ROMA – Con il governo che apre le porte ad una modifica della manovra economica per venire incontro alle richieste della Commissione Europea e tenere a bada le tensioni sui mercati finanziari, si riapre nuovamente il capitolo del reddito di cittadinanza, la misura simbolo voluta dal Movimento Cinque Stelle. Una partita che in realtà – già prima che si intravedesse un possibile accordo con Bruxelles – era ben lungi dall’essere chiusa, ma che ora potrebbe anche portare a sorprese che fino a qualche giorno fa sembravano impossibili.
Il disegno di legge di Bilancio, presentato dal governo e ora all’esame della Camera, prevede un fondo di 9 miliardi l’anno dal 2019 per il reddito e la pensione di cittadinanza, comprendendo fra questi nove anche i due miliardi (e più) già stanziati dal governo Gentiloni per il Rei, il reddito di inclusione. Secondo le intenzioni rese pubbliche finora, un miliardo è destinato ai centri per l’impiego, 900 milioni alla pensione di cittadinanza mentre i restanti 7,1 miliardi dovrebbero servire al vero e proprio “reddito”. Del quale poco si conosce perché la definizione della misura è stata rinviata ad uno specifico provvedimento del quale finora non si è vista neppure l’ombra.
Sul tavolo della trattativa, e in particolare su quello del ministro del Lavoro e capo politico del M5S, Luigi Di Maio, ci sono numerose bozze, che definiscono i contorni della manovra. A partire da informazioni fondamentali come il target di riferimento: la soglia Isee al di sotto della quale si accede al beneficio, la cifra destinata ad ogni singolo componente della famiglia e alla famiglia nel suo complesso, le differenze relative ad esempio al possesso della casa di proprietà o all’affitto in corso, e via dicendo.
La “pausa di riflessione” resosi necessaria non stupisce. Di reddito di cittadinanza si discute, nell’ambito del governo gialloverde, da ormai sei mesi, e in sei mesi non si è ancora riusciti a delinearne il quadro. Troppo ambiziose forse le intenzioni dell’esecutivo in rapporto alle risorse disponibili (comunque mai così alte in Italia per un intervento di questo tenore) e al tempo necessario per incidere davvero nella realtà.
E il problema in effetti pare essere soprattutto sul come, e non tanto sul quanto. Esperti sul tema e organizzazioni impegnate contro la povertà da mesi mettono in guardia l’esecutivo sul rischio che, a vent’anni dalla prima sperimentazione di un reddito minimo, si mandi in fumo
il lavoro compiuto sui territori negli ultimi anni con la messa a regime del Rei, il Reddito di inclusione. Una nuova misura con un profilo radicalmente differente dal Rei potrebbe essere – affermano – “un colpo fatale alle politiche contro la povertà”, rischiando di vanificare un impegno finanziario che appunto, su questo tema, non si era mai visto.
L’
Alleanza contro la povertà, il cartello di organizzazioni che da anni spingono i governi ad incidere sulla situazione delle persone precipitate in povertà assoluta, chiedeva (e chiede tuttora) al governo di
non modificare strutturalmente l’impianto del Rei ma semmai di rafforzarlo, con opportuni aggiustamenti.
La via sarebbe quella di potenziare i Centri per l’impiego, rendere adeguate le erogazioni economiche, rafforzare i servizi sociali nei Comuni e superare i limiti dell’attuale Rei, piuttosto che cambiare strada e “assestare un
colpo fatale alla possibilità di costruire adeguate politiche contro la povertà”.
No, insomma, alla riforma della riforma.
Quello che non va nel Reddito di cittadinanza, a voler ascoltare gli studiosi che se ne sono occupati, è che balla pericolosamente fra l’essere uno strumento di contrasto alla povertà e un sussidio di disoccupazione.
La principale critica è quella di “
confondere le politiche contro la povertà con le politiche per il lavoro“, che viaggiano su binari differenti: oltre all’obiettivo di incrementare direttamente l’occupazione, il contrasto alla povertà si muove su assi che prendono in carico la dimensione economica, familiare, psicologica, abitativa, e così via, oltre che lavorativa.
La povertà non è e non si esaurisce con la mancanza di lavoro e questa consapevolezza nel Reddito di cittadinanza finora pensato è – a giudizio dei tanti – messa da parte. Ora, la riflessione in qualche modo imposta da Bruxelles porta la definizione dei criteri del “Reddito” ai tempi supplementari. Ma non è affatto detto che il tempo in più sfoci in una sostanziale modifica dell’assetto scelto per la misura simbolo della manovra del governo gialloverde.