lo stesso “piano B” di Savona parla la lingua del neoliberismo: uscita dall’euro, nazionalizzazione della Banca d’Italia e, per rimettere a posto i conti, privatizzazioni e svendite del patrimonio pubblico».
«Naturalmente il debito pubblico esiste. L’invenzione, o la trappola, consiste nel far pensare che sia il problema fondamentale. Il problema è la sostenibilità del debito. Il vero gioco è che la cosiddetta riduzione del debito non la vuole nessuno. Si vuole costringere gli italiani ad accettare la prosecuzione delle politiche liberiste – privatizzazioni, mercificazione dei servizi – con il ricatto del debito. Se anziché questo teatrino ci si mettesse a ragionare su cos’è il debito, di chi è, perché è strutturato come un cappio al collo».
A questo punto serve dare i numeri: che secondo le ultime rilevazioni della Banca d’Italia al 31 marzo 2018, il debito (titoli di stato più prestiti) è una montagna da 2302 miliardi di euro, 41 in più di un anno fa. «Su cui, finora abbiamo già pagato 3400 miliardi di interessi dal 1980, una cifra che non viene mai ricordata dagli alfieri della “responsabilità” – sottolinea Bersani – e il debito resta inalterato da decenni. O continuiamo a far credere che dobbiamo restare dentro una spirale che moltiplica gli interessi e giustifica le politiche di austerità, o diciamo la verità: che così com’è è impagabile». Per Bersani e il Cadtm, il comitato per l’annullamento del debito, la soluzione politica dovrebbe passare attraverso una conferenza europea (come quella che, nel 1953, ridusse a un quarto il debito della Germania post-bellica, e lo spalmò in 50 anni) e, a livello nazionale e locale, con l’istituzione degli “audit”, indagini conoscitive sul debito. «E’ ormai una necessità democratica, altrimenti a ogni conflitto si agita il grande spauracchio, gli speculatori ci giocano, sale lo spread, gli italiani si spaventano e senza capire si schierano o con l’estabilishment o con i sovranisti visti come i nuovi rivoluzionari».
Nel 2017 gli interessi sono ammontati a 65 miliardi, in discesa rispetto agli anni precedenti per via della caduta dei tassi di interesse grazie al quantitative easing. Ma è una cifra che rappresenta il 9% dell’intero gettito fiscale (710 miliardi, nel ’17). 220 miliardi hanno un destino predefinito a favore delle pensioni, così la vera massa monetaria a disposizione del governo per fare funzionare la “macchina” pubblica e rilanciare l’economia si restringe a 490 miliardi (le tasse dirette e indirette) quindi la spesa per interessi ingoia il 13% della fiscalità. Francesco Gesualdi, del Centro Nuovo Modello di Sviluppo ha calcolato che «con 65 miliardi si potrebbero assumere subito 2 milioni e mezzo di persone in ambito pubblico, azzerando di fatto la disoccupazione. Si potrebbe avviare la riconversione ecologia della produzione e dell’energia, mettere fiumi e scuole in sicurezza ripristinare asili nido e molti altri servizi anche per l’inclusione sociale dei migranti».
«Per questo – riprende Bersani – la trappola del debito è l’arma perfetta anche perché porta con sé l’idea secolare che sia un rapporto di lealtà fra uguali. Avrebbe senso se stessimo parlando dello scambio di soldi fra due amici. Nella dinamica fra stati, banche, istituzioni, il debito è un rapporto di potere fra soggetti asimmetrici. Tanto è vero che nessun creditore crede che il debito possa essere saldato, quello a cui è interessato è l’estrazione di valore periodico, ossia il pagamento degli interessi, e il mantenimento della catena del debito perchè questo permette di intervenire sulle scelte politiche e sociali dell’assoggettato». La controprova è fornita dall’analisi dei nostri creditori. Il 67,7% del debito pubblico italiano è dovuto a soggetti residenti in Italia, il restante è di fondi, banche e assicurazioni straniere. Le banche, con il 26,9%, sono il primo creditore seguite dai cosiddetti grandi investitori (20,6%), medaglia di bronzo a Bankitalia (15,9%, anche grazie al Qe). Gli altri investitori, tra cui le famiglie, i piccoli risparmiatori evocati dalla narrazione mortale di chi vuole che il debito non si tocchi, detengono solo il 4,3% del debito. «E nessuno ha intenzione di mandarli in fallimento ma è giusto sapere di chi è il debito per capire come affrontare il problema».
Tutto ciò è accaduto di nuovo, come nel 2011, anche se il “contratto” Lega-M5s non prevede nulla di concreto sul debito e c’è stata solo qualche dichiarazione sul congelamento dei debiti della Bce. «Eppure l’ipotesi che la Bce “sterilizzi” parte del debito che ha in pancia, smettendo di calcolarne gli interessi, viene discussa anche in altri paesi dell’Eurozona dove il debito, dal 68% del Pil, è schizzato nel 2013 al 91%. Qui non c’è mai stato un vero dibattito su questo, tutto si è giocato in chiave simbolica sulla figura del ministro dell’economia».
«In generale, c’è un problema di che cos’è l’Unione europea, un finto territorio comune all’interno del quale si gioca una competizione esasperata tra la Germania e gli altri. La Grecia è stata un modello: colpirne uno per educarne cento», ricorda Bersani. La Grecia, il cui debito incide per il 2% sul Pil dell’eurozona, nel 2009 poteva essere salvata con 50 milioni di euro. Il rifiuto dei paesi europei e della Bce di intervenire immediatamente ha aperto la strada alla speculazione finanziaria che ha fatto schizzare in alto il debito. «Bisognava disciplinare le masse europee – conclude – evitare l’effetto contagio, innanzitutto sulla Spagna, di un governo come quello di Syriza. C’è stato uno scontro vero vinto dalla Troika anche perché Tsipras ha ceduto». Ad agosto Atene dovrebbe tornare ad accedere al credito internazionale ma intanto ha svenduto tutto quello che poteva vendere, le condizioni sociali sono drammatiche e il debito, dal 130% dell’inizio della crisi è ora al 180%.
una versione di questo articolo è uscita con il numero 23 del settimanale Left dell’8 giugno 2018