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Homein fondo a sinistraI delusi (ma non vinti di PaP): ripartiamo da due parole

I delusi (ma non vinti di PaP): ripartiamo da due parole

Una lettera aperta dei delusi dall’esito di PaP: «”Compagni e compagne”: se pensate che queste parole vi riguardino, vi proponiamo di ritrovarci ed ascoltarci»

Questa lettera aperta è stata spedita da Marina Boscaino, Roberto Musacchio, Maurizio Acerbo, Michela Becchis, Clarissa Castaldi, Natale Cuccurese, Soccorsa Sabrina Di Carlo, Enzo Di Salvatore, Ilaria Dusi, Lorenzo Falistocco, Paolo Ferrero, Eleonora Forenza, Dino Greco, Tonia Guerra, Guido Liguori, Citto Maselli, Sandro Medici, Giulia Pezzella, Rosa Rinaldi, Sandro Targetti, Sara Visintin

Compagne e compagni,

Il tempo sta passando e ci sembra che il termometro della politica nazionale ed internazionale segni temperature allarmanti: chiamiamo ad un semplice principio di responsabilità e di impegno concreto, sostenibile e democratico, tutte le donne e gli uomini, movimenti, partiti, gruppi, coordinamenti, che avevano avvertito nel processo costituente di Potere al Popolo! un passo diverso; ma che, dallo sviluppo di quel processo, sono rimasti deluse/i e disorientate/i.

Non è mutato è il nostro desiderio di pensare e fare politica insieme. In molte/i abbiamo chiesto a quello che è diventato – in seguito a vari abbandoni – il gruppo “di maggioranza” di Pap di interrompere una conta divisiva e di ritrovare le ragioni fondative dello stare insieme.
Le pratiche di una comunità sono indicative del modello di società cui si tende: il richiamo al rispetto delle regole democratiche non è nato da una linea politica alternativa, ma dall’esigenza di tener dentro in maniera limpida i presupposti su cui Pap è nato.
Il nostro non è stato il tentativo di arenarci su una questione formale, ma il frutto della convinzione che fretta, modalità sbrigative, omissioni – quando non alterazione della realtà-, assenza di trasparenza e di rispetto per storie e persone, hanno segnato un passo falso indelebile, destinato a riproporre quelle stesse caratteristiche nella gestione dell’intero percorso, compromettendone il futuro; affermiamo questo convinti che l’idea e il bisogno che hanno portato a Pap siano ancora, e più che mai, vivi.

Abbiamo una proposta, che fin da ora dichiariamo di non essere proprietà di nessuno, ma di tutte/i coloro che si erano sentite/i rappresentate/i da un manifesto che diceva no alle egemonie, no ad un processo verticistico. Sì all’unione delle forze, alla connessione delle vertenze, ad una politica che sia partecipazione attiva, condivisione di percorsi differenti in un soggetto plurale, che valorizzi ciò che unisce e non ciò che divide. Ci impegniamo – mettendoci la nostra faccia e tutta la nostra energia – a fare in modo che le parole del manifesto di Pap, quelle alle quali ci siamo inutilmente aggrappati nell’estremo tentativo di rimanere coese/i, possano avere vita e respiro, possano configurare una realtà praticabile: facciamo tutte/i un passo indietro per farne – insieme – uno, più lungo, in avanti.
Siamo deluse/i, ma non vinte/i. Vogliamo, invece, continuare ad esserci. Non sopravvivere, ma vivere insieme. Ci rivolgiamo a quante/i, come noi, hanno creduto che insieme è possibile raccogliere e nobilitare il variegato “popolo della sinistra dal basso”, al di là delle storie e delle generazioni. Identità di partito e pratiche di mobilitazione, protagonismo dei territori, mutualismo, lotte di settore, impegno intellettuale non possono e non devono diventare elementi incompatibili, che escludano la possibilità di una comunità solidale, che pensi ed agisca in una direzione comune. Per questo ci impegneremo a tenere tenacemente aperti spazi praticabili di confronto democratico. Affinché la lotta al razzismo, l’antifascismo, la dignità del lavoro, la solidarietà, la partecipazione, l’antiliberismo, l’uguaglianza orientino la nostra quotidiana militanza politica.

Solo un percorso pluralista e veramente aperto e inclusivo potrà dare una risposta efficace e coerente ai bimbi di Lodi, ai migranti di Riace, alle morti quotidiane sul lavoro, allo smantellamento di scuola e sanità pubbliche, alla devastazione del territorio, all’ennesimo condono che promuove a sistema l’illegalità, alla logica del profitto che stritola nei suoi ingranaggi esistenze e principi.
Non ci appartengono le deviazioni che hanno imbrigliato e talvolta distrutto vite individuali e collettive e governato il cambiamento antropologico che ha favorito l’abbandono della politica e la celebrazione di un individualismo silente e remissivo.
E non considereremo mai nostri interlocutori coloro che per anni hanno cercato di dissimulare la propria collusione con il liberismo e l’austerità.

Facciamoci forti della socializzazione di idee e conflitti che sono stati in campo e lo sono tuttora. Delle centinaia di migliaia di donne e uomini scese/i in piazza contro le guerre o per la difesa dell’articolo 18. Delle tante voci che hanno invocato un’altra Europa, fondata sul modello sociale frutto delle lotte e non della loro negazione. Di chi soffre la crisi di una democrazia che il capitalismo finanziario sta buttando via come un ferro vecchio. Di chi ha continuato a difendere la dignità del lavoro e l’equità sociale e si è opposta/o al Jobs Act e alle leggi precarizzanti. Di chi ha presentato una legge di iniziativa popolare per un vero reddito di cittadinanza. Desideriamo parlare con chi si batte contro i trattati commerciali liberisti, i paradisi fiscali, contro l’onnipotenza della finanza e per una patrimoniale sulle ricchezze e la progressività fiscale. Con chi difende il pubblico e a volte vince, come nel referendum sull’acqua bene comune. Con chi difende la Scuola della Costituzione, in una lotta sempre più difficile. Con chi ripudia davvero la guerra. Con i comuni ribelli che non accettano lo scempio sociale e umano. Con le donne che lottano per l’autodeterminazione. Con chi lotta contro grandi opere che devastano territori e vita. Con chi avversa l’omofobia.
Questo e molto altro: un patrimonio immenso, che però da troppo tempo non riesce a dialogare, fare massa, costituirsi come alternativa. Per questo (vi) scriviamo.
I tentativi fatti sono stati tanti, tanti gli errori: proviamo a mettere in comune ciò che abbiamo imparato. Guardiamo a ciò che si muove in Europa, dalla confluenza spagnola alla grande piazza di Berlino, senza indulgere in impossibili imitazioni. La ricerca delle/i tante/i e non l’autoconsolazione delle/i poche/i siano la chiave.
Per questo partiamo da due parole semplici per confrontarci: “compagne e compagni”. Parole che uniscono, sapendo che tutto il resto è – appunto – da fare insieme.
Se pensate che queste parole vi riguardino, vi proponiamo di ritrovarci ed ascoltarci.

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