Un gruppo di attivisti palestinesi danza il dabke ai confini tra Gaza e Israele, gridando ad ogni passo che non si può soggiogare un intero popolo
di Marina Zenobio
Immagini così belle nella loro drammaticità. Giovani palestinesi che ballano il Dabke, danza folcloristica tradizionale, ai confini tra Gaza e Israele. Dietro di loro il fumo nero dell’ennesima battaglia. É il 29 giugno scorso, uno dei venerdì della Grande Marcia per il Ritorno costata ai palestinesi, finora, circa 200 morti e migliaia di feriti.
Le pallottole i gas lacrimogeni lanciati dai soldati israeliani non hanno impedito ad un gruppo di attivisti e attiviste palestinesi di regalarci un saggio di una danza popolare araba in uno dei giorni di protesta contro l’occupazione di Israele e per chiedere il ritorno degli esiliati.
Avvicinandosi alla linea di demarcazione tra Gaza e Israele il gruppo esegue quello che è stato definito “il grande ballo per il ritorno”. Tra le mani le fionde che normalmente usano per lanciare sassi contro le Forze di Difesa Israeliane.
In poco più di due minuti questo documento racchiude in sé tutta la storia dell’occupazione e dell’assedio, tutte le dinamiche di potere tra l’occupante e l’oppresso, il pugno chiuso del primo e la determinazione dell’altro.
Gli abitanti di Gaza ogni venerdì continuano a dirigersi verso il confine con Israele, rischiando ogni volta di essere colpiti dai cecchini delle FDI, per ricordare al mondo che vivono costantemente sotto assedio nella più grande prigione a cielo aperto del mondo.
In questa occasione giovani palestinesi hanno deciso di usare un linguaggio diverso, quello della danza, un dabke lungo la recinzione di questa prigione che ha un forte potere simbolico, una danza di sfida attraverso cui l’esistenza e la resistenza palestinese grida ad ogni passo che non si può soggiogare un intero popolo deciso ad aggrapparsi alla vita, al diritto alla libertà e all’indipendenza.
Ora c’è solo da aspettare che le Forze di Difesa Israeliana dichiarino il dabke una “danza terroristica” e dia l’ordine di sparare su chiunque la balli lungo il “recinto” gazawi.