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Migranti, l’Europa diventa un’isola, solidarietà fuorilegge

Migranti, l’accordo Ue affonda le speranze di una riforma di Dublino III. E altri cento naufraghi affondano davvero al largo della Libia

«Da qui l’accordo concluso nella notte dal Consiglio europeo sembra una vera e propria follia. Follia la chiusura dei porti alle ONG da parte di Italia e Malta, perché appunto significa chiudere i porti a chi soccorre vite umane in mare. Il processo di criminalizzazione delle ONG non ha alcun fondamento legale oltre che umanitario. Credo che la chiusura del Consiglio sia una sconfitta per il governo italiano perché l‘accoglienza da parte di altri paesi UE avverrà su base solo volontaria.
E’ una sconfitta anche per chi prova a dare all’Europa una possibilità di riscatto sulla base dell’accoglienza.
Affidare alla Libia le zone SAR (ricerca e salvataggio) di fatto significa condannare a morte probabile chi si mette in mare nel Mediterraneo». Così dice Eleonora Forenza, l’eurodeputata del Gue per Rifondazione comunista, da tre giorni a bordo dell’Astral di Open Arms, nella zona Sar al largo di Malta con altri 3 europarlamentari, tra cui l’anticapitalista di Podemos, Miguel Urban. Ma andiamo con ordine.

Ecco il pdf del testo dell’accordo

The Dubliners, in Europa li chiamano così. “Moriva dal desiderio di salire in cielo attraverso il tetto e di volare verso un altro paese dove non avrebbe più sentito parlare dei suoi guai, eppure una forza lo spingeva dabbasso scalino per scalino“, forse solo questa frase, rubata a uno dei racconti di Joyce, è il punto di contatto tra i suoi Dubliners del 1914 e i “dublinati” di cento anni dopo. Chi fugge dal proprio paese perché in guerra o perseguitato, in virtù del Regolamento di Dublino (ora alla III versione) deve presentare domanda d’asilo nel paese Ue in cui sbarca. Dublinati, dunque, sono quei profughi che, identificati in Italia o in Grecia, riescono comunque a raggiungere parenti o amici altrove, ma poi – impigliati nella rete Eurodac, la banca dati delle impronte digitali dei richiedenti asilo – vengono riaccompagnati al punto di partenza secondo una pratica condannata da una recentissima sentenza della Corte di giustizia dell’Ue.

Meccanismo iniquo, quello di Dublino, di cui da tempo è in ballo una riforma: una proposta è stata approvata sei mesi fa dall’europarlamento (con il no di Lega e M5S) ma il Consiglio, a guida bulgara, non ha preso una posizione mentre prende piede la “faccenda nera” di una esternalizzazione delle frontiere. Il testo del Parlamento europeo «elimina il criterio del primo paese d’arrivo, che a tutt’oggi affida solo a Italia e Grecia la gestione dei richiedenti asilo, e lo sostituisce con un meccanismo di ricollocamento obbligatorio e permanente, oltre a estendere le possibilità di ricongiungimenti familiari allargati e a prevedere sanzioni per i paesi che non accolgano. Si tratta di cambiamenti molto positivi, frutto di un compromesso tra le sinistre, una parte del Ppe, socialisti e verdi. Non è ancora l’ideale ma sarebbe un cambio radicale di paradigma. Il blocco delle navi è il frutto velenoso del blocco negoziale su Dublino IV, e usa i migranti come ostaggi», spiega al cronista Barbara Spinelli, eurodeputata del Gue, il gruppo unitario della sinistra europea.

Ma dopo l’accordo di stanotte quella riforma è una chimera. Già tre anni fa, di fronte a un flusso record di 48mila arrivi, un’assessora del Campidoglio sperimentò un corridoio umanitario per i transitanti, coloro che cercavano di non lasciare l’impronta dell’indice a una guardia italiana. «Fu possibile così realizzare migliaia di ricongiungimenti familiari e la politica iniziò a parlare di relocation». Ma la ripartizione dei migranti non ha mai funzionato, in agosto, nel pieno della crisi, la cancelliera Merkel annunciò che avrebbe sospeso la norma per accogliere i rifugiati siriani arrivati nel paese. La Francia ripristinò i controlli alle frontiere interne con la scusa del terrorismo. I transitanti intasarono le stazioni e la frontiera settentrionale dell’Italia, creando situazioni di emergenza a Roma, a Milano, a Como, al Brennero, a Ventimiglia, a Udine. La Commissione europea varò un sistema di quote (sulla base del pil e della popolazione) e ha istituito gli hotspot nei paesi di frontiera. E tre anni dopo la situazione è peggiore di quella ricordata da Francesca Danese, ora portavoce del Forum del III Settore del Lazio.

«Dublino va ripensata ma lontano da questo circo mediatico sulla pelle di chi fugge dall’orrore dei campi in Libia», dice a Left anche Giorgia Linardi, portavoce in Italia di Sea Watch, una delle Ong che operano nel Mediterraneo da quando, tre anni fa, i governi europei hanno sostanzialmente azzerato le missioni di salvataggio in mare. Che lo si guardi dal mare, o dai sentieri della rotta balcanica, o dalla terraferma di Bruxelles, il naufragio di chi fugge da guerre o carestie è anche il naufragio della politica, nessun governo è innocente. Dall’Aquarius, simbolo per i solidali d’Europa, è stato lanciato un appello: «Gli Stati membri dell’Ue devono immediatamente cooperare per elaborare un modello europeo di ricerca e soccorso per il Mediterraneo», scrive Sos Mediterranee da Valencia, dove s’è conclusa la “crociera” di 630 tra uomini, donne e bambini fuggiti dal calvario libico otto giorni prima, spinti da scafisti su gommoni per ore alla deriva, prima di essere finalmente soccorsi in nome della legge non negoziabile, quella del mare. L’inerzia degli Stati europei si è tradotta, finora, in oltre 13mila morti nel Mediterraneo, la frontiera più letale del pianeta.

Il dato sulle vittime nel 2018 è pari a meno della metà dei morti segnalati nello stesso periodo del 2017 (erano 2.172), indica una tabella dell’Oim. Rispetto all’anno scorso anche il numero di arrivi è in calo. L’Oim riferisce infatti che dal primo gennaio scorso al 27 giugno, un totale di 44.957 migranti e rifugiati sono giunti in Europa via mare, di cui circa il 38% in Italia (16.566) ed il resto diviso tra Grecia (13.157) e Spagna (14.953). Gli arrivi attraverso lo Stretto di Gibilterra hanno subito una impennata negli ultimi giorni: 2mila in una settimana, almeno 102 migranti a bordo di barconi sono stati tratti in salvo questa notte. I ministri degli esteri e degli interni spagnoli, Josep Borrell e Fernando Grande Marlaska, hanno effettuato due missioni parallele in Marocco per rilanciare la cooperazione con le autorità di Rabat nel controllo del flusso migratorio – per buona parte proveniente dall’Africa subsahariana – verso le coste dell’Andalusia. Un numero ridotto di arrivi è inoltre segnalato a Cipro e Malta (rispettivamente 47 e 234 migranti). Nello stesso periodo dell’anno scorso, il totale degli sbarchi era di 94.986 e di 230.230 nel 2016.

 

Una richiesta che impatta i negoziati infiniti su Dublino III dentro cui stanno maturando nuovi equlibri tra le famiglie politiche dell’emiciclo di Strasburgo che verranno compiutamente fuori dopo le elezioni del 2019 ma che sono visibili già da ora, a partire dall’opa del PiS polacco di Jaroslaw Kaczyński sul Ppe dove già c’è l’ungherese Orban: «Un Ppe orbanizzato sarebbe la seconda rivoluzione conservatrice per quel mondo – prosegue Spinelli – la prima è stata con l’irruzione di Forza Italia tra i popolari europei su una parte dei quali insiste anche una certa attrazione per Macron che ambisce ad avere un suo gruppo nella prossima legislatura e potrebbe aggiudicarsi pezzi di ex socialisti».

Intanto, lo stesso limbo dell’Aquarius è stato inflitto ai 41 naufraghi raccolti il 12 giugno dalla US Trenton della Marina statunitense. «Il punto è il porto sicuro e riguarda Italia e Malta – continua la portavoce della Ong – ma poi le persone vanno redistribuite come prevede il principio della solidarietà tra stati membri nell’articolo 80 del Tfue (sul funzionamento dell’Ue)».

Mentre non c’è alcun pattugliamento nelle aree dei naufragi, i soccorsi continuano, coinvolgono le navi mercantili e l’Europa si attorciglia su diverse linee di frattura e operazioni crudeltà come quella di Salvini che chiede un rafforzamento dei confini “esterni”, più soldi per i respingimenti, più navi a sbarrare le rotte, deroghe alle convenzioni internazionali, campi di concentramento fuori dall’Ue. Infatti, nell’accordo firmato all’alba del 29 giugno dal Consiglio europeo, per due volte viene scritto che la distribuzione dei migranti tra gli Stati Ue sarà su “base volontaria”, che “la relocation obbligatoria, prevista in precedenti accordi, viene così definitivamente abbandonata”. E viene sancito il principio che ogni Stato deve limitare gli spostamenti interni dei profughi. Tredici ore di negoziati, caratterizzati da “veti” da parte dell’Italia, litigi, alleanze che sembravano saltate e poi improvvisamente ritrovate ha prodotto esattamente quello che aveva previsto Eleonora Forenza: «La tendenza è quella all’esternalizzazione delle frontiere sul modello dell’accordo con la Libia, che poi è il modello australiano evocato anche nella plenaria di Starsburgo», parlando con Left lungo il corteo di Roma in solidarietà con Sacko, il bracciante e sindacalista trucidato in Calabria mentre aiutava due connazionali a rimediare lamiere per fare un rifugio.

Per settimane il ministro degli Esteri italiano ha messo a punto la proposta degli hotspot nei paesi d’origine e di transito. Dalla Farnesina, Enzo Moavero Milanesi li chiama pomposamente «centri di assistenza, informazione e protezione» che dovranno essere gestiti dall’Europa. L’Australia paga la Cambogia o le autorità di Papua-Nuova Guinea per lager come quelli sull’isolotto di Nauru o a Manus Island. Ma i tempi non saranno brevi e nel frattempo nessuno scommette più sulla modifica del Trattato di Dublino nell’ultimo Consiglio a presidenza bulgara, prima della staffetta con la nuova presidenza austriaca, uno dei motori dell'”asse dei volenterosi”, i paesi di Visegrad – cechi, slovacchi, polacchi e ungheresi, da sempre ostili alla relocation degli asilanti – più Salvini e, forse, la risultante dello scontro interno al governo tedesco tra Merkel (Cdu) e la Csu del ministro degli interni Seehofer, falco bavarese che preme per un accordo sui respingimenti ai confini. E’ proprio a Seehofer che si rivogerà Merkel al termine del negoziato: «L’intesa raggiunta è più che equivalente» alla richiesta formulata da Seehofer nella gestione dei movimenti secondari al confine tedesco. L’idea degli hotspot “alla fonte” delle migrazioni non dispiace nemmeno a chi si atteggia a paladino umanitario contro la barbarie di Orban e Salvini. Conte, infatti ha incassato due settimane prima del vertice un’intesa di massima sul dossier con Macron e con Merkel. «Serve una vera missione europea di salvataggio in mare (Sar, Search and Rescue) – insiste Linardi di Sea Watch su una linea condivisa con molte altre Ong – e la creazione di vie legali invece del contenimento in Libia e dell’esternalizzazione delle frontiere, dei respingimenti per procura in collusione con le milizie legate al governo libico». L’operazione di Salvini, denuncia la Ong, rinforza gli abusi contro «persone rinchiuse, torturate, vendute e rimesse in mare per essere chiuse di nuovo e rivendute ancora. Non è raro incontrare chi è più e più volte vittima della tratta – avverte Linardi – perché non esiste deterrente per le dinamiche migratorie. Le persone si muovono. Punto».

Sullo sfondo di questa fotografia mossa, da “guerra di movimento”, le altre questioni inestricabili: la riforma dell’Eurozona e il buco nei fondi per la coesione scavato dalla Brexit. Intanto si continua a morire nel Mediterraneo e a essere torturati nei lager libici: sono stati ripescati i corpi di tre bambini, scrive un sito libico a proposito del naufragio di un gommone nel mare al largo di Tripoli. Sedici le persone salvate, un centinaio, almeno, di dispersi a sei km dalla costa. I sopravvissuti sono stati portati in una località 25 km a est della capitale mentre sulle agenzie si inseguono le dichiarazioni trionfali di leghisti e grillini sull’esito del vertice.

«Fino a quando degli esseri umani rischieranno la loro vita in mare, Sos Mediterranée, proseguirà la sua missione in acque internazionali alle porte dell’Europa per cercare, soccorrere, proteggere e testimoniare», scrive in una nota la stessa Ong, nel giorno dell’arrivo a Marsiglia della nave Aquarius per uno scalo tecnico di quattro giorni. Lo scalo tecnico a Marsiglia, deciso dopo la chiusura dei porti italiani e maltesi alle Ong, «non è una buona notizia perché rappresenta 5 giorni di navigazione supplementari e un presenza nuovamente ridotta nella zona di salvataggio, mentre nel Mediteranneo centrale le traversate proseguono».

«L’Europa, che isola non è, aspira a diventarla sempre di più, la solidarietà è abolita per legge e al suo posto si instaura lo stato di Polizia generalizzato interno ed esterno»: il Naga, associazione di medici volontari di Milano, commenta così il documento approvato durante questa notte dal Consiglio Europeo. «”L’agognato vertice europeo sull’immigrazione ha partorito un meccanismo di chiusure progressive – sottolinea con sarcasmo l’associazione in un comunicato stampa – che ricorda un macabro reality in cui i concorrenti devono superare prove sempre più difficili e pericolose nel tentativo di arrivare alla meta con il rischio sempre presente di ritornare dal via. La produzione si annuncia molto costosa, i concorrenti tantissimi e l’esito scontato in termini di perdita di vite umane».

«Hanno vinto i camerati di Salvini, quelli di Visegrad, quelli che non vogliono ospitare nessun rifugiato e quindi se ne fregano delle richieste Italiane – dice Maurizio Acrbo segretario del Prc – l’accordo permette poi a Germania ed Austria di rimpatriare in Italia persone entrate irregolarmente, chiede all’Italia di aprire nuovi mega hotspot per rinchiudere persone, garantisce soldi e motovedette alla cosiddetta Guardia costiera libica e qualche briciola per il fondo Ue-Africa. Per il resto contiene solo intenti irrealizzabili come centri di smistamento (piattaforme Onu) in non precisati paesi africani, piani di sviluppo, altrettanto aleatori, per il continente africano e misure di effettivo contrasto ai salvataggi in mare, fino a collaborazioni maggiori con la NATO. Contemporaneamente oltre 100 persone trovavano la morte al largo delle coste libiche su un gommone che affondava senza che i libici intervenissero. Sanno di poterlo fare per ottenere maggiori mezzi e prebende. Omicidi su commissione che garantiscono ulteriori finanziamenti. Questi sono i risultati dell’esordio in Europa di Conte – che mette la firma su un nuovo fallimento totale del governo italiano – ereditata dai governi passati». Un’analisi che rende paradossali gli appelli del reggente del Pd, Martina, sulla necessità di un fronte progressista contro i sovranisti.

*Una versione di questo articolo è uscita sul numero 25 del settimanale Left del 22 giugno 2018

 

 

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