Lindsay Kemp non c’è più, ma di lui ci restano sogni, immaginazioni e quell’espressione rapita da ultimo Pierrot
di Mirna Cortese
Se ne è andato insegnando il coreografo e regista inglese Lindsay Kemp. Se ne va l’ultimo Pierrot del teatro che, con quella leggerezza che muove il mimo, con l’espressione rapita e il corpo al posto delle parole, racconta nel gesto ciò che la maschera nasconde. Aveva 80 anni e ieri pomeriggio aveva tenuto l’ultima lezione ai suoi allievi e allieve di Livorno, poi la sera il malore, in famiglia, che lo ho portato via serenamente, quasi danzando, pieno di amore e vitalità fino alla fine, ha dichiarato così un rappresentante della sua compagnia dando notizia della sua morte.
Lindsay Kemp è stato un uomo nato per teatro, che nel mondo ha fatto viaggiare i suoi straordinari passi, molte volte in Italia, seguendo il solco inciso dal maestro Marcel Marceau che, era solito dire Kemp, «mi ha prestato le mani». La sua è stata una passione per l’arte innata che, fin da bambino, lo ha portato al conflitto con la madre che non lo avrebbe voluto nel mondo dello spettacolo.
Da talento irrefrenabile a maestro guida per tanti nomi celebri, da Nureyev a Fellini, da Peter Grabriel a Mick Jagger, e poi quel forte legame con l’allievo David Bowie, di cui ricordava con forte commozione la collaborazione in Ziggy Stardust e nei celebri concerti del Rainbow Theatre nel 1972. La sua forma onirica, creata impastandola tradizione più antica della danza anche orientale con gli ingredienti originali di un genio contemporaneo, rimane scritta nella storia, oltre le pieces, un flauto magico inesauribile che non ha mai temuto di spalancare gli occhi, brillanti o malinconici, sulla bellezza.
Da molti viveva e lavorava a Livorno perché, dichiarò nel 2012, «Mi sono innamorato di questa città molto tempo fa, quando sono venuto con Flowers al Goldoni. Sono nato in una città col porto, il mare [a Cheshire, ndr]. Ma la differenza la fa la gente di Livorno. Qui mi sono sentito a casa, più che in ogni altra parte del mondo, ho trovato grande umanità, ho ricevuto un magnifico benvenuto, per le strade, nei bar, al mercato, soprattutto al mercato, che è qui accanto. Non mi importa della nobiltà, della celebrità, mi piacciono le persone normali, sincere, di cui ti puoi fidare. L’affetto della gente mi dà stimoli e ispirazione. Poi questa casa sorge dove un tempo c’era il Teatro Politeama, ed è come se ci fossero i fantasmi degli antichi teatranti, io li sento».