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La mamma di Federico: «Il daspo al volto di un ragazzo, vergognatevi!»

Olimpico vietato per chi indossa le magliette con il viso dell’Aldro. E Lino Aldrovandi: «Federico oggi non c’era perche ucciso senza una ragione da quattro persone in divisa»

«#federicoaldrovandi voi che imponete un daspo persino al viso di un ragazzo: Vergognatevi», twitta Patrizia Moretti, la mamma di Aldro. Di nuovo, l’Olimpico, ai tifosi della Spal, ha negato l’ingresso, per la partita vinta 2-0 con la Roma, con le magliette raffiguranti il volto di Federico Aldrovandi, il giovane morto nel 2005 in un parco pubblico a Ferrara durante un violento controllo della Polizia. Lo segnala anche il padre di Federico, Lino Aldrovandi, sulla propria pagina Facebook, dove riporta «con tristezza» un post della curva Ovest dei tifosi ferraresi: «All’ingresso dello stadio Olimpico ci è stato negato per l’ennesima volta l’ingresso del bandierone con il volto di Federico Aldrovandi, ma come se non bastasse ci è stato impedito di entrare con i nostri colori e le nostre magliette: quelle raffiguranti il volto di Federico, quelle del gruppo Otto Settembre e anche le comuni magliettine di Curva Ovest Ferrara. È stata calpestata non solo la nostra dignità di tifosi e di ultras, ma anche i nostri più elementari diritti di cittadini, per questo motivo abbiamo scelto con sofferenza di non entrare allo stadio».

«Che dire – commenta Lino – spiace veramente per quei ragazzi che dopo centinaia di km e sacrifici, oggi si sono visti costretti a non assaporare insieme a Federico, una vittoria sportiva. Null’altro che una vittoria sportiva. Ai solerti funzionari vorrei dire loro che Federico oggi non c’era perche ucciso senza una ragione un 25 settembre 2005 da 4 persone in divisa (loro colleghi?), e forse oggi avrebbe potuto anche esserci, in carne ed ossa. Quelle magliette, quella bandiera con quel volto, danno così tanto fastidio?». Sulla pagina di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, si apprende che era successo anche il primo ottobre a Marassi in occasione della partita contro la Spal. L’associazione, proprio la scorsa stagione, ha lanciato la campagna #FedericoOvunque, proprio per contestare una vicenda di «Coreografia non autorizzata» come il linguaggio questurino usa fare per sanzionare penalmente l’esposizione di foto di Federico Aldrovandi nelle curve degli stadi.

L’unica coreografia che viene in mente, però, è la danza macabra di quattro agenti di polizia attorno al corpo agonizzante di un ragazzo di diciannove anni. Oppure lo spettacolo, indegno per una democrazia, di delegati di un sindacato di polizia legato alla destra politica che tributano una lunga standing ovation ai quattro poliziotti-danzatori, condannati in tre gradi di giudizio per l’omicidio di Federico Aldrovandi. Anche nel 2017 è iniziato all’Olimpico che vietò l’ingresso del bandierone storico dei tifosi della Spal, quello con il volto di Federico Aldrovandi. L’iniziativa è uscita fuori dagli stadi di calcio blasonati o amatoriali fino a contagiare luoghi dello sport popolare o della socialità fuori mercato. E da allora alcune misure repressive che, ufficialmente, dovevano servire ad arginare la violenza negli stadi, vengono brandite contro chi contesta la violenza di Stato e gli abusi di malapolizia. Lo stadio si conferma il terreno per sperimentazioni liberticide da estendere nelle piazze e negli spazi del conflitto sociale. Anche dopo Ternana-Parma dello scorso 8 dicembre, nella pausa fra il primo ed il secondo tempo è stato esposta una coreografia non autorizzata», recita la velina della questura di Terni annunciando che «I fatti sono stati filmati dalle telecamere dello stadio, attraverso cui la Polizia di Stato ha individuato gli autori delle condotte. Al termine dell’indagine, condotta dalla DIGOS, è scattata la denuncia nei confronti di due tifosi per l’accensione di strumenti per l’emissione di fumo ed è stato avviato nei loro confronti l’iter amministrativo per l’irrogazione della misura del D.A.S.P.O; per altri tre tifosi è scattata la sanzione amministrativa per la violazione del regolamento d’uso dell’impianto sportivo».

Tutto «senza mai menzionare l’oggetto vero della questione l’iniziativa per Federico Aldrovandi a cui la tifoseria del Parma come tantissime altre tifoserie ha aderito», scrisse Acad nel dicembre del 2017 denunciando che la questura di Siena strappò la pezza con il volto di Aldro dalla balaustra della curva, rivelando le minacce di Daspo ai sostenitori del Prato da parte di alcuni steward e poliziotti in divisa e non, dopo aver strappato un drappo di Aldrovandi dalla curva del Siena.

La vicenda di Federico Aldrovandi, a tredici anni dall’omicidio dell’Ippodromo di Ferrara, è ancora ben presente nella memoria di alcune generazioni di giovani, cittadini, antiautoritari, frequentatori di curve, militanti. E’ l’archetipo di ogni storia di malapolizia: un abuso violentissimo, letale, commesso da pochi ma coperto da molti e molto in alto, che viene alla luce grazie al coraggio dei familiari, degli amici, dei circuiti che quotidianamente si battono contro la repressione, di cronisti di controinformazione fino ad arrivare a un processo pubblico dove le responsabilità emergono finalmente con chiarezza. E in una società dopata dalle fantomatiche emergenze sicurezza si squarcia il velo di Maya e, grazie a Federico, diventa nudo il Re. Per questo sembra che alcuni settori delle polizie cerchino una vendetta. Ma la chiamano legalità.

#FedericoOvunque

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