Potere al Popolo: quando il disprezzo diventa moneta corrente si rischia una lacerazione ancora più grande. Destinata a durare
da Dino Greco* riceviamo e volentieri pubblichiamo
Fantastico, questo testimone. Ha ricostruito tutto, con una stupefacente fedeltà al vero. Ogni cosa, in questa narrazione, diventa limpida e chiara.
Ci sono i bravi ragazzi, puri d’animo e di intenzioni, una brezza di aria fresca in un mondo malato, promessa in embrione di una sinistra del tutto nuova, ripulita dalle incrostazioni burocratiche, esempio di democrazia e di pulizia.
Poi c’è Rifondazione, superfetazione maleodorante, sopravvissuta a tante sconfitte, pletora di incalliti burocrati, doppiogiochisti, poltronisti, ipocriti e spergiuri, in perenne ricerca di un riciclaggio nella vecchia politica, ansiosi di ritrovarsi con i vecchi compagni di merende di un tempo. E ancora: opportunisti, ricattatori, interessati solo ad uccidere nella culla il bambino che, malgado loro, tenta di nascere. Gente da non toccare neppure con il bastone.
Infine i militanti, cani da riporto, con qualche brava persona che sarebbe bene si staccasse dalla banda di lestofanti che li dirige.
Lui, il testimone, aveva capito tutto, sin dall’inizio. Ma aveva fatto, insieme agli altri testimoni, una generosa benché dubitante apertura di credito nei confronti del Prc. O forse, gli sherpa di Rifondazione servivano, pro tempore, per dare al nascente movimento una proiezione nazionale che altrimenti non avrebbe mai avuto. Le elezioni arrivavano giuste al caso. Poi della zavorra ci si sarebbe liberati. Ed è esattamente ciò che sta accadendo.
Il manifesto fondativo viene archiviato. Dal progetto unitario, fondato sulla decisione condivisa – con tutta evidenza il solo capace di tenere insieme singole persone, movimenti, associazioni, partiti – si passa, d’emblée, alla decisione maggioritaria: basta il 50%+1, nel nome della “governabilità” e della “rapidità di decisione”.
Anche sullo Statuto, la casa di tutti, si deve decidere in questo modo, perché quella casa di tutti non deve più essere.
Imporre ad un partito una totale cessione di sovranità nei confronti di un soggetto politico altro da sé, che ci si ostina a chiamare movimento ma vuole funzionare come un partito e che regole da partito vuole darsi, significherebbe per il Prc abdicare. E questo non è possibile, perché Rifondazione non ha alcuna intenzione di sciogliersi.
Ciò che ci aveva tenuto insieme era la condivisione di un progetto politico coerentemente antiliberista ed anticapitalista e una pratica che consentisse di mettere a fattor comune tutto ciò che si condivide, agendolo nello spazio pubblico come Potere al Popolo. Per lasciare a ciascun soggetto o formazione politica piena e libera iniziativa su quanto non fa parte del patrimonio comune. Una modalità intelligente. E feconda. Perché consentirebbe ad esperienze e culture politiche diverse, individuali e collettive, di rompere la maledizione della diaspora, di ascoltare, di imparare reciprocamente, di “ibridarsi”, abbandonando, ciascuno, la velleità presuntuosa quanto sterile di custodire in proprio la verità.
E’ prevalso altro. E precisamente, l’idea che Potere al Popolo, dopo la parentesi elettorale, acquisita una discreta visibilità politica malgrado il fuoco ostile della contraerea mediatica, dovesse stringere i cordoni, per ridefinire il proprio perimetro politico, sulla base di un concetto molto chiaro che riassumo così: Potere al Popolo è il solo soggetto politico che nel devastato panorama della sinistra italiana può definirsi anticapitalista. Fuori di esso non c’è niente, letteralmente niente, se non ambiguità o, peggio, compromissione con la vecchia politica e le sue paralizzanti liturgie. Dunque, meglio escludere che includere, perché oltre il recinto di Pap non c’è niente di buono da utilizzare. Poi, se qualcuno, individualmente, vorrà aderire alla nuova formazione, sarà il benvenuto.
Il giudizio demolitore sul Prc trasuda da ogni rigo della “testimonianza”. E non lascia scampo. Il solo partito buono, fra tutti quelli che si sono spartiti le spoglie della sinistra storica, è il partito morto. E Rifondazione – conclude il nostro testimone – non fa certo eccezione.
Ed ecco la sentenza, senza appello: “Perché accade tutto questo? Per il protagonismo di pochi dirigenti che si sentono scavalcati e che dopo 20-30 anni che comandano hanno paura di non essere eletti, di essere relegati in secondo piano. D’altronde hanno fatto sempre questo ogni volta: Sinistra Arcobaleno, Cambiare si può, Rivoluzione Civile, Altra Europa…Alla fine se impedisci a PaP di esistere, continuerai a esistere solo tu. Certo, sarai politicamente morto, ma meglio continuare a comandare su qualche migliaio di fedeli che dover accettare qualcosa di nuovo”.
Poi la chicca finale: l’appello agli iscritti del Prc a ribellarsi ai loro cani da guardia, a rottamare i loro dirigenti che “magari se pensano di perdere i loro stessi militanti li ascoltano”.
Ci sono molto disprezzo e supponenza, in queste parole.
Ci si può scontrare aspramente, e persino arrivare all’amara conclusione che le strade si dividono. Ma quando si supera così disinvoltamente la soglia del rispetto e il disprezzo diventa moneta corrente si rischia creare una lacerazione ancora più grande. Destinata a durare.
*Dino Greco, già segretario della Camera del Lavoro di Brescia, ex direttore del quotidiano Liberazione, membro della direzione nazionale del Prc e del coordinamento nazionale di Potere al Popolo per conto dell’Assemblea di Brescia