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Genova, l’emergenza e il ridisegno della città

Genova, non si tratta solo di ricostruire un ponte. Su Popoff l’editoriale del quinto numero di La Città-giornale di società civile

da Genova, Luca Borzani*

Non si tratta solo di ricostruire un ponte, che è cosa da fare il più velocemente possibile, nonostante siano in troppi a giocare una partita che ha finalità e obiettivi che nulla c’entrano con i destini di Genova. Così come è necessario garantire a chi ha perso la casa un alloggio al più presto. Perché per i “sopravvissuti” del 14 agosto siamo lontani da una soluzione transitoria accettabile da tutti. Ed è giusto saperlo e ricordarlo. Ogni giorno che passa è sempre più faticoso. E vale anche per la Valpolcevera isolata dove il ponte è diventato un muro, con strade che tardano ad essere anche parzialmente riaperte e collegamenti ferroviari e della metropolitana ancora insufficienti.

 

Per i quartieri del Ponente strangolati da un traffico che sconvolge tempi e orari della vita quotidiana e disegna fisicamente la città spezzata. Per il porto, il commercio, il tessuto di piccole imprese già indebolito dalla lunga crisi. A nessuno si può chiedere di avere la bacchetta magica.

E l’impegno del Comune e della Regione è stato nell’immediato adeguato e riconosciuto da tutti. Oggi però c’è il rischio oggettivo, a fronte delle straordinarie e forse non previste difficoltà e complessità, dell’impantanamento, del rinvio a tempo indeterminato. Perché a distanza di oltre un mese dal crollo di quel “ponte levatoio” che garantiva l’accesso, l’uscita e i collegamenti interni della città, Genova non riesce ad avere dal governo gialloverde (nero) le risposte giuste. Anzi.

Quasi non ci fosse la consapevolezza di quanto davvero accaduto, del possibile collasso di una delle grandi aree metropolitane del Paese. E Genova, che, al di là dell’insopportabile retorica della genovesità, resiste civilmente, che con grande responsabilità accetta i disagi, che cerca, pur con tan- te visibili contraddizioni, unità e non divisioni, che è tornata in qualche modo a sentirsi comunità, non merita questa incertezza e l’offesa di provvedimenti largamente inadeguati. Come non merita una gestione dell’emergenza, che sarà lunga nel tempo, che non sia anche strategia per il futuro. Ciò che è in gioco non è il ritorno alla “normalità” ma un diverso disegno, urbano e sociale, della città.

Perché il crollo del Morandi rimanda a una lunga stagione di declino, all’immobilismo e allo svuotamento delle classi dirigenti, imprenditoriali come politiche, al generale invecchiamento, non solo demografico, ma dell’insieme del territorio, dalle scuole, agli ospedali, allo stadio. A una Genova infragilita e fisicamente insicura, sempre più chiusa e spaventata, con meno capitale sociale e più diseguaglianze e degrado urbano. Dove l’emigrazione delle competenze e dei giovani pareggia numericamente con l’immigrazione delle povertà. Ecco perché non si tratta di ricostruire solo un ponte. Ma di ripensare appunto la città. A partire dalle periferie, da quel Ponente e quella Valpolcevera che a oltre venti anni dalla deindustrializzazione sono rimasti in larga parte privi di riqualificazione, oppressi da vuoti e aree dismesse, senza una nuova funzione urbana. È quella T rovesciata che collega Sampierdarena con Cornigliano e poi a nord segna Certosa, Teglia, Bolzaneto, S. Quirico. Un’area con oltre centomila abitanti e dove gli indici della disoccupazione, dell’abbandono scolastico, del deprezzamento delle abitazioni e dell’insediamento di immigrati sono i più elevati a livello cittadino. È ciò che stava sotto e intorno al ponte. Dove più sono cresciuti il rancore e la rabbia verso una sinistra indifferente e lontana. Abbiamo cercato di parlarne in ogni numero de «la Città». Perché eravamo convinti e ancora più lo siamo oggi che da lì doveva e deve iniziare una diversa politica. E una profonda revisione critica del recente passato.

Riprogettare le periferie non vuol dire, per essere chiari, qualche opera di ricucitura, un po’ di spazi verdi o di nuovi edifici, ma appunto rileggere il territorio a partire dai bisogni di chi ci vive: sanità, istruzione, socialità, mobilità. Individuare le connessioni, in termini di funzioni forti, con l’insieme della città, affrontare i nodi di Begato e dei grandi buchi neri a partire dall’ex-Mira Lanza, accelerare e non ritardare ulteriormente il recupero di Cornigliano. Un’impresa non facile e non breve. Per questo sarebbe necessario da subito cominciare a disegnare un primo piano strategico insieme con i cittadini.

Non ci sarà infatti riqualificazione urbana vera se non sarà anche riqualificazione sociale e vivificazione della democrazia. Se non si sarà capaci di dare vita   a nuove modalità di partecipazione e di confronto collettivo, rimodellando gli stessi meccanismi istituzionali. Se si discuterà solo dei mattoni ma non delle persone, dell’infanzia come degli anziani, delle solitudini come della salute.

Si può e si deve riaprire quella grande discussione pubblica sull’idea di città che si è azzerata nella ridu- zione della politica a gestione e ricerca del consenso. Abbiamo bisogno di fare presto ma soprattutto di fare bene. Di scegliere le opzioni migliori. Valorizzare le capacità che abbiamo ma anche guardare al mondo. Ripensarsi vuol dire aprirsi, richiamare contributi e intelligenze di livello internazionale.

Anche questo vuol dire non scindere emergenza e strategie per il futuro. E vale anche per il rapporto tra città e porto. Non solo per configurare finalmente una modernizzazione infrastrutturale che privilegi il ferro sulla gomma ma anche per sperimentare nuovi modelli di autonomia dallo stato e di finalizzazione della fiscalità portuale. Cosi come vale per un piano della mobilità interna che si fondi sul trasporto pubblico e la complessiva riduzione di quello privato. Non è il libro dei sogni. Ma l’orizzonte su cui verrà giudicata la politica della città. Di chi governa e di chi oggi si trova all’opposizione. C’è bisogno di coesione, di lavoro comune ma non di pensiero unico. Paradossalmente proprio la volontà di trovare proposte condivise che sorreggano l’emergenza presuppone un confronto vero, una dialettica anche vivace sulle idee, un reciproco riconoscimento. Una cosa non facile nel momento in cui pulsioni neoautoritarie attraversano la maggioranza politica che governa il Paese. In cui annunci di superamento dell’austerità e di riequilibrio sociale si intrecciano con l’esaltazione xenofoba, la costante ricerca di capri espiatori e l’aspirazione alla messa in discussione degli equilibri istituzionali e del sistema delle libertà, delle garanzie e dei diritti. La vicenda del “Regolamento delle famiglie” esprime bene la proiezione di quella ideologia sul piano locale. Così come l’insofferenza verso ogni critica, la tentazione di occupare ogni spazio della comunicazione, l’indifferenza per le lacerazioni del tessuto civile. Sono le contraddizioni con cui bisognerà misurarsi tenendo la barra sul futuro della città, sulla centralità delle persone, lo sviluppo sostenibile e ambientalmente compatibile. Ed è ciò che cerchiamo di fare con questo numero della rivista.

Provando a dare il nostro contributo a quella discussione pubblica che può e deve ancora crescere. Perché non si tratta di ricostruire solo un ponte.

*Luca Borzani è il direttore di La Città. Foto in evidenza di Fabio Bussalino

La rivista diretta da Luca Borzani, è nata lo scorso aprile. Il suo quinto numero – tra le firme, Salvatore Settis, Goffredo Fofi e la nostra Ludovica Schiaroli,  le bellissime foto di Fabio Bussalino, è stata presentata con la gente della Valpolcevera, diretta ai genovesi e chiunque voglia iniziare a ripensare la città dopo il 14 agosto.
Nei primi cinque numeri hanno scritto per la Città, tra gli altri, Lucio Caracciolo, Donald Sasson, Vito Mancuso, Agostino Petrillo, Vittorio Coletti, Alberto Diaspro, Adriano Sansa, Anna Canepa, Giuliano Galletta (che è direttore responsabile), Franca Balletti, Federica Alcozer; con racconti di Emilia Marasco, Simone Pieranni, Bruno Morchio, approfondimenti di Donatella Alfonso, Carlotta Scozzari, Aldo Lampani, Donata Bonometti, Andrea Tomaso Torre e molti altri.

 

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