21.6 C
Rome
mercoledì, Novembre 13, 2024
21.6 C
Rome
mercoledì, Novembre 13, 2024
HomecultureQuando la lotta di classe è un film, di guerra

Quando la lotta di classe è un film, di guerra

Cinema militante. Recensione a En guerre di Stephane Brizé, con Vincent Lindon e Melanie Rover

di Leonardo Staita

Questo film di Brizé è un’opera intensa, toccante e coraggiosa perché porta sullo schermo una pagina di lotta di classe, affrontando un tema di grande attualità: la lotta operaia per la difesa del posto di lavoro contro chiusure e delocalizzazioni. Con sullo sfondo un accordo aziendale non rispettato dal padrone, la ricerca sfrenata del profitto, le divisioni sindacali e il ruolo sostanzialmente da spettatore da parte delle Istituzioni governative.

La trama di En guerre: in Francia una fabbrica sta per essere chiusa e delocalizzata all’ estero, nonostante il bilancio sia in attivo. I millecento operai reagiscono con determinazione per non perdere il posto, e perché – due anni prima – avevano sottoscritto un accordo aziendale a fronte di pesanti sacrifici: una riduzione di salario in cambio del posto di lavoro garantito per i successivi cinque anni. Invece, dopo soli due anni – nei quali gli operai attraverso i contratti di “solidarietà” hanno di fatto regalato all’azienda 12 milioni di euro – la proprietà (tedesca) annuncia l’imminente chiusura della produzione, dicendo ai lavoratori francesi che la loro sede non è abbastanza “competitiva” (cioè redditizia), e che occorre delocalizzare.

In un clima molto serrato, di conflitto duro e scontro frontale, si svolge la lotta dei lavoratori -tra scioperi, cortei e presidi – che va avanti per tre mesi circa. Alla testa della lotta c’è l’operaio e sindacalista Amédéo (Lindon), che difenderà fino alla fine la scelta della lotta dura per costringere l’ azienda a ritirare il progetto di chiusura (e che arriverà a sacrificare la propria vita come atto estremo di protesta contro le decisioni aziendali). Dopo circa due mesi di lotta e di trattative inconcludenti con i rappresentanti dell’azienda e del governo, gli operai riescono ad ottenere un incontro con il principale azionista, che porta anch’esso ad un nulla di fatto. Questi, infatti, ribadisce la necessità di chiudere la fabbrica e il suo rifiuto di venderla a terzi, per non avvantaggiare possibili competitor sul mercato.

E’ la svolta negativa della lotta: una decina di lavoratori si scagliano con ferocia contro l’azionista per linciarlo e riescono a ribaltare l’ auto con lui dentro, provocandogli ferite al viso. Da questo momento finiscono gli incontri ufficiali tra le parti, i dieci lavoratori vengono licenziati in tronco e il fronte dei lavoratori si spacca: c’è chi sceglie di rinunciare alla lotta e prova a rientrare in fabbrica o tratta buonuscite sottobanco, e chi continua a restare ai picchetti davanti ai cancelli, disattivando i macchinari per impedire la ripresa della produzione. E nelle assemblee volano insulti, attacchi personali, insinuazioni e accuse pesanti.

Durante tutta la vicenda il governo francese agisce solamente da spettatore, limitandosi a promuovere incontri tra le Parti. Guardandosi bene dal mettere in discussione la proprietà privata dei mezzi di produzione e la libertà di fare impresa (“sanciti dalla Costituzione”). Anche la confindustria francese resta indifferente: il suo presidente si rifiuterà sempre di incontrare i lavoratori e li farà sgombrare con la forza dalla sua sede.

Quasi in presa diretta e in un clima scenico-narrativo rapido, la lotta dei lavoratori viene narrata con efficacia e con grande emotività in tutti i suoi momenti anche grazie alla scelta di inserire nel film dialoghi e immagini trasmessi attraverso i nuovi strumenti della comunicazione (come youtube e whatsapp) che rendono scene e dialoghi più dirompenti ed intensi, e ad una buona colonna sonora che accompagna il film.

La vicenda narrata nel film è di autentica realtà, molto frequente e attuale, non solo in Francia. Anche qui in Italia – da molti anni – tante aziende, grandi e piccole (specie se controllate da multinazionali) scelgono di chiudere e delocalizzare dove il costo del lavoro è più basso o dove possono ottenere più vantaggi (es. di tipo fiscale o contributi statali).

Perché ad essere in guerra (in modo permanente) vi sono due classi sociali – il proletariato e la borghesia – contrapposte per interessi economici, funzione sociale, condizioni di vita, numero, responsabilità gestionali, cultura e coscienza politica. Due mondi contrapposti. Per tutto ciò il film di Brizé merita di essere visto con l’auspicio che aiuti tanti proletari – giovani e non – ad acquisire una maggiore coscienza della propria situazione.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Ultimi articoli

Maya Issa: «Nessun compromesso sulla pelle dei palestinesi»

L'intervento della presidente del Movimento Studenti Palestinesi in Italia all'assemblea nazionale del 9 novembre [Maya Issa]

Come possiamo difenderci nella nuova era Trump

Bill Fletcher, organizzatore sindacale, sostiene che ora “il movimento sindacale deve diventare un movimento antifascista”. [Dave Zirin]

Presidenziali USA: la gauche francese si scontra sul crollo di Kamala

Il fallimento di Kamala Harris si riflette sulle divisioni strategiche della sinistra francese nel tentativo di battere l'estrema destra [Mathieu Dejean]

Compri tonno, mangi mercurio

Un rapporto rivela che ce n'è troppo e in ogni scatoletta perché la "soglia accettabile" la impone la lobby della pesca 

Luca Casarini: il “noi” al tempo di Trump. Un dibattito necessario

Una riflessione a caldo dopo l'esito delle presidenziali Usa. Un dibattito necessario che deve essere necessariamente lungo [Luca Casarini]