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Magherini, tutti assolti i carabinieri: il fatto non costituisce reato

Caso Magherini, la Cassazione ribalta due sentenze e assolve tre carabinieri accusati di omicidio colposo

La quarta sezione penale della Cassazione ha assolto i tre carabinieri accusati di omicidio colposo per la morte di Riccardo Magherini, avvenuta in Borgo San Frediano, Firenze. Il collegio, presieduto da Patrizia Piccialli, ha disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza d’appello perché «il fatto non costituisce reato». Si conclude così il processo a Vincenzo Corni, Stefano Castellano e Agostino della Porta, che la sera tra il 2 e il 3 marzo 2014 avevano ammanettato Magherini in preda al delirio dopo aver bevuto e assunto cocaina. Una decisione che al momento la famiglia preferisce non commentare. Avevano sperato, dopo le due condanne, in primo grado e in appello, il 19 ottobre a Firenze, e dopo la requisitoria del procuratore generale che ne aveva chiesto la conferma, che il capitolo si chiudesse. «Hanno fatto di tutto per farlo apparire come un delinquente. Vogliamo che il suo nome sia rivalutato», aveva detto il padre lasciando il Palazzaccio al termine dell’udienza, assieme all’altro figlio, Andrea. Nei due processi di merito la causa della morte del 40enne, ex calciatore, come suo padre Guido, era stata individuata nell’intossicazione da stupefacenti associata all’asfissia.

Le motivazioni della sentenza della Cassazione faranno luce sul percorso che ha portato i giudici a ritenere che il fatto imputato ai tre militari non è reato. Nella requisitoria il sostituto pg Felicetta Marinelli, aveva sostenuto l’opposto: «Se i carabinieri lo avessero messo in posizione eretta, avrebbero permesso i soccorsi e con elevata probabilità la morte non si sarebbe verificata»: l’ha ripetuto per due volte, ricordando che Magherini era stato a terra col torace sulla strada, per un quarto d’ora, «lo stavano arrestando e avevano l’obbligo di tutelarlo». Quella sera Riccardo era stato a cena, accortosi di non poter guidare aveva preso un taxi, da allora era cominciato il suo delirio. All’arrivo dei carabinieri si era dimenato, dopo essere stato ammanettato, aveva affannato. Infine, si era calmato per un paio di minuti, il cuore aveva smesso di battere, troppo tardi per rianimarlo, anche se l’ambulanza era già sul posto. I carabinieri non si erano resi conto che quella richiesta d’aiuto, «sto morendo», filmata dai cellulari dei residenti della zona non erano solo proteste per essere lasciato andare. «Riccardo – ha detto l’avvocato Fabio Anselmo, che rappresenta le parti civile nel processo, lo stesso legale che ha seguito i familiari di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi. – non è morto per la cocaina, la cocaina uccide ma lascia tracce, invece il cuore di Riccardo era perfetto. Non è morto per infarto, ma perché gli è stato impedito di respirare». Secondo la difesa dei tre militari, che su questo ha puntato parte della strategia difensiva, non poteva essere imputata loro un’omissione perché non avevano le conoscenze mediche per riconoscere i segni di una crisi respiratoria. «Riteniamo che i carabinieri non avessero elementi per capire quello che stava accadendo a Magherini a causa dello stupefacente.Magherini è morto per una serie di concause, tra cui anche la sofferenza per la posizione prona, ma era necessario bloccarlo, e i carabinieri non potevano capire che era il momento di metterlo a sedere», ha osservato l’avvocato Francesco Maresca, che ha difeso due dei tre carabinieri. Uno di loro, Agostino della Porta, era in aula oggi, ha assistito in prima fila al dibattimento. «In attesa di leggere i motivi – ha detto l’avvocato Eugenio Pini, difensore di Stefano Castellano, uno dei tre militari imputati – ritengo che giustizia sia stata fatta. Dopo aver affrontato numerosi casi analoghi, spero che questa sentenza possa tracciare una nuova linea giurisprudenziale».

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