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Chicago, poliziotta uccide afroamericano, riot a South Side

Scontri a Chicago dopo l’ennesimo omicidio di un afroamericano da parte di un agente di polizia

Una folla inferocita ha invaso le strade di un quartiere del South side di Chicago dopo l’uccisione di un uomo da parte di un agente di polizia nella notte di sabato. Ci sono stati degli scontri tra manifestanti e agenti: il bilancio è di alcuni poliziotti feriti e quattro manifestanti arrestati. Poco prima un’agente aveva sparato ad un uomo «che mostrava le caratteristiche di una persona armata» e che aveva fatto resistenza durante un controllo.  Secondo i testimoni a sparare è stata un’agente che ha premuto il grilletto ben cinque volte raggiungendo la vittima alla schiena mentre fuggiva. Per questo motivo la poliziotta è stata prontamente allontanata dalla scena, caricata su una volante della polizia.

Dopo l’omicidio, la folla ha invaso le strade del quartiere gridando insulti e tirando bottiglie contro gli agenti. Qualcuno è saltato su un’automobile della polizia e altre sono state danneggiate. Al termine dei disordini quattro persone sono state arrestate. Sul posto pare sia stata rinvenuta un’arma, ma non è stato accertato se appartenesse alla vittima. Non è la prima volta che a Chicago la polizia spara e uccide. Nel 2015 l’uccisione di un 17enne afroamericano fece esplodere violente proteste.

Sul profilo di BLM Chicago i post più recenti sono video di legali che spiegano cosa non fare mai in caso di fermo di polizia e cosa cercare di fare per denunciare abusi in divisa. La “police brutality”, quella che chiamiamo malapolizia – viene spiegato – è la prosecuzione della pratica del linciaggio, frequente dopo la guerra civile specie negli stati del Sud. «Hanno delle somiglianze impressionanti, entrambe hanno seminato il terrore nelle comunità nere, e entrambe negano alle vittime la giustizia che meritano», dice Ashley Akunna, conduttrice di uno show su You Tube contro il “colorismo” e il razzismo, The Grapevine.

Solo nel 2106 la polizia Usa ha ucciso 1093 persone, la maggioranza delle vittime, 266, è afroamericana come rivela The Counted, un progetto del Guardian. Al contrario, in In Norvegia, nel 2014, gli agenti hanno sparato solo due colpi di pistola senza uccidere, né ferire nessuno. Nel 2017, il conto lo tiene Mapping Police Violence ed è una montagna di 1147 cadaveri, il 25% dei quali afroamericani.

Questo proprio nei giorni in cui Black Lives Matter ricorda i cinque anni di attività. Nel 2013, infatti, in seguito all’assoluzione di George Zimmerman, che aveva ammazzato il diciassettenne afroamericano Trayvon Martin il 26 febbraio 2012, cominciò a comparire su vari social media l’hashtag #BlackLivesMatter, da cui poi ebbe origine l’omonimo movimento. Black Lives Matter ottenne visibilità a livello nazionale grazie alle sue proteste in strada per la morte di altri due afroamericani, entrambi uccisi da agenti di polizia, nel 2014: Michael Brown, che portò a numerose rivolte nella città di Ferguson, e Eric Garner, soffocato da un agente a New York. Dalle proteste di Ferguson, i partecipanti del movimento sono scesi in strada per manifestare dopo la morte di numerosi altri afroamericani, uccisi in seguito ad azioni della polizia o durante la custodia in carcere. Durante l’estate del 2015, gli attivisti di Black Lives Matter presero parte pubblicamente alle discussioni sulle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America del 2016. Le creatrici dell’hashtag e le fondatrici del movimento, Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi, tra il 2014 e il 2016 hanno esteso il loro progetto iniziale a una rete di oltre 30 rami locali. Il movimento di Black Lives Matter, tuttavia, nel suo complesso è un gruppo decentralizzato e non possiede una gerarchia formale.

 

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