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Claudio Lolli è vivo, e muore insieme a noi

E’ morto Claudio Lolli, poeta, cantautore, professore di liceo. Aveva 68 anni. Per dirla con Nick Hornby, «sapeva come ti sentivi e lo cantava»

illustrazione per Il grande freddo, ultimo album di Claudio Lolli

Ecco tutto, è la prima notte senza Claudio Lolli, uno schifo di articolo e l’eco delle sue canzoni. Per dirla con Nick Hornby, «sapeva come ti sentivi e lo cantava». Morire oggi non è difficile, è mille volte più difficile vivere, vivere, vivere male…

Claudio Lolli è morto. Cantautore, scrittore, professore di liceo. Aveva 68 anni ed è sempre vissuto a Bologna. Una lunga malattia, dicono i lanci di agenzia. Era nato il 28 marzo del ’50. Non è stato solo il biografo di una generazione, quella degli anni ’70, anzi ha sempre cercato di smarcarsi dall’etichetta di cantautore militante senza abiurare nulla, senza rinnegare, pentirsi, senza ancheggiare all’industria dell’intrattenimento di cui s’è fatto beffe fino all’ultimo, cantando e scrivendo quello che gli pareva in una ricerca continua di senso, interagendo con compagni di strada come Paolo Capodacqua, Roberto Soldati, Danilo Tomassetta, Nicola Alesini, Giampiero Alloisio (con cui partecipò all’invenzione del “teatro-canzone”), Giancarlo Cesaroni del Folkstudio, i Gang, il Parto delle Nuvole Pesanti, Flavio Carretta, Gianni D’Elia, Stefano Tassinari, Claudio Piersanti, Roberto Roversi, Erik Toccaceli (e Guccini, gli Stadio ecc… non me ne vogliano gli altri ma non sono un giornalista musicale), sottraendosi alla tentazione di celebrare se stesso, di lasciarsi consumare come un simbolo, o un mito. Eppure proprio per questo è stato un simbolo e un mito, suo malgrado. E poi se è vero che “il poeta sei tu che leggi”, per ciascuno di quelli che lo hanno amato è la colonna sonora della propria vita nonostante Lolli.

Ed il profetico amico Esenin,
morire oggi non è difficile,
è mille volte più difficile
vivere, vivere, vivere male…

 

Questo mi pare di poter dire (di questo ne avrei volentieri parlato con lui) dopo quarantadue anni di ascolto ininterrotto delle sue canzoni, con il dolore che si prova per la morte del poeta prediletto e di un uomo di cui conoscevo l’incedere, le parole, i gesti, l’odore. Che ho visto piangere, ridere e bere. Chi scrive ha seguito Lolli durante l’esperienza delle Intermittenze del cuore, disco del ’96, preceduto da vinili famosissimi (il disco delle cinquemila lire, Aspettando Godot, o la suite degli Zingari felici) e lavori meno noti ma amatissimi da chi non lo ha perso di vista durante il riflusso (lo scrivente ha consumato con gli occhi e le orecchie il disco con il lupo e l’agnello in copertina del 1988 e Antipatici Antipodi, copertina disegnata da Andrea Pazienza). Alle Intermittenze fecero seguito altri lavori fino a Il Grande Freddo, il disco di commiato che gli ha fatto vincere il Premio Tenco nel ’17 nella categoria «Miglior disco dell’anno in assoluto».

Ed una notte mi sembrò
che mi chiamasse col mio nome
dicendo: “ti concederò la pace
ma ad una giusta condizione”
e così mi convinse
ad andargli sempre più vicino
poi dentro fino alla metà del corpo
e poi più in là fino al mattino

Dal ’90 ho avuto modo di intervistarlo più volte, ho assistito a decine di suoi concerti, alcune volte sono stato sul palco a presentarlo: ogni volta sono rimasto spiazzato dalla profondità dello sguardo, dallo spessore intellettuale, dalla sua irriducibilità al ruolo di cantore del movimento che, frettolosamente, parte della stampa specializzata gli ha appioppato senza starlo a sentire. Certo che era un compagno, e sempre dalla parte del torto, come s’usa dire, ma proprio lui ci insegnò – era un’intervista per una rivista studentesca del post-pantera – l’efficacia degli assalti laterali rispetto alle ritualità inconcludenti ma rassicuranti degli assalti frontali. C’è un bel libro di Jonathan Giustini, per saperne di più di quanto possa entrare in un articolo confuso e dolente, pubblicato da Stampa Alternativa, una lunga intervista oppure un volume collettaneo pubblicato da un editore di Perugia, Dalla finestra sbagliata, ci sono i suoi romanzi (Giochi crudeli, L’inseguitore Peter H.) probabilmente introvabili eccetto le Lettere matrimoniali, da poco ripubblicate. E poi c’è Disoccupate le strade dai sogni che raccoglie tutti i testi compresi quelli del Grande Freddo (realizzato grazie al crowdfunding), curato da Danilo Tomassetta, disegnato da Enzo De Giorgi con le foto incredibili di Eric Toccaceli.

E quanto amore si lascia fuori dagli autobus
Guarda le cicche, le sigarette
Portate via da questa pioggia insistente
Buttate via da queste vite distratte –
Io ho lo sguardo perduto
E le costole rotte

Una volta, era il 2009, Lolli vinse un premio a Genova e lo accompagnai in treno per costruirci su un articolo per Liberazione, l’ho ripescato in rete: “C’è un bar a Bologna dove una cameriera giovanissima sta pelando le carote. Non manca molto all’ora dell’aperitivo. La radio trasmette «miracolosamente» la cover che Luca Carboni ha appena fatto di “Ho visto anche degli zingari felici” di Claudio Lolli. Quando arriva il verso che parla della «nostra vita coperta di sassi, di stracci, di vetri», la ragazza ha un attimo di commozione. E gli occhi le diventano rossi. Il suo sguardo si incrocia con quello dell’avventore che beve un frizzantino «miracolosamente» in anticipo rispetto all’ondata degli spritz. L’avventore è proprio Lolli, cantautore bolognese e scrittore, che non avrebbe bisogno di alcuna presentazione non fosse che viviamo in un eterno presente, senza memoria. La nuova versione, con le voci di Carboni e l’ex Tiro Mancino, regala «dolcezza» a un brano che Lolli aveva reso in modo forse più «aggressivo» e l’autore se ne compiace: «Luca sa arrivare in modo più diretto, io – lo sai – sono un intellettuale snob».

La suite degli Zingari non è l’unica canzone degli anni ’70 a trovare nuova vita. Sulle radio riecheggiano i Marlene Kuntz con “Impressioni di settembre” prese in prestito dalla Pfm e l’elenco potrebbe andare oltre. «Credo che Luca abbia voluto rendere omaggio alla generazione precedente – racconta Lolli – e anche a un fermento sociale che non ha frequentato, lui che è nato nella “rottura”».

Lolli e il cronista parlano seduti su un treno che li porta a Genova dove, nemmeno tre ore dopo, il cantautore bolognese riceverà il Premio Via del Campo (prima di lui lo hanno vinto Lauzi, Vittorio de Scalzi dei New Trolls, Jannacci, ecc…), nato per ricordare Gianni Tassio. Tassio era un amico di De André e ha gestito lo storico negozio di dischi nella strada che più richiama l’autore genovese di cui si commemora il decennale della scomparsa. Daniela Tassio che porta avanti il negozio del marito in via del Campo, spiega «Come Faber anche Lolli ha scritto tanti capolavori di poesia in musica». Il cronista riferisce la cosa a Lolli: «De Andrè mi ha insegnato che scrivere canzoni serve a qualcosa». Con De André si sono incontrati una sola volta. L’occasione fu il convegno dedicato a Fernanda Pivano da certi «agitatori culturali» di Conegliano Veneto. Faber era con Dori Ghezzi. Lolli parlò a lungo con la traduttrice di migliaia di pagine della letteratura americana. Parlò di un racconto di John Cheever che ispirò un vecchio film con Burt Lancaster, era la storia di un nuotatore che aveva deciso di raggiungere il mare nuotando. Così attraversò decine di piscine private. Di quella sera resta la foto del palco, c’erano anche Guccini e Allen Ginzborg.

L’incontro con la poetica di de André, al contrario, è più ricco e intenso. E “antico”. «Era la terza liceo e con un amico marinammo la scuola e ce ne andammo da Nannini». Nannini era una sorta di tempio del vinile che spediva lp in tutta Italia. C’erano le cabine dove poter ascoltare dei dischi prima di acquistarli. Il liceale in fuga chiese di ascoltare “Preghiera in gennaio”, dedicata a Luigi Tenco di cui il futuro cantautore aveva già tutti i dischi. «Quella volta pensai che allora è possibile fare delle canzoni banali, mi colpì, in qualche modo mi orientò». Toccasse a lui scegliere delle canzoni di De André, sceglierebbe alcuni brani di “Tutti morimmo a stento”, o “Verranno a chiederti del nostro amore”: «Perché esce dalla sovrastrura di quel concept album, ilumina un attimo…». Dei genovesi, poi, oltre Tenco, gli piace qualcosa di Gino Paoli, «quando è intrigante», mentre per Bindi, confessa, «ero troppo piccolo». «Sai perché tutte queste cose accadono a Genova?», domanda invertendo i ruoli. «Perché è claustrofobica, stretta. Qui c’è il mare, lì la collina… ti devi immaginare altri mondi. Ossi di seppia viene da lì, i poeti liguri…». E si svela il professore di liceo, lettere e latino in uno scientifico a Casalecchio di Reno.

Che poi lui a Genova ci ha anche vissuto. Era il 1984 e stava provando con Gianpiero Alloisio uno spettacolo diretto da Giorgio Gaber: “Dolci promesse di guerra”. «C’era tutta la nostra perplessità sul futuro, gli anni settanta erano appena passati ma già ti sentivi in un altro mondo. E lanciavamo le nostre promesse di guerra ma più dolci». Promesse «non più sanguinose ma che senza perdere un’identità antagonista». Ripete Lolli: «Senza violenza e senza consistenza». Il movimento «non c’era più». Era durato una decina d’anni e a voler trovare una cesura lui indica il rapimento di Moro. «Cercavamo una terra di nessuno». Uscì con un long playing che si intitolava “Extranei”: «Non ci conoscevamo più e quando ci incontravamo ci chiedevamo: “Di che gruppo eri?”. Insomma, usavamo l’imperfetto».

Dieci e passa anni prima, invece, sui gradini di S.Petronio, in Piazza Maggiore, il liceale Lolli vide centomila come lui che manifestavano. Quella visione diventerà gli “Zingari felici” e, per i trent’anni successivi, schiere di giornalisti superficiali gli domanderanno, pensando al popolo rom, se gli zingari sono ancora felici. Certo non sono stati felici a Bologna nella stagione Cofferati (Genova è anche la città dove è “fuggito” Stefano Benni) con quella «scarsa capacità di mediare e il suo pessimo discorso astratto sulla legalità che ha consentito di sbaraccare con la forza stranieri poverissimi, donne e bambini». Rispunta il professore di latino: «“Summum ius, summa iniuria”, rispettare alla lettera le leggi provoca straordinarie ingiustizie. Eppure Cicerone era un uomo di “destra”, un conservatore». Così, «dopo dieci anni di Prodi torno a fare l’estremista, torno a divertirmi. Basta col pragmatismo!», confessa annunciando certe frequentazioni con la lista promossa da Bifo per le prossime comunali di primavera.

Oggi Lolli è un insegnante di 58 anni. La scuola lo ha abituato a «non giudicare mai le generazioni. Ognuna deve affrontare il suo tempo e quei problemi». Ma Tommaso Lolli, classe 1990, primogenito del cantautore, oggi è uno “zingaro” anche lui, è uno dell’Onda anomala. La differenza è che «allora si apriva un mondo, qui si sta chiudendo, la feritoia si fa sempre più stretta».

Il prossimo progetto si chiama “Love songs”, «un’idea scaturita da un raro momento di calma estiva»: «Mi sono reso conto che nel mio repertorio, le canzoni d’amore erano oscurate dai brani più direttamente di lotta o di “suicidio” (Lolli è sempre stato consapevole di non essere un pensatore ottimista, ndr)». Allora con l’inseparabile Claudio Capodacqua, chitarrista e traduttore di Brassens, e il sassofonista romano, Nicola Alesini, ha scelto una decina di brani da rielaborare in una chiave jazz «antimercantile, senza etichette. E’ una piccola provocazione per restare nella mia “terra di nessuno”».

Terra di nessuno, anche un centro sociale genovese, nel quartiere che ospiterà la moschea di Genova, ha scelto di chiamarsi così. Lolli, sceso dal treno, è inghiottito dalla grande mostra dedicata a De André nel Palazzo Ducale. Più tardi sarà premiato a Palazzo Rosso. Poi scivolerà nella notte genovese, tra i carruggi”.

Ti ricordi la nostra vita
Sì, ti dico quella finita
Quando il sole è come una foglia
Che si stacca dalle dita
Che si stacca dalle dita
Per cadere un po’ di più

 

 

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