Dai Siciliani giovani un ebook sull’editore Ciancio e il suo giornale La Sicilia: «un sistema composto “da giornalisti, politici, cavalieri d’industria e boss mafiosi”
Popoff rilancia “Sbavaglio: Ciancio e ciancisti, la storia, i soldi e la città”, un ebook della redazione de I Siciliani giovani, appena pubblicato online. Una sorta di biografia non autorizzata dell’editore Mario Ciancio e del monopolio dell’informazione a Catania, unica grande città con un solo quotidiano. Sessantaquattro pagine di nomi, cognomi e avvenimenti sull’odissea della storica testata La Sicilia di Catania, un giornale usato come strumento per nascondere le verità. Ecco l’introduzione di Riccardo Orioles
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C’è chi ciancia e chi è cianciato. Chi si ciancia centocinquanta milioni e chi quindi, senza lavoro, si fa emigrante. Chi fa il giornalista di corte, ma “niente sapevo”, e chi fa la fame per dare al popolo che se ne fotte un briciolo di verità.
“Ma dov’è l’antimafia, ma dov’è il giornalismo?” Eccoli, signora mia. Stanno proprio qua
Omero non riusciva a raccontare tutta la guerra di Troia (e capirai: dieci anni di battaglie) e quindi s’è abilmente limitato a tre o quattro episodi principali, sperando che bastassero a dare una qualche idea della faccenda al lettore. Qua, altro che guerra di Troia! L’Iliade di Ciancio, e dei suoi sventurati concittadini, dura da quarant’anni.
I giudici, che ci lavorano da quando è stata rifatta la Procura di Catania (sette anni circa) emergono ogni tanto da una valanga di carte, e mandano carabinieri e finanza: quell’appalto! Quell’altro! Il boss Tizio! Il boss Caio! I soldi in Lussemburgo! E quelli in Svizzera! E in Inghilterra! Insomma, altro che Omero. Qua ci sarebbe voluta tutta Scotland Yard, più la redazione del Times, più Tito Livio e Mommsen per raccontare l’intera storia. Perciò ci siamo saggiamente ristretti, anche noi, a ricordare qualche episodio più eclatante, peraltro di solito noti – poiché ne parlavamo già molto prima dei giudici – ai nostri cari lettori.
E’ il poema di Mario Ciancio? Certo sì, ma solo secondariamente. E’ più che altro la storia di un intero Sistema, giornalisti, politici, cavalieri d’industria, boss mafiosi, gente di stato, funzionari, uomini di businnes, gestori di grandi e piccoli e piccolissimi affari. Più ancora, putroppo, è l’odissea di alcune centinaia di migliaia di esseri umani che, dalle angherie del Sistema, sono stati scientificamente cacciati fuori da ogni possibilità di una vita normale.
Secondo la Svimez 1 milione e 883mila siciliani hanno lasciato la Sicilia negli ultimi quindici anni. Metà avevano da 15 a 34 anni. Quest’anno, solo da Catania, sono andati via circa quattrocento ragazzi – parecchi appena diplomati – e “andar via” oggigiorno non significa Torino o Bologna ma Australia, Canada, Inghilterra o Germania.
Non c’è più il Treno del Sole e la valigia di cartone, ma il biglietto Ryanair e lo zainetto sulle spalle; non più coppole e calli nelle mani ma visi di ragazze e ragazze che sanno tutto di questa o quella scienza, e che abbiamo perso per sempre.
E’ in corso, in queste settimane, una campagna contro l’antimafia (“maledetta Libera! Mafia e antimafia sono uguali!”) che ha l’obiettivo finale di rimettere sul “mercato” i beni confiscati ai mafiosi, assegnati al popolo grazie al sacrificio di Pio La Torre e al milione di firme raccolte da don Ciotti.
Si arriva al paradosso che se un giornale antimafia come i Siciliani riesce, per esempio, a smascherare un Montante, nessuno – innanzitutto – si permette di ringraziare i Siciliani per questa vittoria giornalistica difficile e pericolosa, e che l’esistenza di Montante – falso antimafioso – e dei numerosi giornalisti ciancizzati che l’hanno sostenuto viene presa a pretesto per accusare i giornalisti in generale e l’antimafia senza virgolette. Così è la vita.
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Questo libro è dedicato alla memoria del giudice Giambattista Scidà, che anni fa è stato fra i fondatori di questa nuova serie dei Siciliani. Con noi è stato protagonista della battaglia per la rigenerazione della Procura di Catania, che ha portato alla ristrutturazione degli uffici giudiziari in questa città e quindi fra l’altro, dopo decenni di omertà e tolleranza, all’apertura delle indagini e dei processi su Ciancio e sul suo Sistema. “Titta” Scidà è morto il 20 novembre 2011, in questa sua città per cui aveva combattuto e noi lo ricordiamo così, combattendo.