Cinema militante. Recensione a En guerre di Stephane Brizé, con Vincent Lindon e Melanie Rover
di Leonardo Staita
Questo film di Brizé è un’opera intensa, toccante e coraggiosa perché porta sullo schermo una pagina di lotta di classe, affrontando un tema di grande attualità: la lotta operaia per la difesa del posto di lavoro contro chiusure e delocalizzazioni. Con sullo sfondo un accordo aziendale non rispettato dal padrone, la ricerca sfrenata del profitto, le divisioni sindacali e il ruolo sostanzialmente da spettatore da parte delle Istituzioni governative.
La trama di En guerre: in Francia una fabbrica sta per essere chiusa e delocalizzata all’ estero, nonostante il bilancio sia in attivo. I millecento operai reagiscono con determinazione per non perdere il posto, e perché – due anni prima – avevano sottoscritto un accordo aziendale a fronte di pesanti sacrifici: una riduzione di salario in cambio del posto di lavoro garantito per i successivi cinque anni. Invece, dopo soli due anni – nei quali gli operai attraverso i contratti di “solidarietà” hanno di fatto regalato all’azienda 12 milioni di euro – la proprietà (tedesca) annuncia l’imminente chiusura della produzione, dicendo ai lavoratori francesi che la loro sede non è abbastanza “competitiva” (cioè redditizia), e che occorre delocalizzare.
In un clima molto serrato, di conflitto duro e scontro frontale, si svolge la lotta dei lavoratori -tra scioperi, cortei e presidi – che va avanti per tre mesi circa. Alla testa della lotta c’è l’operaio e sindacalista Amédéo (Lindon), che difenderà fino alla fine la scelta della lotta dura per costringere l’ azienda a ritirare il progetto di chiusura (e che arriverà a sacrificare la propria vita come atto estremo di protesta contro le decisioni aziendali). Dopo circa due mesi di lotta e di trattative inconcludenti con i rappresentanti dell’azienda e del governo, gli operai riescono ad ottenere un incontro con il principale azionista, che porta anch’esso ad un nulla di fatto. Questi, infatti, ribadisce la necessità di chiudere la fabbrica e il suo rifiuto di venderla a terzi, per non avvantaggiare possibili competitor sul mercato.
E’ la svolta negativa della lotta: una decina di lavoratori si scagliano con ferocia contro l’azionista per linciarlo e riescono a ribaltare l’ auto con lui dentro, provocandogli ferite al viso. Da questo momento finiscono gli incontri ufficiali tra le parti, i dieci lavoratori vengono licenziati in tronco e il fronte dei lavoratori si spacca: c’è chi sceglie di rinunciare alla lotta e prova a rientrare in fabbrica o tratta buonuscite sottobanco, e chi continua a restare ai picchetti davanti ai cancelli, disattivando i macchinari per impedire la ripresa della produzione. E nelle assemblee volano insulti, attacchi personali, insinuazioni e accuse pesanti.
Durante tutta la vicenda il governo francese agisce solamente da spettatore, limitandosi a promuovere incontri tra le Parti. Guardandosi bene dal mettere in discussione la proprietà privata dei mezzi di produzione e la libertà di fare impresa (“sanciti dalla Costituzione”). Anche la confindustria francese resta indifferente: il suo presidente si rifiuterà sempre di incontrare i lavoratori e li farà sgombrare con la forza dalla sua sede.
Quasi in presa diretta e in un clima scenico-narrativo rapido, la lotta dei lavoratori viene narrata con efficacia e con grande emotività in tutti i suoi momenti anche grazie alla scelta di inserire nel film dialoghi e immagini trasmessi attraverso i nuovi strumenti della comunicazione (come youtube e whatsapp) che rendono scene e dialoghi più dirompenti ed intensi, e ad una buona colonna sonora che accompagna il film.
La vicenda narrata nel film è di autentica realtà, molto frequente e attuale, non solo in Francia. Anche qui in Italia – da molti anni – tante aziende, grandi e piccole (specie se controllate da multinazionali) scelgono di chiudere e delocalizzare dove il costo del lavoro è più basso o dove possono ottenere più vantaggi (es. di tipo fiscale o contributi statali).
Perché ad essere in guerra (in modo permanente) vi sono due classi sociali – il proletariato e la borghesia – contrapposte per interessi economici, funzione sociale, condizioni di vita, numero, responsabilità gestionali, cultura e coscienza politica. Due mondi contrapposti. Per tutto ciò il film di Brizé merita di essere visto con l’auspicio che aiuti tanti proletari – giovani e non – ad acquisire una maggiore coscienza della propria situazione.