Turchia, nel paese dei brogli, Erdogan vince ma non stravince. Akp lontano dalla maggioranza assoluta. Hdp sfonda il quorum
di Andrea Zennaro
Si sono concluse da poche ore le elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia, dopo settimane di una martellante propaganda dai toni esasperati.
Grazia a una legge elettorale che premia il candidato della coalizione maggioritaria, Recep Tayyip Erdogan si conferma presidente della Repubblica con il 52% dei voti, evitando quindi di passare per il ballottaggio che avrebbe mostrato il calo del suo gradimento. È notevole lo stacco con cui si lascia alle spalle i principali avversari, il moderato Muharrem Ince, che si ferma al 30%, e il democratico curdo Selahattin Demirtaş, che sfiora l’8% dei consensi.
Si sapeva che il presidente uscente avrebbe fatto di tutto pur di rimanere al potere. E invece i risultati delle elezioni parlamentari mostrano alcune novità molto significative. Il partito di governo AKP, pur rimanendo primo partito, si attesta ben lontano dalla maggioranza assoluta cui Erdogan puntava e deve accontentarsi di un 42% di voti che difficilmente gli consentirà di spadroneggiare da solo sul Paese come ha fatto fino ad ora. Il kemalista CHP (nazionalista e laico), con il 22% dei consensi, si conferma la principale opposizione moderata al regime di Erdogan. La notizia più eclatante è il risultato del filcurdo HDP (la cui sigla sta per Partito Democratico dei Popoli): con oltre l’11% dei voti, l’HDP è riuscito a entrare in Parlamento, realizzando così il peggiore incubo del dittatore al potere. L’HDP costituisce infatti il principale nemico istituzionale del governo in quanto difende i diritti umani e la causa curda; decine di deputati e deputate dell’HDP sono oggi in carcere con la falsa accusa di detenere legami con il PKK: tra le persone detenute vi è lo stesso Selahattin Demirtaş, attivista curdo ed esponente di Amnesty International, recluso da mesi senza che la magistratura abbia mai pronunciato una condanna nei suoi confronti. È rimasta fuori dal Parlamento invece la candidata ultranazionalista Akşener. Dunque le aspettative di Erdogan, che aveva indetto queste elezioni anticipate per frenare il calo di consensi che sta subendo, sono state fortemente deluse.
Le elezioni di oggi sono state contrassegnate da brogli elettorali di livelli scandalosi, come riferito da tutti gli osservatori internazionali presenti in Turchia. Schede portate ai seggi già votate per l’AKP, altre a favore dell’HDP ritrovate nella spazzatura, intere urne portate via da elicotteri e fatte sparire sono solo i fatti più “normali” della giornata. Nel Bakûr, la regione a maggioranza curda, sono stati inviati diecimila soldati a controllare le operazioni di voto, creando quindi un clima intimidatorio tesissimo. In vari seggi sono state tolte le cabine e costrette le persone a votare in pubblico davanti all’esercito; alcuni rappresentanti di lista dell’HDP che si sono opposti a queste forme di violenza sono stati fisicamente aggrediti e feriti, alcuni addirittura accoltellati. Cinque osservatori italiani testimoni delle violenze compiute ai seggi sono stati identificati e arrestati dalle autorità turche senza un’accusa precisa a loro carico. Stando alle stime ufficiali, alcuni seggi di città a maggioranza curda sembrerebbero aver incredibilmente fatto vincere Erdogan.
Oggi presso il centro culturale curdo Ararat di Roma, durante l’attesa dei risultati, la tensione era alta. Secondo la legge turca, se l’HDP avesse mancato la soglia di sbarramento, i suoi seggi sarebbero stati attribuiti d’ufficio al primo partito, ovvero l’AKP di Erdogan. Poi un applauso si è propagato nell’aria alla notizia di quell’11% e di quei 66 deputati che toglieranno il sonno all’assassino del popolo curdo. Nonostante le intimidazioni, le violenze e i brogli tipici di un sistema fortemente dittatoriale e soprattutto una legge elettorale unica al mondo che impone una soglia di sbarramento al 10% e affida lo spoglio delle schede non a scrutatori neutrali ma al partito di maggioranza uscente, oggi Erdogan ha perso la scommessa di far sparire l’HDP dalle istituzioni, sogno che lo aveva portato a indire queste elezioni. Anzi, la città curda di Diyarbakir (per citare solo il caso più noto) ha visto l’HDP trionfare con oltre il 65% dei voti, che probabilmente è in realtà molto maggiore se si considera il contesto in cui si sono svolti il voto prima e lo scrutinio poi. Da oggi, Erdogan è presidente di una Repubblica che di fatto non può governare per mancanza di una maggioranza parlamentare. Non gli è bastato tappezzare di proprie fotografie tutte le città del Paese né incentrare la campagna sull’identità religiosa sunnita (nei comizi dell’AKP viene nominato Dio in ogni frase) né avanzare improbabili promesse di splendore economico; al “sultano” non hanno giovato nemmeno la carneficina compiuta contro i civili curdo-siriani di Afrin e l’attacco ai villaggi curdi in Iraq delle ultime settimane. La nuova Costituzione, che fa della Turchia una Repubblica presidenziale e non più parlamentare, unisce le cariche di capo dello Stato e del governo e dà al presidente la possibilità di legiferare attraverso decreti d’emergenza (più o meno come fece in Francia François Hollande con famigerata Loi Travaille), ma con un Parlamento ostile il tiranno di Ankara sarà costretto a ridimensionare il proprio delirio di onnipotenza. Quella di oggi non sarà certo una vittoria delle forze democratiche, ma per l’autoritario leader sunnita è un duro colpo.